Spesso e volentieri capita che per trovare qualcosa di nuovo da ascoltare, si finisce per cercare oltre-confine, senza soffermarsi abbastanza su ciò che di buono il panorama nostrano ha da offrire.
Sicuramente è un’affermazione datata, ma la realtà è che non si smette mai di scoprire ottimi musicisti italiani alle prese con la difficoltà di farsi ascoltare. La precisazione può facilmente aiutare ad addentrarsi con meno pregiudizi nel nuovo disco di Mimmo Langella, Soul Town.
L’album pone le proprie radici musicali altrove, ma non c’è da esitare nel dire che ci troviamo di fronte ad un disco decisamente italiano, in cui il sapore mediterraneo e solare emerge deciso anche sotto i tappeti d’influenza “black & soul”. Mimmo Langella è un chitarrista napoletano, classe 1968, al giorno d’oggi ha alle spalle diversi anni d’esperienza come chitarrista nelle situazioni più svariate.
La carriera solista di Langella arriva a questo Soul Town dopo essere passata per due precedenti uscite, “The Other Side” e “Funk That Jazz”, rispettivamente del 2002 e del 2008, ristampati entrambi nel 2012 da Smoothnotes. Il percorso di “Soul Town” prosegue il discorso musicale iniziato con il debutto del 2002, in cui jazz e blues vanno a fondersi con tutte le influenze, assorbite da Langella nel corso degli anni, questo nuovo capitolo discografico della carriera di Langella rappresenta però un tributo del chitarrista napoletano ad alcuni dei grandi maestri della musica Soul Jazz.
Le premesse sono buone e “Green Tuesday“, brano d’apertura, non tradisce minimamente l’attesa. Le evoluzioni di un Hammond, che sarà un buon compagno lungo tutto il disco, fanno da cornice a ritmi funk della batteria che introduce la traccia. Buona scelta quella di far eseguire la prima linea melodica del disco all’organo, sicuramente decisione fra le meno scontate per un disco chitarristico. Malgrado ciò la chitarra di Langella non tarda ad affacciarsi nel brano con una sonorità particolarmente elegante ma capace anche di qualche ottimo spunto più aggressivo.
Il primo brano lascia intuire il trend dell’intero disco, ben calibrato e suonato, capace di una buona gamma di sfumature, ma comunque sempre legato a quel jazz-blues tanto caro al chitarrista partenopeo.
Così “Soul Town” piace nella sua gioiosa pacatezza sotto cui s’intravedono venature reggae e “Work Song” riesce nel trascinare con un tiro folk sicuramente inedito per dischi dello stesso genere. Tutto rientra nell’economia generale di un disco interessante, dalle tinte generalmente blues, in cui confluiscono senza alcun disturbo tutte quelle che sono le migliori versioni di Mimmo Langella.
La chitarra è il filo conduttore di tutto l’album, fedelmente accompagnata dall’Hammond di Tommy De Paola che a tratti rimanda l’orecchio a certe sonorità tipicamente anni 70, che risvegliano timidamente lontani ricordi psichedelici. Il disco riesce bene nell’impresa di ricreare un ottimo collage d’influenze, forse peccando un po’ nel produrre un’adeguata onda dinamica, restando così un po’ stazionario su un andamento quieto.
Gli unici episodi di “depressione ritmica” sono “Messers P.N.” e “Pas Word“, brani totalmente originali a cui fa compagnia anche “One Step“, ottimi momenti in cui gustarsi un Langella più soft, soprattutto in “Pas Word” dove ne emerge più intensamente la vena più smooth, a tratti lounge.
In definitiva è un buon disco questo Soul Town, suonato egregiamente ed altrettanto ben scritto. Un album che potrà essere apprezzato da appassionati chitarristi ma non solo. La classe con cui Langella si destreggia lungo i pezzi garantisce all’intero lotto ottimi riscontri anche fra le fila di un pubblico meno abituato a dischi dello stesso carattere. La solida struttura costruita da Guido Russo al basso e Pasquale De Paola alla batteria confeziona ad hoc il tutto. Un album elegante e raffinato, ottima sintesi tra il mondo soul-jazz e un animo italiano.
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