Gli Opeth avevano sperato che “The Devil’s Orchard ” riempisse la nostra testa solamente delle speculazioni nietzschiane sulla morte di Dio, ma come era prevedibile, mentre Åkerfeldt proclama nel ritornello del suo singolo “God is Dead”, molti amanti del gruppo hanno osservato che con un growl il messaggio sarebbe stato certamente più chiaro.
Se siete anche voi di questa opinione vi accorgerete presto che quest’album non sarà tra i vostri preferiti; infatti, il gruppo che ha fatto la storia del Progressive Death Metal ha deciso che in “Heritage” ci sarà tanto Progressive e neanche l’ombra del Death Metal.Chi ha avuto il piacere di ascoltare e apprezzare “Damnation” starà pensando che non è necessariamente una cosa brutta, ed ha ragione, ma non deve cadere nella trappola di usarlo come metro di paragone per questa nuova fatica: infatti, se l’album del 2003 ci aveva incantato con le sue atmosfere acustiche oscuramente raffinate, quest’ultimo ha un’ambizione ben differente e chiara fin dal titolo, “Heritage”, che significa eredità, patrimonio, qualcosa che ci viene dai nostri predecessori.Il Progressive inglese, quello nostrano, ma anche quello svedese (gli Änglagård con Hybris sono un ottimo punto di partenza per chi vuole approfondire quest’ottima corrente) sono la veste degli Opeth per questo disco: una veste che ha un forte sapore vintage (ultimamente va di moda anche nelle grandi passerelle), ma anche una certa personalità. Le citazioni non mancano, ed è inevitabile parlando di un album che vuole essere anche un tributo, ma sono rielaborate nel linguaggio del gruppo.Fin dalla delicata introduzione, la title track “Heritage”, le atmosfere denotano un sapore profondamente “Opethiano” che non si perde neanche esplorando i territori particolari dell’ormai celeberrima “The Devil’s Orchard”, con le sue tante ed ottime idee profondamente influenzate dalla già citata scuola Progressive svedese, oppure nell’immensa e ammaliante “I Feel The Dark” memorabile per l’intensità delle sue atmosfere.Diverso è il discorso per la dinamica “Slither”: un tributo al compianto Ronnie James Dio che ricorda i Rainbow per andamento e dimostra che non c’è solo il Progressive puro tra le influenze del gruppo. Allo stesso tempo però la traccia è quasi spaesata e soffre lo stacco troppo netto con ciò che la circonda: “Nepenthe” difatti torna al Progressive attraverso i suoi ritmi pacati, leggermente opachi sopratutto se messi a confronto con “Häxprocess”, una piccola perla che crea una delle atmosfere migliori dell’album.“Famine” è una traccia estremamente ambiziosa e complessa che gioca con alchimie particolari alternando numerosi suoni: il risultato non è perfetto nell’insieme, ma è comunque memorabile per vivacità strumentale (i flauti presi in prestito dai Jethro Tull sono un ottimo spunto) e le raffinate linee vocali.“The Lines in My Hand” punta i riflettori sull’ottimo gusto che dimostra in tutto l’album Axenroth dietro le pelli; si tratta di una traccia piuttosto moderna rispetto le altre, dinamica e varia anche se nel complesso poco incisiva. Viceversa “Folklore” condivide le alte ambizioni di “Famine” procedendo però in maniera più lineare nella prima parte, per poi divincolarsi nella seconda metà per l’ottimo finale che ne fa una canzone di alto livello.“Marrow of The Earth” ci riporta a “casa”, tornando ad un’atmosfera dalle tinte unicamente “Opethiane” come lo erano state quelle di “Heritage”, questa volta in chiave acustica.Un album atipico, che senza dubbio deluderà le attese di molte persone: il gruppo svedese non ci aveva mai messo tanto tempo a partorire un lavoro e senza dubbio ci si aspettava una nuova pietra miliare del Progressive Death Metal. Però, una volta che ci si mette l’anima in pace su questa loro decisione, e si incomincia a vedere il lavoro in sé, vengono alla luce i pregi di quest’album: ci vuole senz’altro più di un ascolto per assimilarne le varie sfaccettature, ma se avete la pazienza vi vedrete crescere tra le mani un disco di qualità.
Non un capolavoro, a differenza dei tre quarti della discografia del gruppo, ma un album suonato magistralmente da tutti i componenti, con ottimi spunti sia strumentali che vocali, a conferma che Mikael Åkerfeldt ci sa fare anche se non fa il cattivo ragazzo. Perfetta anche la produzione di Steven Wilson dei Porcupine Tree, ma qui i dubbi erano pochi vista la conoscenza e la passione per il genere da parte del musicista.I difetti principali, invece, li mostra in un andamento non sempre convincente, alcune volte altalenante e poco concreto e incisivo: molti avrebbero preferito che questo lavoro fosse stato pubblicato come solista di Åkerfeldt (che lui sia il perno del gruppo è noto a tutti) visto il peso della svolta stilistica, ma, in fondo, gli Opeth ci hanno sempre affascinato proprio per la loro estetica particolare ed eclettica, ed “Heritage” non fa eccezione, portandoci in territori originali, ma facendoceli suonare così familiari.La copertina, anch’essa diventata piuttosto celebre sopratutto per le teste dei componenti del gruppo, rappresenta un albero rigoglioso, il presente del gruppo, le cui radici si protraggono fino agli inferi a rappresentare la loro storia nel Death Metal: solitamente gli alberi si sviluppano verso l’alto, e non verso le radici, quindi forse un indizio sugli sviluppi futuri lo abbiamo, ma ricordiamoci che gli Opeth amano stupire. Dovessero continuare su questa strada, a meno che non siete dei death metallers incorreggibili, avete poco da disperare: “Heritage” non sarà un capolavoro, ma è senz’altro un album superiore alla media e se non hanno fatto un passo completamente falso ora che si sono buttati in un cambio di stile improbabile è molto difficile che lo faranno in futuro.Genere: Progressive RockLine- up:Mikael Åkerfeldt – Voce, chitarra, Mellotron, piano
Fredrik Åkesson – Chitarra
Per Wiberg – Tastiere, piano, Mellotron
Martin Mendez – Basso
Martin Axenrot – Batteria
Tracklist:1. Heritage
2. The Devil’s Orchard
3. I Feel the Dark
4. Slither
5. Nepenthe
6. Häxprocess
7. Famine
8. The Lines in My Hand
9. Folklore
10. Marrow of the Earth
11. Pyre (bonus track)
12. Face in the Snow (bonus track)
Francesco “Forsaken_In_A_Dream” Cicero
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