Assieme ad Urtovox, La Tempesta Dischi e Tremoloa, Tannen Records è senza ombra di dubbio una delle etichette indipendenti italiane più valide ed affidabili del momento, almeno per quel che concerne il rock e le sue principali ramificazioni; tannen Records è dunque una garanzia, un ottimo esempio di professionalità, competenza e sensibilità musicale, ogni produzione curata da questa label non fa una grinza e finisce puntualmente per stagliarsi ed imporsi su scala nazionale, riscuotendo sempre discreti responsi da parte di pubblico e, in particolar modo, di critica. Questo avviene perché chi ci lavora dietro sa bene che coraggio, dedizione, fiducia e buona volontà, se ben veicolate e sintetizzate, alla lunga ripagano. Una delle più recenti scommesse discografiche targate appunto Tannen prende il nome di Ornaments.
Brillante quartetto attivo da circa due lustri, gli Ornaments hanno dato alle stampe il loro disco d’esordio, intitolato Pneumologic e distribuito da Audioglobe, lo scorso 5 febbraio. Pneumologic è il risultato di circa sei anni di continue sperimentazioni, di tentativi costanti di riuscire a trovare il giusto equilibrio tanto a livello di sound, quanto di assetto di volumi e di dinamiche musicali. Sette le tracce presenti nel cd, di cui cinque totalmente strumentali e poi altre due in cui fanno capolino pure dei versi sontuosi: una, la travolgente Breathe, con testo in inglese; l’altra, la conclusiva ed apocalittica L’Ora Del Corpo Spaccato, caratterizzata invece dal registro lessicale nostrano e dal cantato assai calzante di Tommaso Garavini (in Breathe è invece Silvia Donati a declamare le parole scritte dal chitarrista Davide Gherardi).
Pneumologic è un album semplicemente importante ma, soprattutto, sonico ed inquietante nelle sfumature, nell’approccio, nella resa definitiva. È, se non altro, una produzione alquanto coerente ed ammaliante nelle atmosfere, quelle che la band è riuscita a creare e a sprigionare dopo aver individuato, affinato, levigato, e quindi messo a punto, il proprio marchio di fabbrica. Tutto è giocato sul susseguirsi di siderali cavalcate oscure fatte di irresistibili crescendo sonori, intrecci chitarristici ponderati e convincenti, variazioni non sempre effimere e pregevoli sviluppi. Non è il classico e prevedibile disco post rock. Non ci sono soltanto progressioni scontate, monotone, evanescenti e già sentite.
Qui è innanzitutto la componente doom a palesarsi e ad essere posta in primo piano, fornendo ai brani in scaletta delle vesti molto più cupe e tenebrose di quanto si possa pensare: tipiche del genere, infatti, le latenti dilatazioni, sempre interessanti e visionarie come vuole la tradizione. Non mancano poi degli opportuni espedienti dal taglio abbastanza progressive. Sono perciò queste le basi principali, i perni su cui sembra poggiare tutto il resto.
Ecco allora che Pneumologic si dimostra ricco sia di soluzioni che di risorse proprie. Chiaramente si tratta di una raccolta da contemplare con estrema attenzione, pazienza, curiosità. Solo con un atteggiamento di questo tipo sarà possibile assaporarne i singoli aspetti ed entrare nel mondo ideale che i componenti della band hanno cercato di suggerire e di condividere nel momento stesso in cui hanno scritto, e poi suonato con dedizione, ogni pezzo del disco.
Pneumologic andrebbe sentito in cuffia e, se possibile, a volumi alti. Inutile metterlo nel proprio stereo di casa come sottofondo. Qui l’ascolto deve rivelarsi un’esperienza autentica. Riesce difficile trovare qualche neo in un Lp che non possiede punti deboli e che appare affascinante sotto qualsiasi aspetto: dall’emblematica copertina all’intero – ed eclettico –artwork curato da Luca Zampriolo. Favoloso, a tal proposito, il booklet interno con le sue suggestive illustrazioni.
Gli Ornaments hanno registrato Pneumologic fra la primavera e l’autunno del 2012 all’Igloo Audio Factory Studio di Correggio sotto la preziosissima supervisione di Andrea Sologni. Nonostante si tratti di un progetto discografico tutto sommato chitarristico, non mancano comunque passaggi, accorgimenti, raffinati e inaspettati. Merito, questo, della presenza di strumenti meno “taglienti” come synth (suonati sia dal bassista Enrico Baraldi sia dallo stesso Sologni) e violoncello, le cui parti sono state curate da Daniele Rossi.
Perché consigliarlo? Perché è semplicemente sublime. Perché è suonato benissimo e perché non annoia, anche se i ritmi raramente sembrano inclinarsi verso la rapidità.
Alessandro BasileGenere: Post Rock, Doom Metal, Progressive
Line-up:
Davide Gherardi – chitarre elettriche
Alessandro Zanotti – chitarre elettriche
Enrico Baraldi – basso
Riccardo Bringhenti – batteria
Progetti simili consigliati: The Wisdoom, Jarman, Otehi, Isis
Tracklist:
1. Pulse
2. Breathe
3. Aer
4. Galeno
5. Pneuma
6. Spirit
7. L’Ora Del Corpo Spaccato
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