Difficilmente mi spingo a dare consigli di pacchetti da mettere sotto l’albero di Natale che non siano dischi, ma stavolta dovrò fare un’eccezione dedicata agli amanti dei Led Zeppelin, per una lettura che vi appassionerà come il primo colpo di plettro sul riff di “Whole Lotta Love”.
Di recente HOEPLI ha pubblicato un libro che più che essere una biografia della “più grande rock band della storia” è un vero e proprio spaccato sulle vite dei due leader carismatici, Robert Plant e Jimmy Page, voce e chitarra (e menti) di questo straordinario gruppo musicale che in poco più di 10 anni ci ha regalato alcune tra le migliori incisioni della storia del Rock.
La cosa che fa ancora più piacere è che l’autore sia un italiano, il giornalista e critico musicale Luca Garrò, già autore e/o collaboratore di altri volumi su David Bowie, Freddie Mercury, Jimi Hendrix e Jim Morrison.
Il libro, difatti, fa parte di una collana di monografie che come una sorta di spinoff, o per meglio dire di approfondimenti, si legano a quell’opera principale che è La Storia del Rock di Ezio Guaitamacchi, da anni la guida di riferimento per chi vuole saperne di più sui decenni di evoluzione (o a volte involuzione…) di questo genere musicale.
In ogni volume abbiamo una prefazione scritta da un ospite speciale, in questo caso la scelta non poteva che cadere sul figlio del batterista John Bonham, Jason, che come scoprirete è stato in studio dietro una batteria – letteralmente – con i due miti del rock sin dalla sua infanzia, senza contare il suo ruolo nelle veci del padre per la famosa reunion della band all’O2 Arena londinese del 2007, quel Celebration Day che i fan aspettavano da decenni.
Page & Plant, coppia indissolubile, perfetta unione degli opposti per molti versi, una compensazione e un trarre vantaggio l’uno dall’altro che non molte volte si è visto in Musica. Certo, il paragone con altre grandi coppie del passato viene facile, ad iniziare da Mick Jagger e Keith Richards o da quella più famosa di tutte, Lennon&McCartney. D’altronde si potrebbe ben dire che gli Zep hanno rappresentato nel Rock ciò che i Beatles rappresentano nel genere pop (quello buono!).
Ma se nel caso di questi ultimi due si tratta forse di due strade parallele – entrambi musicisti, entrambi voci, entrambi compositori – che hanno contribuito sempre al 50% al concretizzarsi di un mito, nel caso dei due Zeppelin le strade si incrociano e sviano costantemente, sono come dei colori che si mischiano ma non si fondono mai, non creano insieme un nuovo pigmento, anzi, continuando sulla metafora pittorica sono probabilmente più vicini a un’opera di Pollock che alle precise linee di un pittore tradizionale.
Ciò che quindi viene fuori da questo libro è un ritratto di queste due figure fondamentali del rock, prima dal punto di vista umano che artistico.
Ciò che viene messo in luce è la loro interdipendenza, soprattutto per quanto riguarda la seconda parte del libro. Anche perché, come premesso, questo non è un libro sui Led Zeppelin. Difatti, metà del volume è dedicato al periodo successivo ed è a mio parere forse quella più interessante.
Ovvio, non la più “eccitante”, perché a noi tutti luccicano gli occhi a pensare a quei dieci anni o poco più in cui gli Zep sconvolsero il mondo (e loro stessi). E, peraltro, non si tratta di un pedante elenco cronologico di accadimenti, benché poi chi ne avrà voglia potrà seguire lungo i bordi delle pagine anche un’indicazione di tal fatta.
È un vero e proprio racconto che indaga l’essenza della band e dei due uomini che la guidavano, le basi del mito che li ha sia preceduti che accompagnati e poi incasellati in un posto preciso dell’immaginario collettivo. Ma dietro il mito c’è sempre l’uomo, le sue ambizioni, le sue aspettative, le sue paure, le sue nobiltà d’animo e i suo errori e, talvolta, le malefatte.
Mi è piaciuto poi che Garrò abbia rimarcato quella che è probabilmente la vera data in cui si può porre la fine della band, almeno di quella che è entrata nel nostro suddetto immaginario. Che non corrisponde alla morte di John Bonham, ma a ben prima. Agli eccessi di Page, a un’incidente di Plant (che lo costrinse per un bel po’ su una sedia a rotelle, lo sapevate?) e poi alla morte del figlio di quest’ultimo.
Bonham non fu che l’ultimo colpo inferto a un corpo già molto debilitato, tant’è che la decisione di sciogliersi definitivamente fu più che rapida.
E da qui prende piede la seconda metà del libro, che punta i riflettori su un Page sempre più maledetto dal fantasma dei suoi amati Led Zeppelin – da cui non si libererà mai, neanche oggi – e un Plant, invece, che per molti anni legherà a quel periodo alcuni dei ricordi più tristi della sua esistenza, rifiutandosi di eseguire live per un bel po’ un qualsiasi brano della band (in particolare “Stairway to Heaven“).
Verrete così a conoscenza dei tanti tentativi di voltare pagina, di band che forse non ricordate o che i più giovani tra voi neanche conoscono, ma composte da musicisti a dir poco incredibili come quella che vide Page suonare la sua chitarra al fianco della potente voce di Paul Rodgers, ex frontman dei Free (e più di recente anche dei Queen… o “post-Queen” come volete…).
E poi le reunion. Da quella tragicomica del Live Aid, che ha segnato il punto più basso mai raggiunto dai Led Zeppelin, a quella in duo degli anni ’90 di ben altra caratura e con una sua ottima dignità artistica.
Perché nonostante tutto, nonostante la voglia di cambiare aria o quella di affermarsi ed essere ricordato anche per altro… beh, la dice lunga ciò che dice Robert Plant negli anni ’80 quando per la prima volta assiste a un concerto del suo amico ed ex compagno di band: “Ho pianto, ho pianto di cuore. Non faccio fatica ad ammetterlo. Quell’uomo mi manca disperatamente. Non ho mai capito quanto fosse bravo. In tutti quegli anni non mi ero mai seduto semplicemente in mezzo al pubblico a guardarlo suonare. È il Wagner della Telecaster“.
Non vi dirò altro, perché vi toglierei le mille sorprese che questo libro vi riserva. Ma voglio spendere anche qualche parola sulla sua realizzazione fisica, perché sono convinto che un’opera non sia solo fatta di ciò che contiene, ma anche del modo in cui viene presentata e resa fruibile.
Innanzitutto, per il suo costo si tratta di una stampa fatta su ottima carta lucida e spessa e che è stata piuttosto impassibile ai miei “maltrattamenti”. I colori sono vividi, l’impressione generale è di avere per la mani una pubblicazione destinata a perdurare negli anni dopo molte letture.
L’impaginazione è ottima, forse talvolta qualche colonnina di testo è un po’ stretta, per esigenze logiche da comprendere, e può dare una piccola scivolata alla fluidità di lettura, ma al contempo la scrittura è così, appunto, fluida da non far perdere mai il ritmo.
È uno di quei libri che potreste leggere in un giorno solo, perché capitolo dopo capitolo – la cui lunghezza è giusta, né corti né troppo lunghi – sarete inclini a continuare come fossero episodi in fila della vostra serie tv preferita.
Ottimi poi gli approfondimenti, che sono molti e racchiusi nei classici riquadri. Questi non sono dei meri “allunga-brodo” come spesso, ahimé, succede, ci tengo a dire che sono importanti tanto quanto i main topics.
In più, ho notato una certa facilità a interrompere la lettura anche in mezzo a un capitolo, ci sono dei punti chiave ben delineati su cui mettere il segno. Il che vi fa scegliere se leggere subito gli approfondimenti o in un momento successivo.
Insomma, in definitiva, non è un libro pomposo né un noioso elenco di fatti. E ci tengo a ringraziare l’autore Luca Garrò per aver usato una voce narrante equilibrata, che non si parla addosso, senza adottare una scrittura sgradevolmente edonistica (ed egoistica) che è la triste prassi di molti critici e/o recensori odierni.
La scrittura non è la protagonista, ma un comodo mezzo per scivolare nella vita di questa coppia di amici e artisti che hanno portato la musica Rock a livelli espressivi ancora oggi ineguagliati (benché qualcuno si diverta a farne maldestramente il verso…).
Se vi ho incuriositi, collegatevi ora al sito di HOEPLI per saperne di più.
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