Spinti dall’insperato successo di Atom Heart Mother del 1970, album sperimentale e coraggioso dal punto di vista commerciale, i Pink Floyd tornano a pubblicare un disco di 46 minuti occupato per metà da un’unica lunga suite. L’impressionante overture di Meddle rappresentata dall’ipnotica One Of These Days, è sufficiente a smentire almeno in parte chi sostiene che l’album sia stato pensato unicamente intorno a Echoes, brano di punta che occupa l’intera seconda facciata, e successivamente completato con pezzi affrettati e male studiati. One Of These Days è uno strumentale costruito intorno ad un’unica nota di basso, una sorta di pedale doppiato e pesantemente riverberato al quale si aggiungono gli altri strumenti della band. Caratterizzano il brano gli effetti su nastro di Nick Mason (una sua prerogativa anche in Dark Side Of The Moon), i suoni del sintetizzatore e soprattutto la magnifica prova di Gilmour alla chitarra elettrica e alla lap steel nell’indiavolato finale che improvvisamente viene interrotto dal soffio del vento, dal quale giungono ora le note di A Pillow Of Winds, una ballata acustica delicatissima decisamente in contrasto con la potenza del brano precedente. La voce di Gilmour è misurata e dolce così come gli accordi della chitarra e l’accompagnamento della band. Fearless è è strutturata su un riff di accordi ascendenti suonati dalla chitarra che si smorzano nel ritornello e conducono allo strano finale durante il quale si ode un coro da stadio cantare la melodia di “You’ll Never Walk Alone”. Particolare lo stile fortemente jazzato di San Tropez, pane per i denti di Richard Wright amante del free-jazz. Al pianoforte, il tastierista inventa interessanti melodie sul semplice giro di accordi della canzone, nel complesso allegra e piacevole. Se il jazz di San Tropez è un genere inusuale per i Pink Floyd, altrettanto lo è il blues acustico di Seamus, anche se in More la band aveva già inciso More Blues. Piano, voce e chitarra accompagnano languidamente i guaiti del cane Seamus, che aveva imparato ad ululare all’udire musica blues. Questo gradevole scherzo musicale fa da premessa alla straordinaria Echoes. Probabilmente il miglior brano mai inciso dai Pink Floyd, Echoes rappresenta una splendida sintesi delle migliori qualità del gruppo. Partendo dalla famosa nota di piano trasformata quasi in un ultrasuono (il “sonar ping”), il pezzo prende forma dall’ispirato organo di Wright e dalla lap steel per diventare una delicata melodia cantata quasi in falsetto e intermezzata da una particolare frase cromatica suonata da Gilmour alla chitarra. Il brano cambia poi decisamente ritmo, trascinato dal basso e dalla chitarra, per sfumare in una vera e propria escursione musicale che ha il tono dell’improvvisazione tipico dei primissimi Pink Floyd; note secche ed atmosfere cupe, echi e riverberi che richiamano la vena “psichedelica” di Syd Barrett, del quale nessuno si è dimenticato. Echoes riprende la forma di melodia armoniosa in un entusiasmante crescendo guidato da un’eccezionale prestazione di Richard Wright all’organo e dagli accordi ritmici di chitarra. L’ultima strofa cantata lascia quindi il posto ad un una nuova ensemble strumentale del gruppo finchè la musica sfuma in un’atmosfera sognante. Un altro pezzo da ascoltare ad occhi chiusi.
Casa discografica: EMI
Anno: 1971
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