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Principles Sound: classic fusion con grandi strumentisti

È un vero e proprio super-gruppo la formazione che vede alla chitarra Dario Chiazzolino (vedi intervista, più in basso), Gianni Branca alla batteria, Pino D'Eri al basso; gli ospiti speciali sono invece Bob Mintzer al Sax, Russell Ferrante al piano e tastiere, Jimmy Haslip al basso. Si tratta di una line-up important

È un vero e proprio super-gruppo la formazione che vede alla chitarra Dario Chiazzolino (vedi intervista, più in basso), Gianni Branca alla batteria, Pino D’Eri al basso; gli ospiti speciali sono invece Bob Mintzer al Sax, Russell Ferrante al piano e tastiere, Jimmy Haslip al basso. Si tratta di una line-up importante, sia per i tre nomi finali della lista, che per i nomi italiani presenti, compositori di tutti i brani in scaletta.

Principles Sound: classic fusion con grandi strumentisti

Registrato interamente presso i Firehouse Studios di Los Angeles sotto la guida del Sound Engineer Umberto Ferrara, prodotto da Pino D’Eri e distribuito dalla torinese Tukool Records, il disco dei Principles Sound è orientato verso un classico jazz-fusion anni ’90. La melodia non manca mai, come anche incastri ritmici audaci e i suoni di sintetizzatore tipici del genere, l’attenzione della band è rivolta proprio a ricreare il tipo di sound che ultimamente iniziava ad andare perso in favore di una sperimentazione massiccia in ambito fusion. Il disco fa quindi pensare a un ritorno alle origini, una sorta di revival del jazz-fusion a-la Yellowjackets o Weather Report, due esempi funzionali a rendere il concetto. 

L’ascolto è scorrevole e sicuramente gradevole anche per un ascoltatore profano, il sound generale mette in mostra il grande lavoro di mix & master. Il lavoro dei musicisti chiamati in causa è sorprendente e non parliamo solo delle indiscusse abilità tecniche ma anche delle grandi capacità di creazione e di improvvisazione. Le idee sono moltissime e ben sviluppate, e spesso riescono a raggiungere una connotazione quasi poetica.
L’interplay non manca mai e ogni brano crea la possibilità per esprimere il proprio potenziale. Limitando il tutto a una manciata di higlight, si potrebbe dire che Chiazzolino riesce a raggiungere il punto massimo con “Jump in a Dream”, grazie a un assolo meraviglioso. In generale il suo lavoro su questo disco è davvero sorprendente, ci troviamo di fronte ad un musicista che non deve certamente temere il confronto con nomi più conosciuti e affermati, il suo fraseggio e il suo playing potrebbe tranquillamente essere messi sullo stesso piano di artisti del calibro di Pat Martino, George Benson e altri contemporanei del jazz.

Non tralasciamo il lavoro di Branca e D’Eri, presenti allo stesso livello con le loro capacità musicali e improvvisative: basta ascoltare la title-track “Lost in the Jungle” oltre che il jazz-waltz “Sound Principles”. La formazione ospite non fa altro che confermare il motivo per cui i loro nomi sono collegati alla fondazione di questo stile. L’ottima notizia che viene fuori da questo lavoro è nel fatto che la storia del jazz-fusion contemporaneo venga scritta anche dalle mani di alcuni musicisti italiani che meriterebbero, però, una visibilità nettamente maggiore.
La scoperta dell’album è stata davvero una bel regalo e, da appassionato del genere quale sono, non potevo fare altro che continuare ad ascoltarlo fino a conoscerlo a memoria. Vi consiglio di non perderlo.

Principles Sound: classic fusion con grandi strumentisti

A questo punto lascio la parola a Dario “Rainote” Chiazzolino, orgoglio italiano della chitarra jazz.

Dario, ti andrebbe di presentarmi questo tuo nuovo progetto come se non ne sapessi nulla?

Principles Sound – nome della band – è un progetto nato dall’incontro di tre amici e colleghi che hanno condiviso esperienze di vita e di musica. Mi riferisco al produttore e direttore della Tukool Records Pino D’Eri, e al compianto batterista Gianni Branca. Insieme, qualche tempo fa prendemmo la decisione di scrivere un repertorio di brani originali di stampo jazz/world music con l’intento di realizzare un progetto discografico che avesse un respiro internazionale.
Una volta preparata la scrittura dei brani e la pre-produzione, presentammo il progetto al sassofonista Bob Mintzer, il quale con entusiasmo decise di prendere parte a questa avventura. Successivamente, grazie anche al supporto dello stesso Mintzer, completammo la formazione con l’importante presenza di Russell Ferrante al piano e Jimmy Haslip al basso elettrico. Insomma, si preannunciava un’impresa fantastica. E così in effetti fu. Partimmo per Los Angeles e realizzammo quello che oggi porta il nome di Lost in the Jungle, title track dell’album – presso i prestigiosissimi studios Firehouse Recording. Decisiva è stata anche la presenza del grande sound engineer Umberto Ferrara, parte essenziale di tutti i miei progetti artistici nella fase di mixing, mastering e non solo.

Da chitarrista, mi piacerebbe sapere cosa hai utilizzato a livello di strumentazione.

Ti rispondo in maniera inusuale, in quanto sono un chitarrista piuttosto monogamo sotto il profilo musicale. Ho scelto anni fa la Gibson ES-135, chitarra con la quale ho da subito avuto un grande feeling, a tal punto da suonare praticamente quasi sempre lei. Collaboro con Gibson in qualità di endorser da cinque anni e sono molto affezionato ai modelli semi-hollow body. In particolare trovo che la 135 sia in perfetto equilibrio tra il mondo elettrico e quello acustico. Risponde perfettamente in concerti di chitarra solo, in cui l’esigenza è di avere un suono grosso, profondo e sufficientemente audace da sostenere la performance in solitaria.
Allo stesso modo è in grado, se suonata con l’aggressività giusta, di fornire anche suoni taglienti e incisivi. Per quanto riguarda gli ampli, utilizzo un Randall. Collaboro con questo marchio da anni attraverso la Master Music di Claudio Formisano. Il mio Randall, pur nascendo prevalentemente per i chitarristi rock, ha lo straordinario vantaggio di consentire a ogni chitarrista di mantenere ed enfatizzare il proprio suono. Spesso ci si imbatte in ampli che hanno in sé un loro timbro di fabbrica e a volte può essere complesso riuscire a tirare fuori una colorazione sonora soddisfacente o perlomeno diversa da quella di serie.
Ho collaborato sempre come testimonial con il marchio DR, corde utilizzate per l’appunto nella registrazione di questo album, con scalatura .012 – .052. Sono inoltre endorser dei fantastici pickup australiani Kinman, eccellenti per qualità e definizione del suono, e soprattutto privi di rumore di fondo. Inoltre, sono testimonial dei plettri Essetipicks, originali quanto preziosi e dei cavi Mogami, davvero di altissima qualità.

Principles Sound: classic fusion con grandi strumentisti

Ora che questo disco ha visto la luce, hai in progetto di presentarlo dal vivo?

In realtà ho già presentato questo album con una formazione europea che includeva la presenza del sassofonista britannico Andy Sheppard; inoltre, suono spesso questo repertorio in trio e quartetto in collaborazione con diversi musicisti della scena Newyorkese. Insomma, nel jazz è sempre tutto in evoluzione e la tua musica può davvero arricchirsi della presenza di nuovi e diversi musicisti, i quali, con la loro personalità e il loro background artistico, contribuiscono a valorizzare l’opera stessa.

Tra le collaborazione del disco appaiono nomi importanti. Ti va di approfondire questo aspetto sia a livello di esperienza musicale che umana con questi artisti?

Collaborare con Mintzer, Ferrante e Haslip, musicisti straordinari che hanno davvero fatto la storia del jazz e della fusion, è stata ovviamente un’esperienza significativa per me. La collaborazione con loro in questo progetto discografico ha portato risultati importanti, in primis aver condiviso il palco proprio con gli Yellow Jackets. Durante la mia carriera ho avuto la fortuna come in questa occasione di suonare diverse volte con musicisti di grande rilievo, e posso dire che è sempre una grande emozione. In particolare trovo sia impagabile lo scambio e il confronto che avviene sotto il profilo umano, oltre a quello professionale.

I punti di riferimento che in qualche modo hanno definito il tuo playing?

A mio avviso sono tre i nomi fondamentali: Jimi Hendrix, Wes Montgomery e Django Reinhardt. Per motivi diversi ritengo siano i chitarristi che hanno avuto l’impatto più importante sulla mia formazione artistica. Sono tre mostri sacri – ovviamente in stili musicali diversi – che hanno a mio avviso stravolto e arricchito il percorso della chitarra che oggi definiamo moderna.

Qualcos’altro da aggiungere per concludere?

Ne approfitto per annunciare anche l’uscita del mio nuovo disco da leader, Red Cloud – sempre per l’etichetta discografica Tukool Records. È un album al quale sono molto legato perché rappresenta un momento significativo del mio percorso. Ho registrato nove tracce, di cui otto brani originali e uno standard jazz, “Solar” di Miles Davis, in collaborazione con Antonio Faraò al piano, Dominique Di Piazza al basso e Manhu Roche alla batteria. Il disco è disponibile su tutte le piattaforme digitali.

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