Jack White è un arrogante figlio di puttana (senza offesa per la mamma) e su questo ci sono pochi dubbi, ma la musica rock ha un grosso debito con lui per la fermezza con cui continua a difendere il suo caposaldo di artista fuori dagli schemi. Il nuovo Boarding House Reach è un capolavoro di narcisismo e di schiettezza cui è difficile essere indifferenti.
È odio o amore al primo ascolto. L’ex-White Stripe ha messo assieme tutto quello che gli passava per la testa in un periodo di lavoro casalingo fra chitarre ignorantissime, vecchi organi, synth slabbrati sopravvissuti agli anni ottanta. Con l’aiuto di un manipolo di volenterosi musicisti di supporto ne ha tirato fuori un lavoro ancora più schizzato del solito.
L’unico paragone realistico è con Roger Nelson, il Prince dei tempi d’oro, quello che accanto a hit come “Purple Rain” produceva album quasi del tutto privi di appigli commerciali con uno strabordante egocentrismo pari solo all’enorme talento musicale, passando con noncuranza dal rock psichedelico all’hyper-funk, dalle marching band ai deliri più vari.
White se ne frega apparentemente delle regole di un mercato sempre più conformista, rivolgendosi a un pubblico che da lui non si aspetta altro che la sua personale e proverbiale follia. Il rischio di diventare maniera si avvicina, ma lui fa di tutto per cambiare di volta in volta le carte in tavola.
Fra soul-ballad stralunate come “Why Walk A Dog” e groove batteristici da garage-funk (“Corporation”), intermezzi etilici da saloon (“Abulia And Akrasia”) e la totale anarchia di momenti come “Hypermisophoniac”, niente è risparmiato al volenteroso ascoltatore.
La filastrocca di “Ezmeralda” è recitata come una preghiera e finisce con un esplicito “…you people are totally absurd”.
Dopo gli slogan di “Everything You Ever Learned”, Jack non rinuncia a una country ballad, seppur sgangherata, sfoderando “What’s Done Is Done” in coda alla spaziale “Get In The Mind Shaft”, e mischiando sapientemente Hank Williams con il funk elettronico di una drum machine.
La chitarra super-fuzzosa che è il suo marchio di fabbrica esce allo scoperto nel potente riff di “Over And Over And Over” e graffia nell’assolo di “Respect Commander”.
“Humoresque” è un’altra perla che non avrebbe stupito in un lavoro dell’Artista di Minneapolis, fra echi da chansonnier e dolcezze inattese di una cantilena quasi infantile.
Nessuna concessione all’ovvietà: siamo “fuori” e orgogliosi di esserlo. L’album si chiude su tre accordi ossessivi del pianoforte che White finge sapientemente di saper suonare come tutto il resto del suo armamentario.
Volendo essere realistici, Boarding House Reach è un album concepito più per stimolare che per farsi ascoltare. Di certo non è musica di sottofondo e non è detto che vi venga voglia di riascoltare la maggior parte dei pezzi, ma viene il forte sospetto che siano proprio follie come questa a rendere possibile un ipotetico futuro per quella che una volta si chiamava orgogliosamente musica Rock.
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