A poco meno di un anno di distanza dall’attesissimo e chiacchieratissimo Kid A, i Radiohead si ripresentano con un nuovo album, Amnesiac. Annunciato come un ritorno ad una musica più “commerciale” e a canzoni meno sperimentali, Amnesiac si rivela in realtà come l’ideale continuazione dell’odiato/amato Kid A, spiazzando ancora una volta molti loro fans, soprattutto quelli ancora legati alla fase brit-pop dei primi due dischi. I Radiohead si sono ritagliati uno spazio ben preciso nella scena musicale dopo l’enorme successo di critica e pubblico di Ok Computer (1997): i 5 di Oxford non seguono le mode, il successo di massa e le sonorità più in voga, ma pubblicano i loro album senza il convenzionale rito promozionale, senza singoli ad effetto né video stile spot pubblicitario. Sembra quasi intenzionale questo atteggiamento di scrollarsi di dosso il successo e la fama mondiali acquisiti dopo i primi album. La stessa cosa sta accadendo per Amnesiac, preceduto solo da un video di Pyramid Song, in linea con l’atteggiamento di Thom Yorke e soci, un video di soli immagini computerizzate sul tema dell’alienazione degli individui, provocata dall’esasperato progresso tecnologico e dalla globalizzazione. Rispetto a Kid A c’è un maggior uso di chitarre, come in I Might Be Wrong, Knives Out e Hunting Bears, ma non mancano momenti “sperimentali” come in Pulk/pull Revolving Doors e Like Spinning Plates, dove i rumori vengono combinati per produrre sequenze ritmiche a discapito della melodia. La voce di Thom Yorke viene usata quasi come uno strumento, con una pronuncia dei versi sovente incomprensibile per gli stessi anglofoni, così come di difficile comprensione risulta il significato delle liriche stesse. Le canzoni si succedono senza la continuità e l’unitarietà complessiva di Kid A: si intervallano sperimentalismo a momenti di più facile ascolto, irritando a volte per le sonorità troppo intellettuali in cui si rifugia il gruppo. A chiudere la track list c’é Life In A Glass House, la vera sorpresa dell’album, una ballata di piano e fiati jazz che sembra uscita direttamente da qualche locale di New Orleans. Le undici canzoni di Amnesiac provengono dalla stessa session che ha generato Kid A e l’atmosfera malinconica e surreale presente nell’album precedente viene riproposta in quest’ultimo, tanto che Amnesiac è stato già soprannominato “Kid B”, ovvero il gemello o clone del disco dell’anno scorso. Solo ripetuti ascolti potranno mostrare il reale valore di Amnesiac, come sempre accade quando ci si trova di fronte ad un disco di difficile accesso.
Casa discografica: Emi
Anno: 2001
Aggiungi Commento