Il nuovo album di Ray Davies, che arriva addirittura a distanza di dieci anni dal precedente Working Man’s Cafe, non è esattamente un concept album, ma gli si avvicina molto. Le quindici canzoni del disco si rifanno infatti all’omonimo libro di memorie delle sue esperienze negli Stati Uniti uscito nel 2013 ed è questo il tema cardine dei brani.
Registrato negli storici studi dei Kinks (i Konk Studios di Londra), ma con l’ottimo supporto dei Jayhawks, band alternative country del Minnesota, appare subito chiara la contraddizione tra il classico “stile british” di Davies e le influenze americane.
Davies, in realtà, già in alcuni album dei Kinks (su tutti Muswell Hillbillies del 1971) aveva fatto riferimento agli Stati Uniti, soprattutto risultando affascinato dal mondo delle star del cinema e della musica americana del passato.
Così come nel suo romanzo, Americana presenta una serie di vignette che raccontano le tante avventure della lunga carriera di Davies, a partire dai sogni della “land of the free” (la “terra dei liberi”) nella title-track che apre l’album, gli sforzi per ottenere un contratto discografico in “The Deal” e il romanticismo della pastorale “Poetry”, che attacca il tipico consumismo americano.
Il disco si muove tra atmosfere country e western (“A Place In Your Heart”), osservazioni della vita di ogni giorno tipiche di Davies (“Heard That Beat Before”) e deviazioni più rock (“The Great Highway”, che ricorda i Kinks di fine anni ’70).
Ray Davies racconta inoltre anche alcune esperienze traumatiche legate all’America, come l’uomo che lo derubò e gli sparò a New Orleans nel 2004 (“The Mistery Room”), i primi difficili tempi della British Invasion con i Kinks nella bella “The Invaders” e persino la nostalgia di casa durante i tour (“Message From The Road”).
Sono meritevoli anche i due brevi intermezzi parlati, in cui ci riporta al suo incontro con Alex Chilton dei Big Star e una bella citazione del classico “All Day And All Of The Night” dei Kinks.
“Americana” rappresenta un grande ritorno per Davies solista, abilissimo a raccontare la sua relazione complicata con gli USA, dai suoi sogni del dopoguerra ai gloriosi anni ’60 per i gruppi inglesi, fino alla disillusione e alla nostalgia di casa.
Francesco Taranto
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