NOI
Ciò che amo veramente nei libri è un miscuglio disomogeneo di cose. Al di là del contenuto, che è ciò che portiamo con noi costantemente, in modo conscio o inconscio, una delle cose che mi attraggono sono la forma, o meglio il formato, la copertina e non da ultimo l’odore.
Amo i colori tenui, i colori pastello delle copertine. Non amo la lucidità di alcuni libri, ma preferisco la sobrietà o l’idea che con il tempo, la carta ruvida, si scolori e crei nuove sfumature.
Quando li guardo, disposti secondo l’ordine che ho stabilito, nella mia libreria, li accarezzo con orgoglio. Ripercorro rapidamente la mia vita legata alla lettura dei miei libri.
“La mia vita e i miei libri”: in questa frase due aggettivi possessivi indicano l’appartenenza a me di due cose, i secondi oggetti tra gli oggetti, la prima, eventi tra gli eventi del mondo. Li caratterizza l’essere legati a me, alla mia persona.
Eppure il mondo si muove, incontestabilmente anche e soprattutto senza di me. Un numero a me inimmaginabile di persone, ignora la mia esistenza, non sa chi sono, ciò che ho fatto, come e dove vivo, quanti anni ho, se ho figli, se sono sposato. Lo stesso posso dirlo di loro. Vite distinte, eventi tra eventi.
Ci raggruppiamo con un pronome personale, un noi, che ci unisce sotto la specie Homo Sapiens. La razza umana. Noi è ciò che ci accomuna, e forse poco altro. Per il resto sono solo “chiacchiere” tra filosofi, sociologi, antropologi e tutti gli studiosi del mondo che ci studiano.
Un mondo di fascinazione e trame intricate che compongono, dalla nostra comparsa sulla terra, il cammino enorme che l’umanità, tutta, nel bene e nel male, o al di là del bene e del male, ha fatto.
Sono partito volontariamente dal NOI, dalla nostra condizione di essere umani, per raccontarvi le pagine di questo libricino. Uno di quei libricini che mi piacciono molto, per le caratteristiche prima elencate.
Mi piace perché porta con se non solo conoscenza, ma soprattutto domande. E dove queste domande trovano, nel tempo, risposte, l’autore chiude la sua narrazione con una nuova domanda NOI?
Si domanda che ruolo abbiamo nel mondo, noi studiosi e spettatori, al tempo stesso, dei fenomeni fisici che è andato descrivendo. Rovelli chiude l’ultimo capitolo proprio così, da dove sono partito, dal NOI.
Chiavi di lettura
A che servono le teorie scientifiche descritte nel testo ad un pubblico di musicisti?
Quando cerco un libro da raccontare, in questa mia piccola rubrica, penso sempre a cosa possa essere utile al pubblico, quali siano le cose veramente utili che possiamo trarre da un testo. La scelta del libro, posso affermare con una certa sicurezza, è la parte più lunga del processo di generazione di ogni mio articolo. Passo in rassegna i libri della mia libreria, cerco di ricordare alcune cose che mi hanno colpito e poi penso: “A chi potrebbe interessare questa lettura?“
Sospetto che vi siano diversi modi per leggere un testo. Sospetto anche che, alcuni testi siano in grado di dirci cose differenti, nei differenti momenti in cui li leggiamo. La grandezza della letteratura è questa. Nel preciso momento in cui mi sono approcciato alla stesura dell’articolo, ho immaginato quale chiave di lettura proporvi del testo, sicuro che, chi lo leggerà, troverà anche molto altro.
La prima cosa che mi porto da tempo con me, legata a questo libro, è l’idea che la scienza avvicini alla verità, ma che, come tutti i speri, non ne professi alcuna in senso stretto.
Ogni verità può essere messa in discussione, deve essere messa in discussione, per poter essere considerata vera. Se non mettiamo in discussione il nostro sapere esso si svuoterà rapidamente, non rigenerandosi e non procedendo da nessuna parte, anche quando le domande che ci poniamo sembrano impossibili.
Le domande che hanno mosso i protagonisti delle teorie raccontate da Rovelli, nel libro, sicuramente non sono state considerate impossibili.
Da qui ne consegue la seconda chiave di lettura, che mi affascina moltissimo: l’immaginazione. Penso alla prima lezione del testo intitolata “La più bella delle teorie”.
L’autore parla della “teoria della relatività” di Albert Einstein, una teoria che non nasce dal nulla, si fonda sulle teorie precedenti, le studia, le analizza, cerca di comprenderle fino in fondo, ed al fondo ci arriva, ma probabilmente con qualcosa che non corrisponde a ciò che si era immaginato.
Durante le mie letture legate alla teoria della relatività, mi sono imbattuto in una descrizione che più o meno corrispondeva alle parole che sto per scrivere “l’immagine dell’universo che la fisica descriveva non mi piaceva, così ho provato a dare una nuova immagine all’universo”.
Più o meno con queste parole Albert Einstein descriveva il processo che lo ha portato a teorizzare e sperimentare la sua teoria. Immaginare, immagine. Niente di più lontano da ciò che siamo soliti pensare riguardo alla scienza, eppure essa è anche questo, immagine, visione, prove ed errori.
Ed ecco la terza chiave di lettura che mi ha dato questo breve testo: l’elogio degli errori e la perseveranza. Quanti errori, fallimenti, prove, tentativi stanno dietro alla sperimentazione di una teoria scientifica, e quanti ve ne stanno attorno, quanti ancora si celano nelle sue pieghe e definizioni.
Quanto è grande la possibilità che tutto venga falsificato, cancellato, annullato? Anni di lavoro potrebbero essere spazzati via da un nuovo giovane scienziato che immagina diversamente la teoria attuale che descrive le leggi dell’universo. Quanto ancora resta ignoto il mondo che ci circonda?
Con queste consapevolezze la scienza convive costantemente, costruisce, crea, collabora e struttura un pensiero che non chiude in compartimenti stagni le definizioni, ma li lascia aperti alla scoperta, alla ricerca.
Di nuovo NOI
Con queste premesse si riapre il Noi, da dove sono partito, da dove l’autore ci conduce, ci accompagna a braccetto, guidandoci lentamente, fino a sfiorare con l’immaginazione delle teorie della fisica, l’abisso del mondo sconosciuto che abbiamo di fronte.
Noi, che ci voltiamo indietro e ricostruiamo l’universo fino al Big Bang, che lo ripercorriamo fino ad oggi, senza avere la certezza che le nostre teorie siano corrette.
Noi, di fronte alla luna, che ancora la invochiamo, come facevano gli antichi, come faceva Leopardi. Noi che proviamo a guardare oltre la sua luce riflessa, che miriamo le stelle ed il buio attorno ad esse.
Noi che immaginiamo note che si dispiegano, all’infinito, quanto abbiamo da imparare da tutto ciò?
Se non le teorie, sicuramente un modo di porsi di fronte al mondo, alla musica, alla vita.
Buona lettura!
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