In un anno che vedrà anche il ritorno dei Ride, torna a ventidue anni di distanza dall’ultimo disco (Pygmalion) un’altra classica band del periodo shoegaze, gli Slowdive. Lo fa con questo nuovo album omonimo, composto da otto tracce che confermano lo stile inconfondibile che li rese celebri negli anni ’90.
Photo by Ralf Lotys – CC BY 4.0
Dopo la recente reunion per alcuni live, molto ben accolti da critica e pubblico, il gruppo ha subito messo in chiaro di non voler dar luogo semplicemente a un’operazione nostalgica in quanto ha nuovo materiale in cantiere.
Il risultato attinge anche dalle esperienze musicali che i singoli membri hanno avuto negli ultimi vent’anni, unificate dalla produzione moderna a cura di Chris Coady (produttore dei Beach House).
Nel disco la band riesce a mettere a fuoco il consueto impeccabile gusto pop e le inclinazioni sperimentali, a partire dal primo singolo estratto (“Star Roving”), il più carico di melodie insieme all’ottimo dream-pop di “Everyone Knows”.
Ad aprire e chiudere l’album troviamo invece “Slomo” e “Falling Ashes”, i due brani più lunghi e dilatati, che riportano alle atmosfere elettroniche della breve collaborazione con Brian Eno di metà anni ’90.
Le voci leggere, quasi trasparenti e indistinguibili, di Neil Hasted e Rachel Goswell contribuiscono a rendere i brani eterei e sognanti, sulla scia di band come Cocteau Twins o gli ultimi Talk Talk, in particolare nell’evanescente “Don’t Know Why” e la calma “Sugar For The Pill”, sfociando quasi nel noise in “Go Get It”.
Photo by Ralf Lotys – CC BY 4.0
Un disco perfettamente in linea con lo stile shoegaze del passato e con le tante band che ad esso si sono ispirate più recentemente, grazie alle chitarre pesantemente effettate, alcuni loop elettronici ben inseriti nel mix e persino qualche melodia “folkeggiante”, frutto delle esperienze da solista di Neil Halstead.
Un disco classico, ma al tempo stesso decisamente moderno.
Francesco Taranto
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