Gli islandesi hanno un modo di fare musica che somiglia un po’ alla loro isola. Proprio come l’Islanda, che ha una media di tre abitanti per chilometro quadrato, i loro album non sono composti dagli uomini, sono composti dalla natura, dalle distese infinite di terra, dal gelo, dai geyser, dai vulcani, dai fiordi, dall’aurora boreale. «La musica islandese è una musica di ghiaccio, ma composta col fuoco», è questo che penso ogni volta che mi avvicino al post-rock dei Sigur Rós, o all’indie-folk degli Of Monsters And Man. Cambiano i generi, cambiano gli autori, ma il motivo di fondo sembra lo stesso: il destino di risuonare perennemente tra i ghiacciai d’Islanda. La prima volta che ho ascoltato Soléy non sapevo chi fosse, ma ho pensato subito che dovesse essere inevitabilmente natia di quelle terre. Un album ed una ricerca su Google non hanno fatto altro che confermarmelo. L’album in questione era We Sink, e nonostante al tempo sia rimasta colpita dall’incredibile talento della giovane polistrumentista, dalla sua voce carezzevole, dalle sue ballate al piano, percepii chiaramente come a quel disco mancasse “qualcosa”. Mancava, nello specifico, “qualcosa” che unisse le due anime nascoste dell’autrice, quella antica delle armonie pianistiche e quella moderna dell’Art-Pop e dell’electro-folk.Questo “qualcosa” è invece ben presente nella seconda fatica della nuova stella della Morr Music, ed è qualcosa di oscuro, che si nasconde in profondità, come ci rivela il titolo dell’album: Ask The Deep. Il disco si apre con un pezzo (“Devil“), ma soprattutto con una domanda («Have I danced with the devil?») la cui risposta si snoda insinuandosi lungo le dieci tracce: sì, Soley ha ballato col diavolo, e invita anche noi alle danze.E per ballare col diavolo bisogna scendere negli inferi, lungo percorsi oscuri. “Ævintýr“, il secondo brano, è solo l’inizio della discesa, la voce d’angelo dell’islandese ci accompagna insieme a suoni elettronici che ricreano un’atmosfera quasi tribale, ancestrale. «You must face your fairytale», dobbiamo affrontare le nostre favole per continuare il viaggio, per osservare l’oscurità con quel distacco e quella serenità che percorrono tutto Ask The Deep.Non c’è inquietudine nella voce di Soley, che ci giunge da un anfratto nascosto di synth e folk. C’è, casomai, un invito a seguirla nel suo viaggio, un invito a guardare senza paura la coltre di oscurità che si allarga davanti ai nostri occhi e ad affrontarla, per poi uscirne rigenerati e nuovi. Ed è così che dai suoni oscuri di “Follow me Down” e “I Will Never“, si passa alla placidità delle tastiere di “Dreamers“, che è quasi una ballata, un’oasi di pace, un mare calmo dopo la tempesta. “Lost ship” è l’ultima traccia e la particolarità qui è la presenza di un suono campionato già ascoltato nella prima: l’album non si chiude, quindi, ricomincia. Come se fossimo in un circolo vizioso, come se ci trovassimo in una strada senza uscita, Soley ci suggerisce che non possiamo abbandonare i nostri demoni, ma possiamo danzare con loro. Arianna Di Maulo Tracklist:
1. Devil
2. Ævintýr
3. One Eyed Lady
4. Óhljóð
5. Halloween
6. Follow Me Down
7. Breath
8. I Will Never
9. Dreamers
10. Lost Ship
Soley – Ask The Deep
Gli islandesi hanno un modo di fare musica che somiglia un po' alla loro isola. Proprio come l'Islanda, che ha una media di tre abitanti per chilometro quadrato, i loro album non sono composti dagli uomini, sono composti dalla natura, dalle distese infinite di terra, dal gelo, dai geyser, dai vulcani, dai fiordi, dall'
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