Dopo l’ultima delle repliche in teatro, Netflix mette in onda il documento video del coraggioso one man show di Bruce Springsteen, chitarra, piano e voce.
Ho visto il futuro del rock’n’roll… scriveva Jon Landau nel 1974. Si riferiva allo stesso uomo che 45 anni dopo ha scelto di raccontarsi per cinque sere a settimana mettendo a nudo le sue debolezze e la passione di una vita. L’artista che poi Landau ha seguito come manager e produttore, quello noto al mondo della musica semplicemente come il Boss.
Bruce oggi ha lo sguardo sperduto e a volte un po’ triste di chi ha passato gli ultimi anni a combattere la depressione che ha iniziato ad affacciarsi appena compiuti i 60 anni. Le riprese effettuate al Walter Kerr Theater di Broadway lo mostrano da vicino, splendido (quasi)settantenne capace ancora di graffiare, commuovere, divertire, inchiodare l’attenzione del pubblico sulle storie di una vita.
Sono le storie di un artista che è riuscito a mantenere viva per decenni la tradizione dei più grandi songwriter (e, perché no, cantastorie) americani come Woody Guthrie e Bob Dylan senza mai perdere di vista il mondo contemporaneo, bruciando sul palco una quantità infinita di energia e spremendo sudore a litri sulla sua chitarra nel nome benedetto del rock’n’roll.
D’altronde, in quasi mezzo secolo di percorso il panorama è cambiato molto e tenere gli occhi bene aperti sulla realtà richiede spesso un prezzo da pagare. Dopo le terapie mediche Springsteen è passato a un tipo di medicina più familiare basata sul faccia a faccia con le persone sotto il palco, quelle per cui ascoltare le confessioni di un artista di questo livello è un privilegio, un piacere che vale ogni dollaro del biglietto.
Sono state ben 236 le repliche dello show acustico iniziato nell’ottobre 2017 e terminato quasi un anno dopo, il 15 dicembre. Accompagnato dalle sue fidate chitarre acustiche, un piano a coda, l’armonica e con un piccolo aiuto da sua moglie Patti Scialfa, Bruce ha tirato fuori i suoi demoni e celebrato anche gli angeli come la mamma ultranovantenne che, pur malata di Alzheimer, rimane una ballerina incallita e un riferimento perenne.
In lunghe introduzioni alle sue canzoni Springsteen racconta dell’infanzia, del padre, dello shock avuto a 7 anni davanti allo show televisivo di Elvis Presley, momento cruciale in cui ha scoperto il rock’n’roll e la chitarra. E poi altro ancora, in monologhi da grande attore ben studiati per tenere alta l’attenzione e preparare l’entrata della canzone di turno.
Ascoltare in versione così spoglia una canzone epica come “Born To Run” è già un’esperienza formativa, ma “Born In The Usa” – privata del battito roboante della batteria di Max Weinberg – è qualcosa di totalmente nuovo nell’ipnotica rilettura segnata dall’uso della slide sulla 12 corde, trasformata in un blues cupo e sofferto che si adatta ancor meglio al testo, cantato qui praticamente a cappella.
She’s the queen of my heart… è l’introduzione all’ingresso sul palco di Patti Scialfa, che lo affianca in qualche pezzo prima del finale dello spettacolo in cui Bruce è di nuovo da solo davanti a un pubblico attento ed emozionato, più che pronto a cogliere gli spunti offerti dai testi delle canzoni e, ancora più esplicitamente, dagli intermezzi parlati.
Cosa vuol dire essere americani oggi è una delle domande chiave per un artista che vive un momento particolarmente delicato per il suo paese e la cui missione dichiarata rimane quella di scuotere l’anima del pubblico con la sua musica, di consegnare uno strumento – semplice ma potente – per accompagnare i momenti belli e meno belli della vita.
Springsteen on Broadway, pubblicato da Sony Music su doppio cd, raccoglie una ventina di canzoni fra le più famose e significative del Boss con una serie altrettanto nutrita di monologhi introduttivi, comodamente sottotitolati nel film. La dimensione raccolta del teatro e il suono acustico permettono di valorizzare a fondo le dinamiche, dando spazio a ogni sfumatura della voce, a ogni delicatezza strumentale.
Il documento in video, disponibile su Netflix dal 16 dicembre subito dopo l’ultima replica teatrale, è uno di quei film cui non manca nulla: passione, amore e rabbia, caduta e rinascita, speranza, paura, finzione e realtà, spontaneità e mestiere. Due ore e mezza di riprese che spaventano per la lunghezza ma subito affascinano, catturando senza trucchi chiunque sia stato accompagnato dalla musica di Springsteen anche solo in parte del suo percorso.
È un atto di coraggio, quello di mettersi così a nudo senza nascondere nulla o quasi, che merita rispetto e non puoi fare a meno di sperare che la lunga terapia abbia avuto un effetto positivo. Viene in mente un Boss di altro tipo, quello interpretato da Robert De Niro in Analyze This (Terapia e pallottole). Chissà se Bruce ha trovato il suo Billy Crystal…
Di sicuro il sorriso si ravviva sul suo volto quando, verso la fine della serata, arriva il momento di introdurre la celebre “Dancing In The Dark”…
Spero di avervi dato altrettanta gioia di quanta ne ho ricevuta da voi e di essere stato un buon compagno di viaggio…
Ricordate che il futuro non è stato ancora scritto! Quindi, quando le cose sembrano difficili fate come la mia possente mamma: allacciatevi le scarpe da ballo e mettetevi al lavoro!
Cosa ci sia nel futuro di Springsteen, con o senza la fida E Street Band, è tutto da scoprire, ma qui c’è pane per i denti per tutti quelli che hanno amato la sua musica e la sua figura per decenni.
Nonostante tutto il Boss non molla.
Aggiungi Commento