Steve Morse è sicuramente uno dei più grandi chitarristi rock degli ultimi tempi. Dotato di grandissima tecnica e versatilità si sta ormai confrontando in tre formazioni così diverse da cui possiamo sicuramente evincere la sua grande preparazione e bravura sia musicale che chitarristica. Si parla ovviamente dei Deep Purple (in sostituzione di Blackmore), dei Dregs (di cui è membro fondatore) e della sua Steve Morse Band. La Magna Carta gli commissionò questo album nel 1999 con l’intento ben preciso di riassumere in un disco le più importanti influenze chitarristiche (e musicali) che egli ebbe prima e dopo l’inizio della sua carriera. Steve raccolse la sfida e fece di più, non si limitò a riproporre delle semplici cover, ma scrisse canzoni ex-novo cercando (e riuscendosi in pieno) di fondere lo stile predominante del chitarrista prescelto. La line-up è sempre la solita da molti dischi ormai e cioè Steve Morse alle chitarre e synthesizers, Dave LaRue al basso (in questo disco è veramente spettacolare) e Van Romaine alla batteria.Le canzoni contenute nel disco sono 11 e raffigurano ciascuna una particolare influenza diversa. La prima, Derailleur Gears è marcata Cream e più precisamente Eric Clapton. Si tratta di un blues molto aggressivo che ricorda le sonorità di Crossroads, ma che nel solo poi esplode in tutto lo stile di Steve Morse. Plettrata alternata, molta grinta e soprattutto, come dice lo stesso Morse nel libretto, tanta improvvisazione rendono questa la canzone perfetta per aprire il cd.Passiamo poi a Well, I Have e cioè la canzone che si rifà al grande Jimi Hendrix. Se si vuole questa è la canzone più “sentimentale” dell’album ma solo nelle intenzioni. Si parte con un bell’intro sincopato che poi sfocia in una delle tipiche frasi ritmiche di Hendrix, nella quale il “nostro” sfrutta benissimo le triadi maggiori per poi tuffarsi in un bellissimo assolo col wha e alla fine nell’assolo registrato al contrario di Are you experienced. E’ sicuramente uno dei pezzi meglio riusciti dell’album in cui Morse intuisce la grande propensione ritmica più che l’aspetto virtuosistico di Hendrix.Il terzo brano è TruthOla e cioè una canzone che riassume tre influenze ben assimilabili tra loro e cioè Jeff Beck, Eric Johnson e Alex Lifeson (chitarrista dei Rush). Il brano parte con un bellissimo arpeggio effettuato su un accordo sospeso e che ricorda echi dei Rush per poi partire in un concentrato tra la splendida pulizia di Eric Johnson e la grande forza emotiva di Jeff Beck. Qui Steve sembra prediligere il lavoro che Jeff Beck ha costruito usando una Les Paul piuttosto che la Strato e soprattutto raccoglie in maniera molto convincente gli anni passati a suonare con Eric Johnson. Passiamo poi a Migration splendida “pop strumental song” nella quale si sentono gli echi dell’influenza del grande Roger McGuinn e della sua 12 corde e il cui arpeggio-tema iniziale, ricorda da vicinissimo la famosa Mr. Tambourine Man di Dylan coverizzata a sua volta dai The Byrds. La melodia, ovvero quella che dovrebbe essere la voce di David Crosby, viene rifatta ovviamente dalla MusicMan di Morse che quindi si sostituisce al cantante e ci allieta con delle bellissime e dolcissime melodie. Ecco che si passa al prossimo brano e si sentono degli echi indiani, quasi epici. Si tratta di Led On la song dedicata a Jimmy Page. Ovviamente anche qui il riferimento è personalissimo perché non riguarda il rocker Jimmy Page, ma la parte della discografia del “Led” in cui utilizza accordature aperte e bottleneck a raffica per ottenere quelle sonorità indiane particolari. Verso la fine della song comunque c’è spazio per una fuga nel settore più rock di Page ed ecco che si incominciano a sentire i lickettoni del miglior repertorio Zeppelin.Ed ecco che arriviamo alla canzone più spettacolare del cd. Si tratta di The white light e cioè il tributo al grande John McLaughlin. Qui la chitarra è acustica e Morse è maiuscolo, preciso, veloce e perfetto. La canzone spicca però per la grandissima performance al basso di Dave LaRue che ci regala uno splendido assolo di basso fretless. Tutto costruito su un pattern di note che si ripete per tutta l’estensione della tastiera così come da classico schema McLaughlin. Chi è il più grande chitarrista rock di tutti i tempi? Sicuramente Keith Richards per Steve Morse. Ed ecco che una chitarra accordata in Sol aperto, ci riporta in mente i mitici riff di Start me up o Brown sugar o Honky tonk women. La ritmica è smaccatamente Stones e l’assolo ha a che fare sicuramente con reminiscenze folk e country. Arriviamo al brano in cui Morse rassomiglia molto (tanto da quasi non riuscire a sentire differenze) all’artista che lo ha influenzato e cioè Lesile West dei Mountain. La canzone si chiama Bring it to me e ricorda moltissimo Mississippi Queen. L’assolo (secondo le note nel booklet) è stato totalmente improvvisato pensando a come Leslie West avrebbe improvvisato su questa canzone. Potevano non esserci i Beatles in questo splendido album? No, ed ecco che Morse ci regala una splendida Harrison-song a metà tra le atmosfere di Here comes the sun e le ritmiche ascendenti di While my guitar gently weeps. Il solo ricorda molto da vicino quello di Something ed infatti il titolo quale poteva essere se non: Something Gently Weeps? Arriviamo alle due ultime tracce del cd e cioè Free in the park che è ispirata agli Allman Brothers e Prognosis ai Kansas e agli Yes.Free in the park riporta la classica struttura Allman e cioè quella costituita da chitarre armonizzate e grandi assoli con la slide. Morse anche qui è precisissimo e perfetto nel riportare e suonare al meglio con le svariate tecniche. L’ultimo brano Prognosis è un classico brano progressive anni 70 o giù di lì, con reminescenze che vanno dalla complessità dei riffs dei Kansas, ai bellissimi inframezzi acustici di Steve Howe degli Yes basati soltanto su semplicissimi strum di accordi. Il cd si conclude qui e sicuramente stiamo parlando di un disco personalissimo e originalissimo, suonato stupendamente da una band eccezionale e soprattutto scritto da un musicista e chitarrista che sicuramente negli ultimi anni si è caratterizzato per la sua versatilità e modestia. Major Impacts è sicuramente un album ascoltabilissimo e godibilissimo anche se dovrebbe essere ascoltato da un utente esperto in grado di riconoscere tutte le varie sfumature proposte da Morse nella scelta degli artisti che lo hanno influenzato di più.
Casa discografica: Magna Carta
Anno: 2000
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