“Our heritage, our politics are really important, but our musical vibe together is the thing.Our live performances speak for themselves” Si presentano così nel loro secondo disco i System Of A Down, band Americana (anche se i membri sono Armeni) composta da: Serj Tankian (voce), Shavo Odadijan (basso), Daron Malakian (chitarra), John Dolmayan (batteria). A tre anni dal lancio del primo disco ritroviamo questa band più “raffinata”, fortunatamente lo spirito è ancora lo stesso e possiamo notare un miglioramento musicale che spesso viene erroneamente scambiato per “commercializzazzione”. Toxicity esce una settimana prima del tragico 11 settembre del 2001 ed il grande successo che riscuote mette in difficoltà i mass media, che vedono il disco per la pace al secondo posto, sotto alla nuova fatica dei SOAD. Aneddoto che fa capire quanto questa band abbia venduto in America, nonostante i continui “Attacchi musicali” compiuti verso essa. In Toxicity ritroviamo l’impronta armena che li distingue, anche se meno accentuta rispetto al primo disco (Omonimo disco intitolato System Of A Down – 1998).Le vocalizzazioni di Serj Tankian sono più accentuate, come i cori di Daron Malakian ed i brani sono incredibilmente vari, passando da pezzi trash metal spinti ad un crossover leggero con arpeggi melodici e rispettive vocalizzazioni “felpate”. L’apertura spetta ad un pezzo molto duro e graffiante, dove spesso le voci si incrociano tra urla al limite dell’esasperazione.La vera anima dei SOAD esce fuori nel primo singolo del disco Chop Suey, dove si alternano vari stili musicali abbinati ad un testo struggente ed a richiami fortemente mediorientali; è questo il pezzo che ha reso questa band popolare in Italia!Il disco prosegue con alti e bassi, tra pezzi votati al “pogo” ed altri più intellettuali, dove Tankian riesce a far valere la sua potente voce sulla distorta chitarra di Malakain che “sporca” questi brani.L’ascolto prosegue morbido appena ci si abitua al genere e non risulta mai ripetitivo, grazie anche alla scelta delle tracce. Da segnalare la track finale dell’album che ha permesso ai SOAD di fare il grande boom anche in Italia. Disco sicuramente mai banale e per certi versi innovativo, dove quattro ragazzi esprimono il loro essere senza né presunzione né pretese. “No one ultimately knows what they’re saying anyway. Are we really making art? Art doesn’t belong to us. It doesn’t belong to people, it belongs to the universe. It comes from the universe. It comes through us. When I write something, I think I know what I’m saying, but I never pretend to know the full meaning of the words.” Nessuno sa completamente cosa noi diciamo. Stiamo davvero creando arte? L’arte non ci appartiene. L’arte non appartiene alla gente, appartiene all’universo. Essa viene dell’universo. L’arte si esprime attraverso di noi. Quando scrivo qualcosa, io penso di sapere cosa dico, ma non pretendo di conoscere l’intero significato delle parole.
Casa discografica: Sony
Anno: 2001
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