Ogni album dei Cranberries ha avuto finora una sua caratteristica emblematica, che lo ha reso una precisa tappa della carriera della band, svoltasi sempre sotto la confortante egida di uno stile inconfondibile contraddistinto dai talentosi virtuosismi canori di Dolores O’Riordan. In Everybody Else Is Doing It,So Why Can’t We? tale specifica dote era l’intensità che magicamente trasformava brani quasi fin troppo acustici in piccoli capolavori mozzafiato; No Need To Argue era contrassegnato dalla maturità del sound, mentre To The Faithful Departed da una vivida carica rock. L’album del ’99, Bury The Hatchet si era segnalato invece per il sensibile avvicinamento a delle sonorità in qualche modo più schiettamente pop.Ora quale qualità impronta Wake Up And Smell The Coffee? La risposta è probabilmente la continuità, che, croce e delizia per i fan, rischia di scadere nella monotonia. Forse già consci di questo pericoloso senso di noia che poteva impadronirsi dei loro più fedeli ascoltatori o dei fan nuovi di zecca, i Cranberries hanno ben pensato di inserire qualche nuovo spunto in quest’album, ma senza che penetrasse in profondità a vivificare gli arrangiamenti, che sembrano spesso solo una variazione su un abusato tema, anziché frutto di una qualche fresca innovazione. Certo, This Is The Day è un brano rock di eccellente fattura, il cui ritmo procede energico e godibilissimo senza momenti opachi, ma poche sono le canzoni così convincentemente grintose in questo cd. Una di queste è Wake Up And Smell The Coffee, che ha conferito l’insolito titolo all’album e sfodera una particolare intro che ricorda lo sperimentalismo della musica di un’altra esecutrice di eccezionali vocalizzi, Dido. Se però quest’ultima si dimostra sempre, per il suo spirito sperimentale, sorella non solo effettiva, ma anche ideale di Rollo Armstrong dei Faithless, i Cranberries non reggono invece il peso di una qualche ardita svolta musicale e ritornano in questo brano, dopo appena un minuto e venti di novità, ad un grandioso arrangiamento, che si macchia però di tradizionalismo. L’interessante I Really Hope fa venire in mente i violini di Texarcana, uno dei pochi brani non celeberrimi dell’album che portò alle vette delle classifiche mondiali i R.E.M., Out Of Time e questa lieve somiglianza non è per nulla sorprendente, dato che in qualche modo la musica dei Cranberries, irlandese ormai solo per ovvi motivi anagrafici ma non per sonorità vagamente celtiche o autenticamente folk, deve necessariamente strizzare l’occhio al rock d’autore… Gli arrangiamenti di Never Grow Old, Pretty Eyes e Carry On rivelano il maldestro tentativo di nascondere con qualche elemento meno stereotipato (un tocco di piano nel primo brano, la simil-drum-machine del secondo) la ripresentazione del sound tipico dei momenti meno brillanti di Bury The Hatchet. La valorizzazione del suono del basso di Mike Hogan, quasi insolito protagonista dell’accompagnamento della triste ed uniforme ballad Dying Inside, o un uso quasi R&B, lontanamente alla Alicia Keys, del piano in The Concept non riscattano un album poco vivace… La suggestività dell’ acustica e scarna Chocolate Brown si diluisce, a causa della ripetitività del ritmo, fino quasi a dileguarsi… Do You Know resta pure senza infamia e senza lode, nonostante un arrangiamento chitarristico di ottime intenzioni che unisce sapientemente suoni elettrici ed acustici. Every Morning è invece così scontata e dolce da risultare stucchevole e desolante per chi ha amato Waltzing Back ai tempi di Everybody Else, o Hollywood ai tempi di To The Faithful Departed. In questo tripudio di prevedibilità, c’e’ da riconoscere la tenue ma notevole originalità delle armonie di In the Ghetto di Mac Davis e la qualità della favolosa intro di Analyse, nella quale riff di sicuro effetto si innestano sul ritmo incisivo costruito dalla batteria. Eppure una leggera somiglianza con Dreams (una delle hits dell’album del ’92) toglie smalto a questo brano scelto come primo singolo, che in effetti poteva svilupparsi con un po’ più di brio nelle strofe. I testi sono volutamente semplici, a causa di un’ esibita esaltazione di temi intimistici e di situazioni giornaliere vicine alla comune esperienza di tutti, che provoca però un appiattimento dei contenuti. L’ unico brano che pudicamente osa distaccarsi da questa dimensione sentimental-famigliare, circoscritta e sentita, è Time Is Ticking Out, che però si rivela un troppo semplicistico tentativo di risfiorare quelle problematiche sociali e politiche (e in questo caso quasi “ecologiche”) che avevano impregnato le parole di To The Faithful Departed, grondanti invece impegno e passione, pulsanti di vita vissuta…Questo cd resta gradevole e accarezza l’orecchio con rasserenanti arpeggi e melodie zuccherose, ma Dolores e soci sanno fare di più e di meglio e l’hanno ampiamente dimostrato in passato. Che ora l’abbiano dimenticato?
Casa discografica: MCA/Universal
Anno: 2001
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