Quando un baritono incontra due coppie di fratelli musicisti, che formino un gruppo è molto più scontato dell’evento in sé ed é infatti quello che è accaduto nel 1999 in Ohio quando nacquero i The National. Nei 12 anni di carriera che ha sulle spalle il gruppo ha plasmato 5 album di grande personalità, di cui gli ultimi 3, “Alligator”, “Boxer” e “High Violet”, possono essere considerati tra i migliori prodotti cresciuti nel sottobosco della musica indipendente. Il loro rock intellettuale, profondo e ricercato, riesce nell’essere unico e stupisce le nostre orecchie con le sue architetture sonore intarsiate di preziosi dettagli che bisogna saper ascoltare e che mal si conciliano con la superficialità.
Anche in High Violet, Matt Berninger ci accoglie alla porta e ci illustra le atmosfere create e arredate da lui e i suoi compagni senza abbandonarci mai per i 47 minuti e 40 secondi della nostra visita; la sua voce narrante, raffinata e sobria, avvolge fin dai primi versi di “Terrible Love” con quel tono profondo e carismatico, che da solo dà le pennellate più importanti alle atmosfere agrodolci che si presenteranno davanti le nostre orecchie. Terribile Love è un inizio in crescendo, che sfocia in una tempesta che avvolge capitan Berniger, per poi lasciare spazio alle acque quiete, delicate, agrodolci di “Sorrow”. I ritmi dettati da basso e batteria danno a “Anyone’s Ghost” un fascino sinuoso reso oscuro dall’incontro con la voce e dall’atmosfera creatagli intorno dalle chitarre e i leggeri archi; in “Little Faith” resta solamente l’atmosfera, leggera, sospesa tra malinconia e dolcezza. L’apice del disco si trova nella sezione centrale con “Afraid of Everyone” e “Bloodbuzz Ohio”: la prima è dinamica, ha ritmi sostenuti incorniciati in un armonia di cori e tastiere quasi sacrali. Bloodbuzz Ohio è probabilmente la punta di diamante dell’album con la batteria sostenuta e serrata che procede parallela agli spazi dilatati di un atmosfera che si apre ad ambienti meno oscuri, da cogliere ad ampi respiri nella loro profonda semplicità. “Lemonworld” prosegue sotto questo cielo meno cupo, ha un accompagnamento lineare, salvo accurate variazioni e particolari, a cui Berniger da colore con la sua voce come un artista su tela bianca, giocando sulla melodia; come anche in “Runaway” un lento epico nel suo minimalismo, che incide nonostante l’essenzialità. “Conversation 16 “riprende dinamicità, torna Bryan Devendorf dietro le pelli dopo una piccola pausa nella traccia precedente. I The National non sono solo il suo frontman, ma anche questo sosia di John Lennon che si dà alla batteria merita la nostra attenzione per le sue sezioni ritmiche mai fuori posto, sempre raffinate e attente ai dettagli. La nona traccia conferma tutto ciò, e conferma anche che i The National sono una fucina inesauribile di melodie superbamente ricercate. “England” torna, invece, sulla strada di Lemonworld e Runaway pur finendo in un crescendo rarefatto. “Vanderlyle Crybaby Geeks” è la fine del nostro viaggio, quasi inno ai The National stessi per quei ritmi lenti, che oscillano ma non si alzano mai: restano lì sospesi ed è questa la loro bellezza. High Violet cresce ascolto dopo ascolto, diventa sempre più profondo; non ha nulla da invidiare ai lavori precendenti e come loro è cosparso di quell’aura di perfezione propria solo delle opere d’arte. Ai The National è sempre più appropriato il ruolo di dandy incurabili che hanno trovato la loro vocazione nel plasmare raffinate alchimie. Tracklist:
Francesco “Forsaken_In_A_Dream” Cicero The National Website
Anno: 2010
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