Lunedì mattina, ore 6.30. Pop… Beatles e Stones? Rock… cos’è allora? Il suono nevrotico della sveglia tuonò violentemente nel silenzio della camera, mettendo così fine alle poche ore di sonno. Sul tavolo ancora c’era il pacchetto di sigarette terminato e una tazza con i fondi del caffè.
Che fatica aprire gli occhi. Spense l’arnese elettronico con una forza tale da distruggere una pila di mattoni, così da assicurarsi che non continuasse a ringhiare. Occhi dritti attoniti verso il soffitto. Non si poteva certo dire fosse l’inizio di una nuova settimana di lavoro, visto che quella precedente non era mai finita. Dal lunedì alla domenica fino tardi, così era stato anche la sera prima. Scartoffie, correzioni, brocche di caffè. Scartoffie, brocche di caffè, correzioni e bozze, niente d’insolito.
Il lunedì mattina era sempre infernale, solamente una doccia gelata lo riportò nel mondo dei vivi. Sedette alla scrivania, ma subito il fischio della macchina in cucina, l’avvertì che il caffè era pronto.
Rito mattutino: doccia, caffè, controllo della casella mail, zapping fra i siti internet per tutte le news fresche di pubblicazione. Tutti i giorni nello stesso ordine, guai a sbagliare.
La differenza rilevante del lunedì, è che solitamente la mailbox non riesce a contenere tutte le consegne per i giorni successivi, ed anche quel lunedì mattina non fece eccezioni.
Dopo aver controllato per bene il materiale di lavoro, l’ignorò bellamente. Andò invece a prendere un pacchetto arrivato la settimana prima. La dentro aveva deciso esserci la sua prossima occupazione.
L’imballo proveniva da una località sconosciuta e già questo lo intrigava abbastanza. Prese il disco e accese lo stereo, si sdraiò sul divano e ci rimase per tutta la durata dell’album.
Un po’ di The Jesus and Mary Chain per alcune sfumature, voce all’Al Green, chitarra riverberata alla Flying Burritos. Interessante.
Finito il disco, rimaneva poco da fare se non buttarsi sulla tastiera del computer e dare forma a ciò che aveva annotato su un pezzo di carta durante l’ascolto. Qualcosa lo turbava, un infelice prurito alle mani. Qualcosa non l’aveva convinto del tutto. Iniziò un giro di telefonate indagatorie a tutti gli amici e colleghi che potevano saperne qualcosa. “Mah, sono un buon gruppo rock”. La risposta era all’incirca sempre la stessa.Rock? Chi… quelli?
Dove? Ma soprattutto… Perché?
Fece ripartire il disco, e così poi un’altra volta ancora, ancora e ancora. L’orologio segnò l’una del pomeriggio. In quell’istante era ancora sprofondato nelle pieghe del divano, cercando di capire come risolvere ciò che lo tormentava a tal punto. Mangiandosi nervosamente le unghie, finì per scarabocchiare tutt’attorno agli appunti presi durante quegli ascolti così concentrati.Caffè.
In cucina i piatti sporchi stavano nel lavello da una giornata e tutto sembrava fin troppo incasinato. Rovistò nei vari barattoli, ma niente, finito. Un brivido l’attraversò da capo a piedi, non si poteva proseguire. Come i jeans fossero finiti sopra l’armadio, era qualcosa difficile da ricordare, ma i problemi in quel momento erano ben altri. Quella melodia che rimbalzava ancora tra le pareti della testa, era il primo di tanti, tutte le altre canzoni molti degli altri.
Rischiando di cadere infilandosi jeans e cappotto allo stesso tempo, scese le scale di casa tre a tre per arrivare nel turbine di gelo invernale che avvolgeva la città.
Il supermercato più vicino era a due isolati, s’incamminò quindi rinchiudendosi nel bavero per non rischiare di lasciarci le penne, debole com’era. All’angolo, passando di fronte ad una vetrina, fu attratto da quella che sembrava essere la stessa copertina del disco che aveva ascoltato per tutta la mattina.
Il negozio stava per chiudere. Entrò famelico per informazioni e s’appoggiò con entrambi i gomiti al bancone, dietro il quale un commesso giovane e spaurito con un’appena accennata peluria sul viso, non riuscì a dire molto più di quello che le pubblicità già facevano. Ignorante.
Chiese allora se “gentilmente” fosse disponibile qualche altro album della band. Prese la borsa con i due dischi e uscì filato dalla porta per reimmettersi nella bufera.
Ancora quella dannata melodia.
Camminò per un po’ mugugnando, cercando di mettere i passi uno dietro l’altro a ritmo della batteria, che ricordava esattamente come se l’avesse avuta davanti. Non gli era mai riuscito di fischiare, quindi mugugnò a labbra strette.
Finalmente l’insegna del supermercato si fece vedere in quella giornata grigia. Non c’era verso di togliersi il pensiero dalla testa.
Fece scorta di caffè per qualche giorno, comprò qualche pacchetto di biscotti e diverse birre. Si lasciò in fretta le porte del negozio alle spalle per rientrare velocemente al suo appartamento. Proprio mentre era a metà strada, il cellulare iniziò a ringhiare furiosamente. Il capo pretendeva risposte.
Seguirono cinque minuti d’indemoniata telefonata riguardo quello che stava combinando negli ultimi giorni e ripetute domande su come progrediva il lavoro.
La catena di montaggio non gli dava tregua, perché non capivano che c’era un problema in quel disco?
Sempre a pensare alle scadenze, alle consegne, alla ricezione, al sociale.
Santo Dio! Smettiamola con questo lavoro! Volete che scriva? Lasciatemi scrivere! Basta con queste scadenze. Il grande capo si trovò quindi costretto a ripetergli l’ennesima paternale, a cui rispose che avrebbe terminato per il giorno dopo.
Si arrovellò per un po’ nei pensieri più assurdi. Anche in quelli che lo vedevano protagonista di una rivolta nell’atrio della redazione, così da affrancarsi finalmente da tutte quelle rigidità che parevano non dare aria alla sua vena artistica.
Sushi take-away. Recuperò il pranzo e se ne tornò a casa.
La scadenza non lo preoccupava già più, sapeva bene non sarebbe riuscito a rispettarla. Sapeva bene di non volerla rispettare del tutto, perché avrebbe significato soggiogare il proprio dilemma alla dittatura dei tempi di stampa. Non è così che nascono le opere d’arte!
Gettò il cappotto sull’attaccapanni copiando una mossa d’agente segreto dei film, ma quello s’accasciò miseramente a terra. Le serrande ancora abbassate, vetri chiusi, un’aria pesante e stantia, ma non se ne preoccupò. Sedette immediatamente di fronte al computer con una scorta di tovaglioli alla sua destra e una birra ancora calda alla sinistra per far compagnia al sushi che, minaccioso, stava davanti alla tastiera.
Trangugiando pesce crudo, razzolava la rete maniacalmente per vedere se fosse reperibile qualche informazione riguardo la band. I risultati furono pochi. Decise quindi di terminare la birra per poi rimettersi a scrivere. Si sdraiò sul divano di fronte alla televisione con il portatile in grembo. L’incombente lampeggiare delle scadenze sul calendario gli rinfacciava la sua poca produttività.
Un giorno farò come mi pare, pensava bevendo avidamente le ultime gocce rimaste…Francesco SicheriVai alla seconda parte dell’articolo. clicca qui!
Tutti i vizi di uno scrittore
Lunedì mattina, ore 6.30. Pop... Beatles e Stones? Rock... cos’è allora? Il suono nevrotico della sveglia tuonò violentemente nel silenzio della camera, mettendo così fine alle poche ore di sonno. Sul tavolo ancora c’era il pacchetto di sigarette terminato e una tazza con i fondi del caffè.Che f
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