Copertina e foto in bianco e nero, veste grafica senza troppi fronzoli, Eno e Lanois alla produzione. Il ritorno alle origini degli U2 è esplicito nelle immagini, nelle dichiarazioni e nella musica. Anche per questo motivo All That You Can’t Leave Behind è stato tra i dischi più attesi del 2000, come accade sempre per ogni album del gruppo irlandese che ad ogni tappa della loro ventennale carriera musicale hanno sempre offerto un motivo per farsi ascoltare. Beautiful Day ha anticipato per tempo il disco, con un video girato all’aeroporto “De Gaulle” di Parigi e un brano tra i più rock del loro repertorio. Il resto è in linea col primo singolo: abbandono delle divagazioni dance e elettroniche di Pop (1997), testi più immediati e un sound più semplice che cerca di arrivare direttamente al cuore. Il ritorno alle origini degli U2, però, è solo parziale, l’elettronica c’è ma è celata, non è la protagonista come negli ultimi tre album ma è al servizio della canzone. La cura del suono, infatti, è quasi perfetta e maniacale e All That You Can’t Leave Behind è stato concepito, come il gruppo stesso ha dichiarato, come una raccolta di undici potenziali singoli. La casa discografica, probabilmente, deciderà davvero di pubblicare come singoli tutte le canzoni. L’ultimo, infatti, è Stuck In A Moment (you can’t get out of) e a breve ci sarà Elevation. Quest’ultima dà anche il nome al tour che toccherà l’Italia. La prima, invece, è una ballata dalle contaminazioni gospel e soul, riferimenti presenti in parecchi momenti del disco (vedi anche Wild Honey e soprattutto la bellissima In A Little While). Il soul è un tema caro agli U2, quasi protagonista nell’album, tanto da essere usato nel film” Rattle and Hum” del 1988 e qui presente nella voce sofferta di Bono, negli arpeggi di The Edge e nei temi affrontati dalle liriche. La pace innanzi tutto e soprattutto, a partire dalla copertina (quel “J33-3” che compare al centro a sinistra è un riferimento alla Bibbia, al Libro di Geremia capitolo 33 versetto 3: “Chiedete a me e io risponderò e vi dirò cose grandi e segrete che non avete mai conosciuto”, ed ovviamente ai brani: Walk On è dedicata a Aung San Suu Kyi, leader di un movimento democratico in Birmania e attualmente agli arresti domiciliari insieme ad altri attivisti, Peace On Earth, scritta dopo l’attentato di Omagh (Bono canta: Gesù riesci a trovare il tempo / per buttare una fune a un naufrago (…) per dire a chi non sente / a chi ha i figli sepolti sotto terra / Pace nel mondo).The Edge, Mullen e Clayton, ovvero chitarra batteria e basso del gruppo, assolvono con la solita professionalità il loro compito. The Edge in particolare torna a far sentire il suo inconfondibile tocco in tutti i brani. All That You Can’t Leave Behind accontenterà tutti i fans degli U2 vecchia maniera rimasti spaziati dalle sperimentazioni, anche nel look, di Bono e compagnia. Non si erge certo ai livelli di The Joshua Tree (1987), ma è un disco comunque ambizioso, come d’altronde tutti gli album del loro repertorio. Almeno tre / quattro canzoni ruoteranno a tutto spiano sulle radio per le loro melodie aperte che aspettano solo di essere cantate a squarciagola. All That You Can’t Leave Behind ovvero “tutto ciò che non ti puoi lasciare indietro”: l’unico bagaglio che ti puoi portare / è tutto ciò che non ti puoi lasciare indietro, canta Bono in Walk On. Sarà questo il motivo per cui gli U2 non potevano abbandonare il loro stile originario…?
Casa discografica: Universal Music
Anno: 2000
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