Solo tre anni fa abbiamo rischiato di perderlo e se non era per un provvidenziale trapianto ora si parlerebbe di lui solo al passato. Invece, oggi Trout si può permettere i toni ottimistici del nuovo We’re All in This Together, in cui la sua chitarra duetta con una serie di grandi nomi, da Bonamassa a Kenny Wayne Shepherd, da Robben Ford a Warren Haynes. Ci vuole del fegato per andare avanti, è proprio il caso di dirlo. E nel caso di Walter si è trattato del nuovo fegato che gli ha salvato la vita.
Ora festeggia il rilancio della carriera con un lavoro costruito interamente sul dialogo con altri grandi dello strumento, ognuno presente con una canzone scritta su misura per loro.
Chi non ama troppo le continue sequenze di assolo è avvertito: meglio astenersi.
Qui i duelli sono la regola.
Può servire ricordare che Walter Trout è oggi uno dei migliori esponenti del rock-blues americano e nel corso di varie decadi ha avuto modo di assorbire il meglio di questa musica a contatto con i più grandi artisti..
Fiore all’occhiello sono i quattro anni nei Bluesbreakers di John Mayall, la band che ha segnato gli inizi di star come Clapton e Peter Green.
Il resto è tutto nel percorso solista che lo vede ora raccogliere la stima e l’affetto dell’intero ambiente, iniziando da coloro che partecipano personalmente a questo progetto.
Che Trout abbia recuperato tutta la sua caratteristica energia è evidente dalle prime note della sua chitarra e dalle prime frasi cantate con la grinta che gli è abituale.
Grande controllo del vibrato, un fraseggio in cui rivivono i maestri, dai tre King in poi, e una carica di feeling sempre a disposizione sul palco sono i segni distintivi di un artista che non riesce a sfigurare neanche nel confronto con gli illustri colleghi chiamati a raccolta nell’album.
Quando è il momento dell’assolo Walter non è secondo a nessuno.
La lista degli ospiti parte da Shepherd per concludere con Joe Bonamassa in una squadra che prevede alle chitarre anche Sonny Landreth, Robben Ford, Warren Haynes, Eric Gales, Mike Zito, Joe Louis Walker, Randy Bachman e il figlio Jon Trout.
Completano il ricco panorama le armoniche di Charlie Musselwhite, John Mayall e John Nemeth, il sax di Edgar Winter.
L’inizio è bello tosto con Shepherd e Landreth, nell’ordine. Il secondo, in particolare, regala una della sue prestazioni stellari con la slide in un pezzo ben studiato per offrire il giusto groove, seguito da un bluesone lento perfetto per il suono ricco e aggressivo dell’armonica di Musselwhite che si esibisce in un gran bell’assolo.
“She Listen to the Blackbird Sing” viene presentata a ragione come una delle canzoni più radiofoniche, ed è una bella ballad in stile southern rock arricchita da armonie vocali e chitarristiche in cui Mike Zito offre un assolo in stile. Allman Brothers, look out!
“Mr. Davis” è quel tipo di mid-tempo shuffle in cui Robben Ford è capace di dare il meglio e qui lo fa attingendo alla sua vena più tradizionale, meno sofisticata, mentre l’unica cover dell’album è “The Sky Is Crying” di Elmore James, in cui Walter divide con Warren Haynes interventi chitarristici e vocali e il leader dei Gov’t Mule spicca in un notevole assolo slide.
Tra la verve funkeggiante del pezzo con Eric Gales e la trascinante “Crash and Burn” animata da un frizzante Joe Louis Walker, un po’ di sana cattiveria entra in campo con “Got Nothin’ Left” e un vecchio leone come Randy Bachman, pioniere del rock più classico in band come Guess Who e Bachman-Turner Overdrive.
Perfetta l’entrata in contropiede dell’unico pezzo giocato in solitudine fra acustica e armonica, quello con l’ex-bandleader di Walter, il britannico Mayall, tributo a celebrate coppie come Sonny Terry e Brownie McGhee, prima della conclusiva title-track lasciata alla veemenza di Bonamassa. Sembra che Joe abbia dedicato ben tre ore del suo prezioso tempo alla registrazione del pezzo ed è inutile dire che sono state ben spese. Il calore delle valvole è percepibile anche da qui.
In tutto questo è protagonista costante la stratocaster di Trout, che con questo album si conferma uno dei grandi esponenti contemporanei del blues elettrico. Se non ha avuto maggiore successo non dipende certo dalle sue doti, ma dalla mancanza di quel colpo di fortuna che, al momento giusto, fa sempre la differenza.
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