Se c’è un limite intrinseco nelle possibilità di una chitarra, questo è stato superato da tempo grazie a una serie di artisti abbastanza sfrontati da ignorare le regole e i confini per cercare nuovi linguaggi, nuovi modi per far viaggiare la loro musica sulle corde. Qualcuno di essi ha anche scelto di sperimentare modificando la struttura stessa dello strumento.
Pino Forastiere è un equilibrista, un musicista che fin dagli inizi si è mosso atleticamente sulle sue chitarre con l’aria impudente di uno cui non importa niente o quasi dell’approvazione, dell’assenso di chi ha bisogno di essere rassicurato più che stupito, di coloro che nell’arte cercano solo il conforto del già noto.
La sua ricerca musicale l’ha portato a superare molti confini, partendo dal conservatorio per arrivare alla musica sperimentale contemporanea, con l’orecchio attento a ogni tipo di musica e le mani pronte a scavare senza pietà sullo strumento per trovare sulle corde immagini, ritmi e storie che cambiano continuamente forma nel corso del tempo.
Per quanto riguarda la chitarra, la sfida è sempre quella di andare oltre il prevedibile, di evitare che le dita scorrano su binari scontati ripetendo frasi già sentite.
Nel suo album Pino assapora fino in fondo le possibilità offerte dallo strumento che ha preso una forma definitiva sperimentando assieme al liutaio Davide Serracini per trasformare la sua vecchia Eko Chetro in quella ribattezzata come LAB Guitar.
La dotazione prevede oggi – oltre alle sei corde base – altre sei corde acute, quattro bassi ‘volanti’ e cinque lamelle metalliche intonabili. Per amplificare il tutto sono necessari due pickup magnetici e un sofisticato sistema Trance Audio con trasduttori interni.
Il nuovo strumento è utilizzato praticamente in tutto il nuovo album con l’eccezione di “Underground” eseguita con pianoforte e due marimbe.
L’ottavo lavoro solista di Forastiere, Village Life, è soprattutto la magia di un suono impossibile, quello che mette assieme i timbri noti di una chitarra steel string e le sonorità inattese prodotte dalle corde e dalle lamelle aggiunte, allargando in basso e in alto la gamma armonica e creando voci del tutto originali.
A volte è una celeste, altre quasi un insolito contrabbasso, ma certi suoni sono difficili da incasellare: è soprattutto il loro intreccio a creare tracce di meraviglia, di magia. Iterativa e melodica, la musica di Village Life è un viaggio nei paesaggi di un mondo ricco e colorato, dall’apertura orchestrale di “Caos Calmo” alla giocosità della brevissima “Impertinenza”.
Il pezzo che dà il titolo all’album interpreta con una punta di malinconia i ritmi rilassati della vita di paese.
Dalle atmosfere sospese e solenni di “Repetita Iuvant” alla dolcezza misteriosa de “Le imperfezioni della pioggia”, dal ritmo destrutturato di “Tibur Tango” alla carezzevole “Capo cinque”, l’album non smette di intrigare e di impegnare necessariamente l’attenzione per cercare di coglierne il senso sottile.
Non è musica facile, né cerca di esserlo, ma vale la pena di mettersi alla prova. Potrebbe seriamente affascinare.
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