Step by Step di Eugenio Curti è un album intriso di “felice malinconia”. Forse la cosa più difficile per un disco strumentale, con protagonista la chitarra in questo caso, è rendere in musica la “foto” di ciò che ha mosso il cuore dell’artista, ma Eugenio pare esserci riuscito.
I primi due brani sono esemplificativi in tal senso. “Emersion” ha delle nuances quasi da “ballata grunge” (se questo accostamento può avere mai un senso…) e mostra un uso davvero coinvolgente degli effetti d’ambiente. Se è usuale abbandonare l’elettrica dopo abbastanza pezzi, per rilassare l’ascoltatore, Curti qui procede senza strategie ma per pura ispirazione, così “On A Green” ci immerge nelle caldissime atmosfere della chitarra acustica, contornata di arpa celtica, violoncello e addirittura una cornamusa.
Sfogliando il libretto si incontra una foto di un bambino che corre in un campo mano per la mano con quella che presumiamo sia la madre e sicuramente ci troviamo davanti a un frammento di ricordi dello stesso Eugenio. Quella vecchia foto, ingiallita come facevano alcune Polaroid nel tempo, è la perfetta trasposizione di questo brano, ma forse di tutto il disco e di quella “felice malinconia” di cui parlavamo all’inizio.
“August Swing” è un’inaspettata parentesti jazz, del tipo più classico. Ma Curti lascia un messaggio poetico tra le note del booklet, di cui vi riportiamo qui il finale: “Agosto… pomeriggi di ragazzini in bicicletta sull’asfalto che aveva i riflessi dell’acqua e radio in lontananza che trasmettevano musica leggera. Sapori antichi raccontati dagli anziani al bar o sulle panchine del campetto… e tu sempre lì… come ogni anno… Agosto“
Segue “If It Was” che è il primo brano a mirare più spiccatamente al pop, con il suono aperto della Stratocaster di Eugenio che va poi a diventare flautata nel momento in cui, attivato l’overdrive, il chitarrista italiano va a scrivere il suo canto.
Da notare, piacevolmente, che finora i brani hanno avuto una buona scorrevolezza e anche una varietà di stili, il che in un disco strumentale è fondamentale per non… ripetere lo stesso concetto mischiando le stesse parole, ecco.
Anche in “The Scottish Man” rimane un’impronta melodica molto forte, ogni tanto Curti butta qua e là una pennellata di blues o di jazz, ma senza essere mai fine a se stesso, senza il cruccio di dover dimostrare di “saperlo fare”. Anzi, ciò che traspare in questo disco è che Eugenio si sia in un certo qual modo “trattenuto” per dare priorità al messaggio musicale, alle poche note ma messe nel posto giusto. In questo brano, ci sentiamo anche passaggio del Gilmour di The Division Bell, ovviamente in minute scintille, perché poi lo stile del brano è su tutt’altre sponde.
“Night and Day (in the city)” segna l’arrivo del brano rock. Forse in questo caso ci troviamo a fare un piccolo appunto sulla resa audio, allo stesso volume d’ascolto meno avvolgente degli altri brani, più “indietro” e meno incisiva anche sui suoni ritmici. Forse si poteva osare di più e dare maggiore corpo e definizione anche alla chitarra di Eugenio, così come allargare la dinamica generale del brano, che risulta un po’ schiacciata.
Il brano “Vivi (life’s a journey)“, che torna sulla chitarra acustica, segna proprio il ritorno della registrazione più ariosa e dotata di maggiore lucidità e spazialità. “Obsession” torna su territori rock, in questo caso la chitarra gioca anche su un sottofondo di sintetizzatori Moog che danno un colore in più all’arrangiamento. Anche qui, venendo dal brano precedente, notiamo un leggero sbalzo dinamico, che ci ha portato ad alzare il volume rispetto al pezzo acustico. Ma del resto, la manopola del volume sta lì apposta, non è un dramma.
Sul finale troviamo “Empty Milonga“, un pezzo che ci riporta alla mente le belle trame acustiche à la Pino Daniele, complice anche l’uso della fisarmonica che ci fa viaggiare su panorami sonori ma soprattutto visivi molto simili (scegliete voi il Golfo e il tramonto).
Chiude il disco “Soundcheck“, brano ironico che spezza un po’ quel pathos su cui l’album ha giocato finora, quasi a non voler prendersi troppo sul serio e chiudere le danze con il sorriso.
Ed è innegabile che si possa finire con un sorriso l’ascolto, anche piuttosto soddisfatto. Questo è un album legato da un filo logico e uno stile comune, ma tutt’altro che monotono, anche grazie alla quantità di musicisti e strumenti che vi troverete. Per questo, potreste preferire alcuni brani al posto di altri o potreste tornare più sulle parentesi acustiche che su quelle elettriche, o viceversa.
A voi la scelta, vi consigliamo sicuramente di metterci un orecchio, anzi, due!
Line Up:
- Eugenio Curti (chitarre)
- Elisa Minari (basso)
- Beppe Facchetti (batteria)
- Bianca Bolzoni (arpa Celtica)
- Alice Micol Moro (violoncello)
- Matteo Frigeni (cornamusa)
- Max Gabanizza (basso)
- Valerio Gaffurini (piano & Rhodes)
- Andrea Gipponi (basso)
- Michele Lombardi (organo & Moog)
- Chiara Pezzani (voce)
- Michele Quaini (chitarra)
- Marco Gennari (basso)
- Matteo Mafessanti (batteria)
- Alessandro Adami (fisarmonica)
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