HomeMusica e CulturaIntervisteDal Punk alla Italo Disco, intervista a Roberto Turatti

Dal Punk alla Italo Disco, intervista a Roberto Turatti

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La storia ma soprattutto l’evoluzione di Roberto Turatti primo batterista dei Decibel che si mise a fare magie con i Synth e la Disco.

Siamo a fine anni settanta, l’anno della dipartita del Re del Rock, Elvis Presley, il 1977.
Siamo in una Milano specchio dell’esplosiva scena politica italiana costellata da manifestazioni e divisioni epocali fra la gioventù.
Siamo nel clou degli anni di piombo, solo a Milano quell’anno verranno perpetrati tre omicidi politici politici. Giovani schieratisi in diverse frange sostenitrici dei vari blocchi mondiali, comunisti e neofascisti aizzati dai media che raccontano della guerra fredda in atto…
Quel poco che rimane degli hippie e degli irrequieti punk anarchici con il dente avvelenato sono contro la società a loro dire reazionaria, ognuno dal proprio punto di vista e stile di vita.
Nel mentre, strani giochi politici all’italiana regolano una nazione che porterà a stragi ecatombali dove un sacco di povera gente ci lascerà la vita… 

Ma furono anche gli anni della Milano “yuppie” che stava per nascere, del Negroni in discoteca, della moda giovanile e il culto del divertimento scanzonato e sbarazzino come stile di vita.
Una sorta di evoluzione del divertimento dato dal benessere raggiunto dopo anni di dopoguerra costellato da sacrifici e ristrutturazione sociale e industriale.

I Decibel salirono alla ribalta attraverso uno scontro fra manifestanti di sinistra e i punk accorsi al loro concerto, in un locale della città meneghina. L’aria era così tesa che Roberto non montò neanche la sua batteria.

Non andava giù ai manifestanti del Leoncavallo, che un gruppo dalla musica dalla nomea fascista, potesse suonare. Il concerto era stato ampiamente pubblicizzato da una fitta campagna di volantinaggio organizzata da Enrico Ruggeri & Co.  
I due gruppi si cercarono e una volta arrivati davanti al locale, “La Piccola Broadway” in Corso Buenos Aires, furono botte.
In sintesi il concerto andò all’aria ed Enrico Ruggeri, Pino Mancini, Erri Longhin e Roberto Turatti divennero un’ambita perla discografica con il loro primo LP, introvabile.

Decibel - Punk

Ma il punto su cui vorrei focalizzare l’articolo è un altro.
Turatti, con il rimescolamento della line up dei Decibel cambiò strada. Il mondo della discoteca diventò il suo habitat ma volle metterci del suo e ci racconterà quegli anni. 
Il suo modo di vedere la musica cambiò avvicinandosi alle moderne diavolerie ormai sul mercato musicale.

Con i DJ collaborava supportandoli “live” con elaborazioni delle sequenze Drum&Bass con l’ausilio del Roland 808 e il TB303.
Fu un successo. Divenne DJ egli stesso e unendo gli sforzi con Miki Chieregato, con l’acquisto di tastiere innovative e pulpiti di registrazione, la coppia dette vita a numerosi fenomeni discografici di successo, che in pratica sancirono la nascita della Italo Disco, il disco sound all’italiana…

Den Harrow, Tom Hooker e via via fino a Sabrina Salerno, Jo Squillo, Alisha, Francesco Salvi… Centoquaranta sempreverdi in cassaforte e presenze a Sanremo, e ogni sera nelle case di milioni di italiani risuonano i brani del Gabibbo…

Voi mi direte come cantava Graziani: “ma questo cosa c’entra con il rock ’n’roll???“. Niente. Ma mi stuzzica l’idea di come possa cambiare così radicalmente la creatività di un musicista. Chiediamoglielo direttamente…

Roberto inizieremo a parlare un po’ di quello che è stata la tua giovinezza artistica che é praticamente nata con un gruppo Punk, i Decibel, di cui abbiamo parlato assieme anche tempo fa.
Fu un progetto Punk anche socialmente molto sentito in quegli anni, dette la prima mano Punk all’Italia, che poi Punk non è mai diventata per davvero. La Line Up del primo disco poi si sgretolò, come anche la matrice Punk del suono. Rimase solo il nome ed il cantante. Tu e Ruggeri prendeste due strade diverse.
Ruggeri passò alla New Wave alla Stranglers, tu invece iniziavi a scavare le fondamenta per quello che diventò il fenomeno della Italo Disco. Praticamente una deviazione della Disco Music, nata negli States che poi diventerà un genere a sé stante che invaderà le discoteche di tutto il mondo.

La Italo Disco sarà d’ispirazione a numerosi artisti internazionali diventando una colonna della Disco Music mondiale.
Tu sei stato uno dei primi sviluppatori di questo genere, di questo suono. Come iniziò tutto questo?

In realtà l’inizio è stato un po’ casuale, perché io ho cominciato a fare il DJ all’American Disaster (nota discoteca milanese dell’epoca, NdR), facevo anche il light jockey a Michi Chieregato, che poi brutalmente un giorno mi disse: ‘Devo andare a lavorare al Divina (cccc) qui la disco rimane scoperta, tu essendo batterista puoi fare tranquillamente il DJ’.
Gli risposi che non era proprio la stessa cosa, ma decisi di provare e mi trovai bene nel mischiare i dischi a tempo. Chiaramente mi mancava un po di cultura musicale sulla disco perché venivo dal rock dal punk, quindi per me esisteva solo la musica inglese, quella americana me l’ero un po ascoltata e poi ho ampliato e ho iniziato a fare il DJ…

Come hai sviluppato la tua creatività?

Andavo in discoteca con la 808 della Roland (prima Drum Machine prodotta nel 1980 con cui si poteva memorizzare delle proprie basi senza utilizzare solo le pre installate) e il TP-303 Roland Bass Line (Synth sequencer prodotto dal 1981).
Mi facevo delle sequenze bass line e delle ritmiche con la batteria Roland che poi usavo o per remixare i dischi in tempo reale, facendo partire la mia base ritmica e mettendo su il disco, o addirittura creavo dei brani suonando dal vivo le basi e mettendo su i dischi con le lezioni d’inglese o di tedesco.
E la gente mi veniva a chiedere ‘Ma che pezzo è? di chi è’, e io gli dicevo che erano pezzi miei creati al momento. E da una sequenza di queste nacque ’To Meet Me’ di Dan Arrow, nel 1983, che ho scritto insieme con Enrico Ruggeri e Michi Chieregato, quindi tutto nato senza una pianificazione.

Era la Milano dei Dandy, degli Yuppies, come venivano poi apostrofati dalla cinematografia italiana di quegli anni. Ma era anche l’Italia dei Paninari… Della commedia all’italiana improntata su quel genere di ambienti, la Milano da bere… mi raccontasti che facevi dei live set con quelle nuove sonorità ritmiche con dei pad elettronici…

Sì, usavo in discoteca i pad elettronici, i primi che c’erano, prima uno singolo poi doppio, il primo aveva un suono solo e ci riempivo le basi di sequenze che creavo con le strumentazioni che ti ho detto prima.
Aggiungevo le percussioni che facevano quei suoni tipo ‘piu piu’ (simula a voce)…

La Milano anni ’70 diventò la Milano degli ’80, ci vuoi puoi spiegare un po’ questo fenomeno, questo cambio, questa mutazione che c’è stata… Il segreto della Italo Music quale è stato? C’è stata una strategia? Avete studiato i gusti delle persone o è stato più che altro un ‘tiriamo fuori questi prodotti e vediamo cosa succederà’?

(Sorride) Una vera strategia non c’é stata, noi facevamo i DJ, io ero un batterista, Michi un chitarrista all’inizio e quindi abbiamo composto le prime canzoni, poi ci siamo fatti aiutare da programmatori e da tastieristi, poi Michi ha imparato a suonare le tastiere e abbiamo fatto tutto da noi.
Non c’è stata una strategia perché noi abbiamo detto, ci piace fare musica e avevamo la possibilità di farla perché avevamo i sequencer quindi non bisognava essere bravissimi a suonare le tastiere, ma potevi comporre tramite il sequencer e abbiamo iniziato a produrre questi dischi che poi funzionarono e che divennero il genere Italo Disco, ma non fu studiato a tavolini, assolutamente, facevamo i dischi secondo i nostri gusti e secondo le sonorità che arrivavano dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra, dalla Germania e anche noi facevamo le nostre cose…

Roberto Turatti

Tu hai prodotto artisti che poi durante gli anni sono diventati delle icone per “un certo tipo di pubblico”.
Parliamo di Sabrina Salerno di Joe squillo, di Den Harrow, di Francesco Salvi… Ci vuoi raccontare come avete lavorato con questi personaggi? 

L’approccio di lavoro fra Den Harrow, Jo Squillo e Francesco Salvi è stato molto diverso, nel senso che Dan è stato un progetto che avevamo creato io e Chieregato, che all’inizio è nato con un’immagine, con le voci che sono cambiate negli anni, perché prima cantava Chuck Rolando dei Passangers, Silvio Pozzoli, Tom Hoocker, Anthony, poi Stefano (Den Harrow) si è cantato un brano e quindi poi lui ha continuato con altri, per altri brani.
Però ti dico quello è stato un progetto Italo Disco che ha funzionato molto per l’immagine che aveva oltre i brani che sicuramente erano validi e alla casa discografica che ha fatto molta promozione, la Baby Records.
Abbiamo sempre diviso il successo in tre parti, noi della produzione ossia noi, gli autori dei brani, l’immagine che era Stefano e la terza parte, non meno importante, la Baby Records che ci ha permesso di fare successo all’estero. 

Con Jo Squillo e Sabrina Salerno è stato un progetto nato da Jo, eravamo amici, ci conoscevamo da tempo. Mi disse che aveva possibilità di andare a Sanremo, e che le sarebbe piaciuto andare e avevamo una canzone che avevamo scelto insieme fra quelle che aveva composto e poi c’é stata l’idea della casa discografica di accoppiare Sabrina a Jo Squillo.
Così nacque questa coppia di cantanti, che poi nuove non erano perché Sabrina aveva già fatto cose negli ottanta e Jo proveniva dal Punk, dal Rock, quindi era nata questa strana coppia che cantò ‘Siamo Donne’, canzone icona Gay comunque, oltre che un inno alle Donne.
Invece con Salvi, è nato tutto di nuovo diversamente, perché non ero più con Chieregato ne tantomeno con Sabrina Salerno e Jo Squillo, ma eravamo Turatti-Natale-Melloni.
Salvi è venuto giù per una sigla per Drive In (Trasmissione comica cult degli anni ’80), ed insieme facemmo poi ‘C’é da Spostare Una Macchina’, che ci sembrava più forte, e da lì è nato il progetto Salvi, facendo Sanremo, ‘Esatto’, ‘A’ e diverse cose…

Roberto Turatti, Sabrina Salerno e Jo Squillo

Avete creato anche le musiche del Gabibbo che con Striscia la Notizia tocca anche la fetta diciamo più giovane degli italiani, dai bambini ai ragazzi ma anche l’adulto scanzonato, l’adulto che tra una battuta un po’ di spettacolo acquisisce anche le informazioni serie.

Per quanto riguarda il Gabibbo e le sigle di Striscia la Notizia, è stato un approccio di Antonio Ricci con noi, ed insieme abbiamo fatto le canzoni per il Gabibbo. Ricci venne da noi e ha detto, che voleva lavorare con quelli che hanno prodotto Francesco Salvi perché voglio fare una cosa importante ed arrivare numero uno in classifica.
Gli ho detto ‘Guarda Antonio non è facile fare una canzone da primo posto in classifica, ci vuole uno slogan forte…’ e lui mi ha detto che un’idea che l’aveva e ci disse il titolo, ‘Ti spacco la faccia!’.
Quando ho sentito il titolo non avevo più alcun dubbio… ho pensato, Strisicia la Notizia, Il Gabibbo, ti spacco la faccia, ho detto ‘Antonio, mi sa che con uno slogan del genere possiamo arrivare anche primi in classifica’. Ed è successo quello, e le realizziamo ancora anche per i programmi estivi come ‘Veline e Velone’ eccetera, lavorando da anni con Ricci ed il suo staff per queste canzoni diciamo anche un po’ scanzonate, ma con testi anche interessanti, nonostante siano cantate dal Gabibbo.

Hai prodotto però anche artisti come Raf, un giovanissimo Dario Vergassola e quindi hai continuato anche con il filone della musica italiana un po’ più d’autore.

Si per Raf, che non ho prodotto, ho fatto dei Remix di sue canzoni, con Dario Vergassola, insieme abbiamo registrato il suo album, e ci siamo anche molto divertiti per il suo primo album, con canzoni comunque composte da lui. Noi abbiamo fatto gli arrangiamenti e la produzione come Natale, Turatti, Melloni, la famosa, tra virgolette, NTM…

A livello di studio di registrazione come eravate organizzati? Quali marchingegni avevate per creare quelle sonorità?

Per quanto riguarda l’organizzazione dei studi di registrazione, in realtà ho iniziato con Chieregato senza avere uno studio, abbiamo comprato le prime tastiere, poi gli 800, la E-Mu Drumulator, le batterie elettroniche e l’MSQ 700, che era un Sequencer della Roland, e con quelli abbiamo cominciato a creare, assieme alle attrezzature che avevo già, come il Bass-Line e la 808, i brani di Den Harrow.
Però, dato che bisognava realizzarli in studio, andavamo in studi come quello che è diventato poi il Baby Studio di Massimo Noè, oppure andavamo alla Rexon, oppure in altri, tipo da Bezzini al B3, che era un amico di Micky. 

ROLAND MSQ 700
ROLAND MSQ 700

Con i primi soldini dei dischi abbiamo realizzato il nostro Studio, sotto il negozio del padre di Michi, fatto da noi, ci ha aiutato lui, abbiamo insonorizzato, prendendo Mixer, analogico, quello di Claudio Cecchetto, il Trident Serie 80, mitico… aveva un suono pazzesco, e man mano ci siamo spostati al Vimodrone e una volta separatomi da Michi ho ottenuto lo studio di Vimodrone assieme a Mario Natale e Silvio Melloni, anche li poi cambiammo, con Melloni e Gino Zandonà abbiamo fatto uno studio a Vimodrone ancora esistente, in cui vado ogni tanto a fare delle produzioni con questi amici e ci si vede spesso. 

Sequential Prophet 5
Sequential Prophet 5

Avevamo tutte le tastiere del momento, dal Juno 106 della Roland, avevamo addirittura il PPG (Wave – Ndr), che era molto difficile da usare (ride), e man mano tutte quelle che uscivano, tipo DX7 (Yamaha – Ndr), M1 (Korg – Ndr), poi avevamo il Prophet 5 della Sequential.
Quando uscivano, noi le prendevamo per comporre, tipo le batterie, con la Linn, la E-Mu Drumulator, poi sai con il tempo le cose cambiarono, usavamo anche musicisti veri, perché con Mario Natale, che era un arrangiatore, siamo anche andati a Sanremo e tutto, abbiamo fatto con Fio Zanotti, addirittura con ‘Catch the Fox’, abbiamo registrato Lele Melotti (notissimo batterista italiano – Ndr) alla batteria, i bassi veri con Paolo Costa (altrettanto famoso sessionista italiano – Ndr), cori coristi, è stato un via vai di tanta gente nei nostri studio, un ambiente molto bello, molto creativo, un bellissimo periodo…

ROLAND JUNO-106
ROLAND JUNO-106

Una tua giornata tipo in studio in quegli anni ruggenti come si svolgeva?

Quando lavoravo con Michi Chieregato era più lui l’animale da studio, io ero quello che curava le pubbliche relazioni, che curava gli artisti, quando facevano le serate, provavo i pezzi come ti dicevo in discoteca, questo oltre ad andare in studio, dove andavo il pomeriggio, poi fino alla sera e il sabato andavo a provare i pezzi in discoteca.
Se c’era una serata di un artista lo seguivo, non c’erano proprio delle giornate tipo. L’animale da studio fra i due era Michi, anche se i dischi li facevamo assieme, le stesure, lui si occupava delle melodie, poi dopo quando sono passato con Natale e Melloni, stavamo in studio dalla mattina alle dieci e ci stavamo fino alla sera.
Eravamo divisi così, Melloni era un arrangiatore polistrumentista che nasceva dal basso, anche con Zandonà, si occupava delle sonorità, mixava, detta in maniera riduttiva era un po’ il fonico, musicista-fonico, Natale era più l’arrangiatore e io ero più il produttore, con le idee, delle ritmiche, insomma era un trio che non si pestava i piedi.
Se ci sono dei doppioni poi non va bene, noi eravamo così che ognuno aveva un ruolo, nel nostro team, come anche dopo, e quindi niente, giornate tipo non ce n’erano, variavano in base a quello che c’era da fare. 

Come hai fatto a rimanere con i piedi per terra senza cadere nelle tentazioni dell’ambiente dove ovviamente circolavano anche sostanze che, per dirla alla moderna, “mettono le ali”?

Questa domanda la apprezzo molto, devo dire la verità, anche se ho fatto i dischi con Papa Winnie (Il rasta di ‘You are my Sunshine’ – Ndr), che quello che fumava lui era solo erba di casa sua, come si suol dire, perché quelle erano le sigarette sane secondo lui, giustamente.
Io non mi sono fatto neanche le canne, forse me ne sono fatte due perché respiravo il fumo suo passivo, mentre eravamo in macchina, quindi altre tipo di sostanze assolutamente… ne ho viste passare tante, tanta gente che metteva la cocaina sui tavolini, nelle discoteche, nei dopo serate, ma io no, neanche bere, non mi sono mai ubriacato, forse una volta, mi è sempre piaciuta la lucidità.
Dicevo sempre “ma secondo te io devo bere e drogarmi, poi magari vado con una bella ragazza e il giorno dopo mi sveglio e non ricordo più niente…” o una serata splendida da DJ o dove ho suonato, e dopo non ricordo più niente. Già non mi ricordo le cose senza sostanze figurati con… una cosa molto lontana dalla mia mente.

Rapporti con i giovani artisti e la scelta, quale prendere quale no… Come studiavate il sound migliore per la piazza?

Noi ascoltavamo molto i pezzi New Wave come ti ho detto, e cercavamo, ispirandoci a quelle sonorità, cercando di dare del nostro.
Infatti un giorno Nicola Savino ha sentito un pezzo dei Weekend e mi ha detto, questa sembra una produzione Turatti-Chieregato, questa è stata una soddisfazione, vuol dire che noi un sound ce l’avevamo, capisci, pur non avendolo studiato a tavolino, un nostro sound era nato.
Noi usavamo un Time-Code su una traccia, un segnale che faceva wrrrrrrrrrr (vocalizza), su una traccia del 24 piste, tra l’altro vicino a quella traccia del Time-Code, non dovevamo mettere suoni ritmici nella pista di fianco, che potevano andare a rovinare il Time-Code, mandando fuori tempo il Sequencer, rischiavi l’effetto coppia.
Tantomeno delle tastiere troppo leggere, perché se poi le alzavi (in missaggio), sentivi sotto il wrrrrrrrrrr del Time-Code.
Insomma, delle 24 tracce alla fine ne usavamo ventidue, perché ne saltavamo una, per fare i dischi. Poi all’inizio con Michi, per non diventare matti, noi facevamo una sequenza e la registravamo dall’inizio alla fine, la batteria e la cassa dall’inizio alla fine.
Noi il montaggio del brano molte volte apri e chiudi molte volte lo facevamo nel missaggio, o a quattro mani, oppure con il Time-Code, che dava il tempo ma pilotava anche i primi computers che facevano le aperture e le chiusure delle piste. Non i livelli ma le aperture e le chiusure.
Dopo abbiamo iniziato a lavorare con la serie BT al Baby Studio, con il Logic Solid State, poi con il Neve con Massimo Noè, che aveva computer più sofisticati per realizzare il missaggio.

Che mentalità aveva la gioventù all’epoca, la disco era una novità, non come ora dove nelle quali si sentono ancora i vostri pezzi, magari remixati mille volte rispetto all’originale?

Guarda la mentalità della gioventù dell’epoca, sinceramente, c’era voglia di andare a ballare, era una novità da quando era arrivata la febbre del sabato sera, quel film ha sdoganato le discoteche, per me era una novità, io sono entrato in discoteca diciamo per caso, ho scoperto quel mondo, la gente che ballava, arrivando dal Rock, dalle cantine, dai concerti, lì era un altro mondo, che mi ha affascinato, però ti dico, i nostri pezzi remixati, rispetto all’originale che senti adesso, io non ho mai remixato un mio pezzo, lo faccio fare agli altri, è impossibile ricreare le sonorità di un’epoca.
Oggi è giusto andare avanti, diciamo contaminare il moderno con le sonorità ottanta, ma diciamo non remixare i pezzi vecchi, non so, non mi è mai piaciuto. Che poi li rifacciano gli altri, ma per me è impensabile che mi metta a rimixare Mad Desire o Catch the Fox e superare il successo del brano originale.
Difficilissimo, capisci, che lo facciano gli altri se hanno voglia.

Roberto Turatti

Prendeste la disco dell’epoca, la rielaboraste e formaste una corrente musicale tutta italiana, a sua volta poi ‘ripresa’ da produttori non italiani… diventaste un genere di tendenza.

Ti ringrazio per l’affermazione che siamo diventati un genere di tendenza, diciamo sì, la Italo Disco, non solo con Turatti-Chieregato, ma anche con marinelli e Gatto, Farina, Crivellente, Gigi Maini, i produttori di quel periodo li, Fred Ventura che era un mio artista e poi diventato produttore, i Nicolosi, poi mi dimentico qualcuno e magari qualcuno si offende.
Insomma non siamo stati gli unici a creare questo movimento, era forse più facile per anche quelli per cui non erano dei virtuosi delle tastiere ma avevano un’idea, si riusciva a tirare fuori, con ritmiche e batterie a creare un genere, delle canzoni molto efficaci e funzionali. Per cui c’era anche Zambelli, che fece cose che funzionarono, Zanetti Savage, insomma c’erano musicisti e Disk Jockey, più musicisti che poi andando avanti divenne un mondo.

Non posso, dati i tempi che corrono, non domandarti cosa ne pensi di queste polemiche sulla chiusura delle discoteche per via del distanziamento sociale non rispettato. Vorrei sapere la tua.

Per quanto riguarda la chiusura delle discoteche per il distanziamento sociale cosa vuoi che dico? Potrei dirti che non sono d’accordo, ma se si ha da fare con un virus che non si sa bene come agisca, quanto sia la pericolosità, purtroppo indubbiamente un posto dove c’é più contatto è la discoteca, e quindi è normale che a rimetterci per primi sono state le discoteche.
Chi purtroppo come me vive in quell’ambiente lo sa, ma anche chi ci lavora di più, anche nei concerti, che in qualche maniera un pochino stanno riprendendo, coi distanziamenti, è però difficile da sostenere.
Se hai una capienza di tremila persone e poi ne puoi far entrare solo mille, non è che puoi far pagare a quei mille il prezzo per recuperare il mancato guadagno e il cachet dell’artista e non ci stai più dentro. Non funziona.
Per le disco, il distanziamento è giusto che sia così. Hanno fatto una mezza riapertura, non hanno rispettato le regole, ma non per colpa dei gestori, più dei PR, che dovevano essere i PR a stare attenti e far rispettare di più le regole.
I PR sai che ci guadagnano a vendere, adesso sono persone che se tu vai a ballare, loro su di te guadagnano dei soldi, un tot a biglietto. Non puoi dire alla gente, dai venite che si può ballare tranquilli, no, non si può ballare, inutile, invece molti vendono la serata e poi si balla.
Già è un momento difficile, già continuano ad aumentare i contagi, però è difficile, vedi la Movida, la sera vicino all’università, che se devono andare a scuola devono stare distanti con le mascherine, poi la sera vanno a mangiare insieme in birreria e sono tutti uno vicino all’altro senza mascherina.
Ma non per questo bisogna dire non fa niente lasciamo aperte le discoteche e vediamo cosa succede…

Grazie Roberto. Ma essendo milanese, sei Milanista o Interista?

Simpatizzo Atalanta…

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