HomeMusica e CulturaIntervisteGuthrie Govan e il nuovo tostissimo album degli Aristocrats

Guthrie Govan e il nuovo tostissimo album degli Aristocrats

Il super-trio formato da Govan, Beller e Minnemann tra sofisticati arrangiamenti e virtuosismo puro nel quarto lavoro in studio You Know What…?

Sembra ieri ma sono passati già otto anni da quando tre dei più quotati strumentisti internazionali – un inglese, un tedesco e un americano, non è una barzelletta… – si incontravano per caso per una jam improvvisata e scoprivano di avere qualcosa di serio in comune, tanto da portarli a registrare il primo omonimo album. 

Se sono arrivati a sfiorare il decennio di carriera con un repertorio rock-fusion interamente strumentale e continuano a girare il mondo in lunghe tournée non è solo per come tengono il palco e per il numero (notevole) di note prodotte, ma anche perché la musica che scrivono non è così scontata e offre spunti trasversali a un pubblico sempre più fedele.
La capacità di divertirsi e condividere equamente la luce dei riflettori è un altro fattore di non poco conto.

Nel quarto album dividono come al solito gli oneri compositivi, tre pezzi per uno, e lavorano di comune accordo per creare un panorama musicale che passa da jam spudorate a pezzi elaboratissimi e studiati al millimetro. L’effetto è quello di un tornado travolgente capace di trasformarsi come d’incanto nell’atmosfera più soffice e delicata senza perdere un minimo di energia.

La musica degli Aristocrats non è etichettabile e mette assieme un numero imprecisato e variabile di riferimenti che vanno da Zappa a Van Halen, da Sting a Satriani, da Beck a Corea, da Gilmour ai Deep Purple. E c’è molto di più, condito dal grande affiatamento del trio che genera una girandola continua di dinamiche.

Guthrie Govan

You Know What…? si apre col botto. “D Grade Fuck Jam”, firmata da Bryan Beller è condotta dall’inizio alla fine da Govan a colpi di wah wah fino a sfiancare il povero pedale.
Ci facciamo raccontare qualche dettaglio dallo stesso Guthrie.

L’intervista a Guthrie Govan

Sembra quasi un omaggio esplicito a Hendrix… 

Devo dire che il fatto di usare senza interruzioni il wah wah in un pezzo all’inizio sembrava eccessivo, ma a Bryan piaceva molto questo approccio e – riascoltando – capisco perfettamente perché ha fatto quella scelta! Il mio wah Xotic alla fine della registrazione era praticamente distrutto e non era più in grado di rimanere in una posizione fissa!

Non sono sicuro che Bryan pensasse specificatamente a Hendrix quando ha scritto il pezzo, ma io ho trovato molto difficile non interpretarlo in quel senso.
Jimi, ovviamente, è stato un’enorme influenza per me nei miei anni formativi per cui è stato sicuramente bello avere l’opportunità di registrare qualcosa che “rivelasse” in qualche modo questo mio lato 😉

Bryan Beller

Fate sempre un eccezionale lavoro sulle dinamiche. Gli arrangiamenti più complessi sono sempre uno sforzo condiviso?

Rimaniamo sempre aperti ai suggerimenti degli altri, ma basilarmente ognuno si prende la piena responsabilità dei tre pezzi che scrive, per cui le demo che condividiamo generalmente offrono una panoramica abbastanza dettagliata dell’arco dinamico di ogni composizione accanto alle parti scritte per ogni strumento.

Non posso fare a meno di menzionare che la versione Deluxe dell’album include le demo originali di ogni pezzo come bonus, così i più curiosi potranno verificare come ognuno di noi vedeva la sua musica prima di sottoporla agli altri nella band!

Quanto del materiale l’avete registrato assieme, live nello studio? 

Parecchie cose. Quando ci mettiamo a registrare le take iniziali di batteria, suoniamo sempre ogni pezzo tutti assieme per catturare il più possibile un’atmosfera “reale” e poi riascoltiamo per vedere quali parti di basso e chitarra meritino di essere tenute e quali migliorate.

Chiaramente, alcuni dei pezzi (in particolare le composizioni di Marco) erano destinati sin dall’inizio a diventare degli “overdub festival”, per cui in questi casi sapevamo già in partenza che la nostra missione principale sarebbe stata quella di produrre il pezzo usando una quantità di sovrapposizioni e strutture, più che cercare di catturare qualche tipo di magia live. Una cosa come la jam centrale di “Terrible Lizard”, invece, era possibile solo suonando tutti e tre assieme!

Marco Minnemann

Spanish Eddie” è un omaggio ancora più chiaro nel titolo, ma è il pretesto per esibire la versatilità stilistica di Govan in una girandola musicale che passa dalle armonizzazioni spagnole al blues e ai riffoni granitici, sempre con grande attenzione alle dinamiche, alle sfaccettature che fanno la differenza all’ascolto. I suoni delle chitarre sono sempre al top della qualità…

La strumentazione principale che hai usato in studio? I suoni delle chitarre sono tutti “reali” o ci sono anche modelli digitali?

Nell’album degli Aristocrats tutti i suoni che senti sono molto “reali”. Il mio rig principale per queste session era costituito dalla mia testata Victory V30 e un cabinet Victory 2×12″ con speaker Celestion Vintage 30.
È ciò che ascolti nella maggior parte dell’album, sebbene abbia usato un Vox AC30 per i suoni clean in “Last Orders” e “Spanish Eddie”, e mi sembra anche un piccolo combo Carr per “All Said And Done”

A beneficio di ogni fanatico veramente ossessivo, sono abbastanza sicuro che l’amplificatore della chitarra sia stato registrato usando un mix di due microfoni, Shure SM57 e Royer R-121 a nastro

Come effetti ho usato solo qualche pedale isolato, principalmente un wah Xotic e un booster EP, sebbene per qualche parte occasionale abbia usato un Eventide H9 (si può sentire l’algoritmo Synthonizer nella melodia e nell’assolo di “Burial At The Sea” e poi anche quelli di delay in un paio di altri punti).
Sono riuscito anche a farmi prestare dai proprietari dello studio un vecchio Univibe, che spicca nella parte solista di “D Grade”...

Guthrie Govan
© Photo by Kris Claerhout su gentile concessione di rjprmusic.com

La mia chitarra di base è stata una Charvel GG Signature con cassa in frassino, ma ho sperimentato con una serie di altri interessanti strumenti che ho trovato in giro per lo studio. “The Ballad Of Bonnie & Clyde” è stata registrata con una Gibson Les Paul Custom degli anni ’70 (a quanto sembra, appartenuta a Kenny Loggins!).
Molte parti di “Spiritus Cactus” sono state eseguite con una Fender Jazzmaster molto bella degli anni ’60… non avevo mai suonato una Jazzmaster decente prima di questa, stranamente, per cui ci tenevo a trovarle un posto nell’album! 

In “When We All Come Together”, invece, ci sono tutti gli strumenti più strani fra cui una Duesenberg baritona e una Bilt Corvair (uno strumento veramente assurdo surf-style con profonde buche a effe che attraversano completamente la cassa, ma suonava benissimo ed è solo questo che conta veramente!)

Il gusto per il divertimento puro e il gioco musicale viene fuori in pezzi come “When We All Come Together”, dove sembra di sentire Nashville filtrata attraverso il cervello di Zappa, country music speziata e pompata con un bel tocco di ironia. C’è anche un vero banjo 5-corde tra le varie chitarre? 

Ho pensato che sarebbe stato divertente ricreare l’atmosfera da “singalong” che Marco aveva in mente usando quanti più strumenti possibile, sperando di generare la sensazione di più voci che cantano assieme per cui, in aggiunta alla baritona e alla Corvair che ho già citato, ho usato la mia fidata Charvel (ovviamente!), una mandola 12 corde Duesenberg e una vecchia acustica arch-top da due soldi senza marchio…

In più, come hai giustamente sottolineato, un banjo. Io credo che fosse un Deering con manico sei-corde, ma so di certo che tutte quelle cose sono ugualmente suonabili su un “vero” banjo 5-corde (ne uso uno per un paio di pezzi nel set live di Hans Zimmer per cui – dopo 99 concerti, e non sono finiti… – alla fine mi sento vagamente a mio agio nel suonare un vero banjo invece di “barare”!)

“All Said And Done” è una bellissima dolce canzone. Funzionerebbe bene anche con il testo e il cantante giusti… La vostra musica viene trasmessa in radio? Ci sono emittenti interessate a un lavoro strumentale come questo?

Sono sicuro che in internet ci siano un paio di show radiofonici prog/fusion ultra-specializzati che potrebbero programmare qualche nostro pezzo, ma se parliamo di radio convenzionali e dell’arrivare a gente che non conosce già il tipo di musica che suoniamo… dubito fortemente che questa stia avendo alcun tipo di airplay.
Non c’importa molto, comunque: la programmazione radiofonica non è esattamente il nostro obiettivo principale quando facciamo musica come questa!

The Aristocrats

“The Ballad of Bonnie & Clyde” è un’altra canzone lenta e coinvolgente che lascia il segno, e non è l’unica con un definito potenziale per arricchire delle immagini. Avete mai pensato di usare la vostra musica per un filmato o un’animazione?

Penso che forse la nostra musica abbia iniziato ad avere un po’ più di potenziale cinematografico quando abbiamo pubblicato l’album Tres Caballeros: più persone hanno fatto commenti a proposito del vibe sottilmente Tarantino/Rodriguez di “Smuggler’s Corridor”, ad esempio, ma non abbiamo realmente considerato l’obiettivo di cercare di collegare la nostra musica a qualche tipo di colonna sonora.
Detto questo, sarebbe effettivamente molto fico se qualche regista trovasse del potenziale in qualcuno dei nostri pezzi… cose come queste vanno al di là delle nostre decisioni 😉

Avete scelto di concludere l’album in chiave delicata, seppur caratterizzata dalla solita ricca miscela di dinamiche. Il finale di “Last Orders” suona molto spontaneo e pieno di finezze strumentali. 

La parte finale di quel pezzo inizialmente doveva essere sfumata con un fade out – una cosa inedita per i nostri album – ma poi, quando stavamo effettivamente registrando, ci siamo trovati spontaneamente a divertirci molto nello spirito rilassato del finale.  Penso che ci sia una specie di fattore psicologico che ti fa suonare diversamente (forse un po’ più liberamente?) nel finale di un pezzo quando sai che nel missaggio sarà poi sfumato… ed è bello quando catturi questo feeling nella registrazione.
Comunque sia, quando abbiamo riascoltato il tutto, non riuscivamo proprio a trovare il punto giusto dove iniziare il fade out, per cui abbiamo lasciato l’intera jam così com’era! 

The Aristocrats

Questo livello di interplay è qualcosa che ormai date per scontato o capita che le cose a volte funzionino meno?

In generale, l’elemento “interplay” di ciò che facciamo è qualcosa che siamo arrivati quasi a dare per scontato: credo che ci sia tra di noi un completarsi reciprocamente come musicisti e a quanto pare abbiamo molto in comune a livello di istinto quando suoniamo, per cui… generalmente ci sentiamo molto “nel nostro elemento” quando siamo spontanei.

Tracklist

  • 01 – D Grade F*ck Movie Jam (Beller)
  • 02 – Spanish Eddie (Govan)
  • 03 – When We All Come Together (Minnemann)
  • 04 – All Said And Done (Beller)
  • 05 – Terrible Lizard (Govan)
  • 06 – Spiritus Cactus (Minnemann)
  • 07 – The Ballad of Bonnie And Clyde (Beller)
  • 08 – Burial At Sea (Minnemann)
  • 09 – Last Orders (Govan)

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