Uno dei migliori batteristi jazz italiani ha da poco pubblicato un interessante e-book didattico, contenente la trascrizione di 100 groove suonati da ben noti batteristi pop, rock e fusion degli anni ’70, ’80 e ’90.
Una scelta apparentemente sorprendente, se pensiamo a quanto la carriera di Beggio sia legata al mondo del jazz: nel 1986, a soli 16 anni viene notato dal trombettista Enrico Rava, che l’anno dopo lo arruola in pianta stabile nel suo quartetto.
Da allora Mauro ha avuto modo di alternarsi tra formazioni fisse (oltre all’Enrico Rava Quartet, l’Enrico Pieranunzi Trio, il Quartetto di Claudio Fasoli, il Gibellini-Tavolazzi-Beggio Trio, la Lydian Sound Orchestra, l’Antonio Faraò Quartet) e un intensa attività di freelancer, che lo ha portato a suonare con alcuni tra i migliori jazzisti italiani e stranieri, da Johnny Griffin a Toots Thielemans, da Lee Konitz a Palle Danielsson, da Franco Ambrosetti a Paul Bley, da Franco D’Andrea a Guido Manusardi, da Stefano Bollani a Mauro Negri…
Molto attivo didatticamente, Beggio insegna al Conservatorio di Vicenza, dopo aver avuto esperienze analoghe in quelli di Padova, Mantova, Trieste e Rovigo; dal 2016 al CDM di Rovereto (TN), mentre dal 2012 al 2016 ha insegnato nei corsi di alta formazione della Siena Jazz University, eredi di quei seminari frequentati nel 1986 e che lo avevano visto distinguersi al punto da fargli guadagnare la chiamata di un maestro quale Enrico Rava.
Come nasce l’idea dei 100 grooves? E con quale scopo?
100 Grooves nasce per scopi didattici qualche anno fa. Mi sono reso conto che i ritmi di batteristi famosi, citati nella maggior parte dei metodi per batteria, erano sempre troppo pochi. Una prima scelta dei ritmi da trascrivere è stata fatta, molto banalmente, in base ai dischi che avevo. Ho iniziato trascrivendo circa trecento pattern e in seguito scegliendone cento sulla base dell’interesse che questi ritmi suscitavano in me.
Un interesse principalmente musicale e solo in secondo piano tecnico.
Nell’ebook ci sono sia ritmi facili che difficili da eseguire tecnicamente, ma tutti accomunati da ‘ingredienti’ interessanti, siano questi un timbro, un accento, un pattern di cassa.
Le trascrizioni sono quasi tutte di una o due misure al massimo. Hai preferito concentrarti sull’essenza dei groove, lasciando agli allievi l’onere di tirarsi giù eventuali variazioni e fill?
Una o due battute in genere compongono il ciclo ritmico della maggior parte dei groove ed è il motivo per cui le trascrizioni hanno questa durata. I fill vengono dopo e sono ovviamente un elemento importante, ma la loro trascrizione non è lo scopo di questa raccolta.
Quanto ritieni sia importante la capacità di trascrivere oggi, in un momento in cui tramite Youtube e i social network abbiamo l’impressione di avere tutto a portata di click?
Trascrivere o comunque imparare (anche solo a memoria) ritmi, fill o brani musicali attraverso l’ascolto e un’analisi personale del materiale musicale è imprescindibile e irrinunciabile, fa parte del processo di apprendimento. I libri come il mio, i metodi o i Real Book dei jazzisti sono strumenti utili, ma non possono sostituire l’esperienza personale.
Sei conosciuto come uno dei migliori batteristi jazz italiani, quindi colpisce il fatto che la tua pubblicazione riguardi groove suonati da batteristi pop, rock e fusion degli anni ’70, ’80 e ’90, quelli che definisci “all my drum heroes“. Cosa puoi dirci in merito?
Io amo la batteria e il suo suono in tutti i generi musicali. Amo il suono del rullante di Alex Van Halen! Il fatto di aver trascritto questo materiale dai dischi in mio possesso la dice lunga sui miei gusti. Certamente con il tempo ho abbandonato certi ascolti e non sono più così onnivoro, ma tutti questi musicisti mi hanno influenzato, mi hanno insegnato qualcosa e hanno tenuto alto il mio livello di passione per la musica e la batteria. Sono i miei eroi e devo qualcosa a ognuno di loro.
Quale importanza batteristi come Stewart Copeland o più ancora Chad Smith e Neil Peart hanno avuto nella formazione musicale di un ragazzo che a 16 anni ha iniziato a suonare con Enrico Rava?
Al tempo ero senz’altro più jazz-rock di adesso, ma erano anche altri tempi, c’era altra musica e si suonava in modo diverso: son passati trent’anni! Tornando alla domanda, credo che tutti quei batteristi mi abbiano aiutato soprattutto a costruire un suono composito e definito.
Molto ben rappresentata è la fusion, un genere che si direbbe assai distante dalla musica che sei solito suonare. Oltre a Ricky Lawson con gli Yellow Jackets, ho notato con piacere la presenza di Phil Gould e Gary Husband con i Level 42 e di Ricky Morales con gli Spyro Gyra. Anche in questo caso, che ruolo ha avuto la fusion nella tua formazione musicale e batteristica?
La musica fusion mi ha aiutato moltissimo ad affinare la tecnica. Per suonarla ci vogliono velocità, precisione, volume e capacità di suonare ritmi difficili su strutture complesse. Purtroppo negli ultimi anni è stata molto svalutata, a volte a ragione, a volte no.
Il genere fusion ha acquisito nel tempo un’accezione negativa, dovuta sicuramente a molte produzioni di scarso valore artistico, ma ha prodotto anche dischi come Atlantis di Wayne Shorter, che è un capolavoro. Ci sono batteristi straordinari come Alex Acuña o Omar Hakim, dei quali non si parla quasi più.
Veniamo alla tua attività musicale. Quali le collaborazioni al momento in corso? E quali i programmi per l’immediato futuro?
I miei concerti si dividono tra formazioni con cui collaboro da molti anni, come il trio di Enrico Pieranunzi (con cui in maggio suonerò in quartetto insieme a Seamus Blake) o la Lydian Sound Orchestra. Gruppi più recenti, come il trio di Roberto Olzer, e concerti come free lance.
Da un anno sono leader di un trio a cui tengo molto: Mauro Beggio Music by Friends, con cui suono solo musiche di musicisti con cui ho collaborato nel corso della mia carriera (che quest’anno compie 31 anni). Oltre a me ci sono ai sassofoni Michele Polga e alle tastiere Gianluca Di Ienno. Un gruppo appena nato invece è il Trio Nuances, con Mauro Negri e Paolo Birro. Come puoi notare, ho una predilezione per le piccole formazioni.
Quindi sei impegnato sia in contesti stabili sia come free lance. Quale delle due opzioni preferisci? Quali i pro e i contro delle due situazioni?
Senz’altro la formazione stabile. Anche se suonando jazz, in questo periodo storico, è difficile considerare qualunque formazione un gruppo stabile (risate, NdA). A parte gli scherzi, voglio dire che, anche per gli ensemble che esistono da molti anni, la mole di lavoro del singolo gruppo difficilmente è così consistente da portare i musicisti alla noia. In dieci concerti di fila spesso ci si ritrova a suonare con sei o sette formazioni diverse. Questo è un fattore che porta un po’ di stress, ma tiene piacevolmente alta la tensione musicale.
Dal tuo sito si evince un certo feeling con la tecnologia, visto che promuovi sia un tuo corso online sulle spazzole sia l’utilizzo della app I Read Rhythm. Quale il tuo pensiero in proposito?
Non sono un geek, ma sono curioso e pongo molta attenzione a quello che la tecnologia può offrire. Ovviamente sia il corso sulle spazzole che l’application sulla lettura ritmica sono il frutto di collaborazioni. Le idee sono mie, ma qualcuno che ti aiuti ad attuarle ci vuole. Servono mezzi e conoscenze, anche se comunque sono presente nella maggior parte delle fasi di produzione.
Curiosamente dietro al corso di spazzole non c’è una software house o un editore, ma un altro musicista, Leo Di Angilla. Uno straordinario percussionista, che però è bravissimo anche a gestire questo tipo di produzioni e non solo.
Vuoi raccontare ai nostri lettori qualcosa sulla tua strumentazione?
Molto volentieri. Da una decina d’anni, grazie a Bomap s.r.l., sono endorser Noble & Cooley, Amedia Cymbals, Attack Drumheads e Drum Wallett. Uso un classico jazz set con cassa da 18″, timpano da 14″ e tom da 12″ (ho a disposizione anche altre misure, ma alla fine suono sempre con queste), in acero canadese.
Uso due rullanti: un modello SS (Solid Shell) da 14″x7″ in acero e un Alloy Classic da 14″x 4.75″. Questo set è estremamente versatile e professionale, equilibratissimo. Sviluppa un vasto spettro di frequenze senza la minima perdita di definizione. Il mio elemento preferito è il rullante Alloy Classic. Ha una definizione che inizialmente intimorisce, ma una volta che ci si è abituati è difficile tornare indietro.
Suono piatti Amedia, principalmente serie Classic, a parte l’hi-hat, che è un Vigor Rock da 14″, molto duro e potente, ma con un suono caldo e pastoso. Quindi un ride da 20″, un flat ride sempre da 20″, un crash FX, un china e un crash da 18″. Pelli Attack 2 Ply Thin sabbiate. Sono tutti strumenti straordinari.
Mauro, c’è qualcuno che vuoi ringraziare alla fine di questa chiacchierata?
Ringrazio senz’altro te, Alfredo, e la redazione di Musicoff; Noble&Cooley, Amedia Cymbals, Attack Drumheads e il distributore Bomap per gli splendidi strumenti che mi ha messo a disposizione. Un particolare ringraziamento lo voglio però rivolgere a tutte le persone che in questi anni mi hanno sostenuto, organizzando o partecipando ai concerti e comprando dischi: senza di loro non saremmo qui.
L’e-book 100 Grooves può essere scaricato da Amazon, al modico prezzo di 5,70 euro e può essere installato su qualunque dispositivo dotato dell’app kindle, gratuita e scaricabile da Google Play o Apple Store.
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