Da protagonista dell’estate psichedelica californiana con i Jefferson Airplane a influentissimo chitarrista acustico, Jorma Kaukonen ha lasciato il segno e questo è il frutto dell’incontro di una trentina d’anni fa.
Che dire… il 1986 è l’anno in cui è nata Chitarre e questa intervista è uscita in uno dei primissimi numeri. Incontrare personaggi mitici come Jorma all’epoca era ancora più eccitante. Era un momento importante per il rock, uscivano pietre miliari come Master of Puppets dei Metallica o 5150 dei Van Halen, Prince rimetteva in discussione il concetto stesso di funk con Parade e Peter Gabriel pubblicava un capolavoro come So, mentre Sting reinventava felicemente se stesso con Bring On The Night e Paul Simon metteva un punto fermo alla sua carriera con lo splendido Graceland.
Questo e molto di più saltava all’occhio, anzi, all’orecchio, ma altre cose si muovevano a un livello meno appariscente.
In un’edizione del Pistoia Blues Festival dominata dalla presenza di giganti come Buddy Guy, John Mayall, Pat Metheny, John McLaughlin, noi ci concentravamo su un personaggio chiave del rock psichedelico di fine anni sessanta, protagonista con la sua chitarra ‘acida’ delle performance dei Jefferson Airplane, prima di rivelare la sua identità di affascinante chitarrista acustico. Jorma Kaukonen ci aveva messo tutti di fronte alla necessità di imparare questa tecnica misteriosa chiamata fingerpicking per affrontare il repertorio tradizionale country blues di cui era bandiera moderna. Suonare pezzi come la sua “Genesis” negli anni settanta era quasi un obbligo.
Incontrarlo a Pistoia significò scoprire un uomo gentilissimo, innamorato della chitarra e della sua musica.
L’immagine che rimane scolpita nella memoria è necessariamente quella di Jorma che scopre la schiena tatuata sulle scale antiche del palazzo pistoiese per farsi fotografare da Fausto Ristori.
Quasi 30 anni dopo, incontrandoci ancora in Italia, inossidabile 72enne, avrebbe sorriso di quelle foto…
Quali sono le tue basi chitarristiche? Sei completamente autodidatta?
Non ho mai fatto studi veri e propri ma ho imparato da molte persone senza prendere lezioni: Rev.Gary Davis prima di tutto, poi un chitarrista chiamato Ian Buchanan che ora è morto… A John Hammond Jr, che è un mio buon amico, ho rubato qualche trucco… E poi quasi ogni nome del catalogo Yazoo!
Con John Hammond è abbastanza buffo, perché abbiamo cominciato a suonare il blues praticamente assieme nel ’58, ma già un paio d’anni dopo era lui a darmi delle idee colpendo la cassa della chitarra e sfruttando altri rumori.
UN’ELETTRICA STEREOFONICA
Hai cominciato con Jefferson Airplane a suonare I’elettrica?
Suonavo elettrico già prima, ma non era una cosa seria, ero un ragazzino. È stato con i Jefferson che le cose sono cambiate, quindi con I’elettrica sono ancora più autodidatta che con I’acustica.
Quindi il tuo suono caratteristico si è sviluppato con gli Airplane…
Sì. Avevo una Gibson 345, stereo, e devo dire che questo ha influito molto sul mio stile. Quando la comprai non sapevo a cosa servisseI ‘effetto stereo, un pickup da una parte e uno dall’altra, ma poi è proprio questo che è servito a caratterizzare il suono dei Jefferson Airplane. Avevo uno, due, tre o quattro amplificatori per ognuno dei due pick-up e usavo un wah-wah per quello al ponte e un fuzz-tone per quello alla tastiera. Era come avere più chitarre che suonavano assieme.
Che tipo di effetti erano?
Un Ampeg Scrambler, un tipo di fuzz-tone che non producono da anni. A me ne è rimasto solo uno, ma ne compravo una dozzina alla volta, perché una volta rotti non è possibile aggiustarli. Danno un suono più ricco di armoniche delle normali scatolette dello stesso tipo e questo andava bene per quello che facevo all’epoca. Il wah-wah era un Thomas CryBaby da organo, niente di speciale.
E gli amplificatori?
All’inizio usavo marche molto economiche, ma quando mi ritrovai con la 345 provai con due Fender Twin, poi quattro, sei, e anche otto. Più tardi passai ai Marshall e verso la fine degli Airplane ne avevo sei più altrettanti Fender. Non una cosa incredibile, ripensandoci oggi, ma non era male. Con Hot Tuna poi ho usato gli Orange finché mio fratello non mi ha convertito a quelli usati anche da Pete Townshend, come si chiamano… Hiwatt, e ancora li uso.
IL SUONO ACUSTICO
Come ottieni gli effetti percussivi sulle corde, con il pollice o il palmo della mano?
Quando suono I’acustica e ho un plettro al pollice, colpisco generalmente con la parte scoperta del dito sottostante al plettro, oppure con plettro e dito allo stesso tempo. Sull’elettrica, quando suono in fingerstyle, non uso fingerpick e quindi non ho problemi.
Che tipo di fingerpick usi?
Metallici per indice e medio e un thumbpick di plastica per il pollice.
Che chitarra hai usato stasera?
È una Gibson J-50 che ho comprato nel ’58 per un centinaio di dollari.
E che assetto usi per le corde?
Le più dure che trovo e un’action molto alta. Se a volte frustano è perché colpisco molto pesante. In effetti la chitarra ha ormai bisogno di cure appropriate e quando torno a casa dovrò portarla dal dottore, perché il manico comincia a piegarsi. Ne ho un’altra per sostituirla temporaneamente, una J-100, simile alla J-200 ma senza tutte quelle decorazioni.
Quali accordature particolari usi?
In genere solo un paio: il dropped D molto spesso, altrimenti le accordature aperte di Ml (MI SI MI SOL# SI MI) o di SOL (RE SOL RE SOL SI RE).
Avevi un pickup piezoelettrico sulla Gibson?
Si, è un Barcus-Berry in diretta nel mixer e non è il mio preferito. Avevo un microfonino Countryman ma si è rotto, così adesso uso questo pickup e un normale microfono di fronte alla chitarra: miscelandoli il suono è abbastanza buono.
E ora suoni più acustico o elettrico? Qual’è in definitiva la tua dimensione?
Più acustico ultimamente, perché lavoro da solo. Fino a sei mesi fa avevo una band di rhythm’n’blues a New York dove vivo ora: abbiamo girato per un anno e tenere assieme sei persone cominciava a diventare faticoso, sai com’è.
Suono ancora I’elettrica quando capita I’occasione o secondo come mi gira, ma a volte la sento come appartenente al mio passato. Le mie radici sono comunque decisamente acustiche.
UN ARTISTA INFLUENTE
Ascoltando il tuo ultimo album Too Hot To Handle e paragonandolo a dischi ormai storici come Quah mi sembra che il tuo stile sia diventato più complesso…
Beh, Quah risale al ’71, ha quindi quasi quindici anni, un sacco di cose sono cambiate e io sono stato fortunato perché ho suonato molto I’acustica. Di questo album sono soddisfatto e penso anch’io che contenga delle cose un po’ più complesse.
Sei consapevole di quanto grande sia stata la tua influenza, durante gli anni settanta, nella formazione di un’intera generazione di fingerpicker anche in Europa? Dalla mia personale esperienza ti posso dire che in Italia molti si sono avvicinati a questo stile chitarristico proprio sui tuoi dischi.
Penso che sia fantastico perché io mi considero un musicista folk che, grazie ai Jefferson Airplane, ha potuto raggiungere un pubblico molto vasto. La prima volta che sono venuto in Italia la gente qui ricordava meglio di me le mie canzoni, anche quelle che io avevo dimenticato. È una cosa che colpisce.
Che cosa mi dici dei nuovi fingerpicker? Hai seguito gli sviluppi degli ultimi anni con etichette come la Windham Hill?
Oh, Michael Hedges, ho capito… Non conosco molto gli altri, ma Michael è un diavolo di chitarrista e usa molto bene anche gli effetti! L’hai mai visto in concerto? È buffo, ha questo aspetto da hippy con i capelli lunghissimi e suona veramente bene, con meno forza di quanto piace a me, ma con una valanga di idee. Ci sono comunque molti ottimi fingerpicker in giro negli USA in questo momento, anche tra i giovani.
Intervista pubblicata in origine su Chitarre n.7 del 1986. Tutti gli arretrati di Chitarre sono disponibili per l’acquisto contattando [email protected].
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