Tradurre il suono in numeri è obiettivo comune del physical modeling, del profiling, del tone matching e dei famigerati Impulse Response. Ce ne parla un esperto.
Il sogno di sfruttare suoni reali (o quantomeno realistici) attraverso un controller è una frontiera che ha ormai passato il mezzo secolo. Dopo oggetti pionieristici e di difficile gestione come il Mellotron, basato sulla riproduzione di suoni registrati su nastro, è negli anni ’70 che arriva la rivoluzione dei campionatori digitali, gestiti ancor meglio con l’arrivo a stretto giro del MIDI.
Ma un conto è gestire un “campione”, ottenuto registrando un suono reale, con ovvi vantaggi e anche molti limiti, un altro è cercare di analizzare il DNA stesso del suono per poi ricavarne una formula matematica che rende numericamente tutti i suoi elementi costitutivi per arrivare a una riproduzione virtuale quanto più realistica possibile.
Questo è stato l’obiettivo del Digital Modeling, sfruttato ancora oggi nella sua versione più aggiornata assieme ad altre tecnologie di recente utilizzo – come i sempre più citati Impulse Response – e la corsa al santo graal del suono virtuale continua senza sosta, sostenuta dal costo sempre più basso della componentistica elettronica.
Pensando al mondo della chitarra, c’è chi nell’ultimo decennio è persino riuscito a creare una nuova nicchia con macchine basate su tecnologia proprietaria, battezzando termini evocativi come “profiling”, usati poi inevitabilmente anche per generalizzare. Ma questo fa parte del gioco.
Per fare un po’ di chiarezza, abbiamo chiesto a un esperto professionista di entrare nel merito della questione. Riccardo D’Acunto è un sound engineer di lunga esperienza che ha scelto di dedicare questa parte del suo percorso proprio alla digitalizzazione del suono e all’offerta di servizi personalizzati attraverso lo studio DRAPsound di cui è socio fondatore a Roma.
Cos’è dunque il modeling?
La modellazione fisica nasce allo scopo di trasformare in una formula matematica i singoli elementi del circuito e non il suono finale. Quindi, prendo un amplificatore, lo apro… c’è un trasformatore: qual è la formula del trasformatore? C’è un circuito RLC? Qual è la formula matematica equivalente?
Mettendole tutte assieme ottengo questo “formulone” finale che è l’equazione del mio amplificatore.
E questo è, appunto, il “modello fisico” perché di ogni elemento fisico ho l’equivalenza matematica.
La cosa nasce così anche per strumenti acustici in cui non ci sono circuiti, ma c’è magari una tavola che vibra, le corde, il ponticello sottoposto a un’azione meccanica… mettendo assieme tutte le relative equazioni ottengo una modellazione fisica.
Nel caso della chitarra elettrica c’è il pickup che ha un’induttanza, quindi abbiamo magneti avvolti da spire magnetiche con dei valori precisi, etc.
In teoria il physical modeling è meno limitato di altri sistemi perché è basato su un’equazione che rappresenta direttamente il circuito, ma rimane il problema che è difficilissimo tradurre in numeri un sistema o un componente non lineare.
Finché ricavi l’equazione di un condensatore o di una resistenza (con le dovute approssimazioni) è facile, ma nel momento in cui provi a farlo con la valvola, che non è lineare, nascono i problemi.
Anche se oggi i sistemi basati sul modeling sono arrivati a livelli notevoli di qualità…
Sì, perché ora riescono ad emulare gli stadi di saturazione della valvola, variabili in base alla sua temperatura o corrente o al carico a cui è sottoposta. Più aumenta la potenza di calcolo dei DSP e delle CPU, più aumenta la possibilità di gestire le numerose variabili. Queste macchine devono fare una quantità di calcoli enorme per prevedere tutto.
Contemporaneamente, anche chi sviluppa gli algoritmi riesce a ricavarne di sempre più precisi e complessi, proprio perché ora si avvale di strumenti di calcolo sempre più potenti. Per questo ci si avvicina sempre di più alla realtà del suono.
E questo è diventato un trend che si è affermato a livello globale e va avanti da una trentina d’anni. In che modo dunque Kemper, non molto tempo fa, è riuscito a imporre il suo “profiling” nell’omonimo amp con la promessa di un feeling ancora più realistico di quello offerto dal modeling?
Il punto è che il sig. Kemper se ne frega di quello che c’è all’interno dell’amplificatore a livello circuitale, ma sottopone il sistema di ampli e cassa a più segnali di test d’ingresso e ne misura con un microfono il segnale di uscita. Poi, comparando l’uscita con l’ingresso, riesce a calcolare l’equazione che rappresenta la struttura interna dell’amplificatore.
La complessità nasce perché l’amplificatore per chitarra e l’altoparlante stesso sono sistemi non-lineari dove, ad esempio, se modifichi leggermente il valore di un fattore come il volume, cambia tutto. Ad esempio, variando la forza della pennata… Kemper è riuscito a creare un sistema che riesce a rispondere abbastanza bene anche ai cambiamenti di dinamica.
E ha creato praticamente una nuova categoria…
Christoph Kemper una decina di anni fa ha sviluppato questo processo e lo ha brevettato, quindi, ad essere rigorosi, bisognerebbe parlare di “profilazione” solo per le sue macchine.
In realtà, nel tempo è diventato di uso comune e ora con “creare un profilo” si intende realizzare un’immagine sonora che somiglia quanto più possibile a quella dell’ampli o della chitarra originale.
Quasi contemporaneamente si è affermato quello che chiamano Tone Matching, basato sull’analizzare lo spettro di due tipi di segnale per poi equalizzarne uno e renderlo simile all’altro. Questo viene applicato al segnale prodotto dal pickup di una chitarra o anche da un amplificatore.
È la comparazione dell’EQ di uno strumento con quella di un altro. Anche questo algoritmo, però, è statico. Di tutto ciò che avviene variando il volume non ce ne accorgiamo. È un valore medio realizzato analizzando un segnale che quanto a dinamica o volume varia nel tempo.
Quindi ha dei limiti precisi…
Sì e, oltre al diverso algoritmo usato, la differenza è che il tone matching ti vincola alla macchina hardware con il quale l’hai creato. Non è esportabile. Il limite qualitativo è che delle frequenze ci dà una media ponderata su un periodo prefissato.
Come dire che ascoltiamo una chitarra per due-tre minuti, suonata a vari volumi e livelli di dinamica, facciamo una media delle frequenze che abbiamo ascoltato e otteniamo un’approssimazione dello spettro.
Poi prendo un’altra chitarra, la metto a confronto, etc. Noi possiamo fare delle fotografie al suono, ma la realtà di uno strumento musicale è che ci sono infinite fotografie in base all’esecuzione e a tanti altri parametri. Basta cambiare plettro per modificare il suono.
In questo senso quali sono le caratteristiche dell’IR, in cosa è diverso?
L’Impulse Response storicamente nasce in relazione al riverbero, il cosiddetto riverbero a convoluzione. Poi è arrivata l’emulazione del cono dei sistemi di amplificazione per chitarra che, essendo molto irregolare nella risposta in frequenza, con i normali equalizzatori non si riusciva ad emulare sufficientemente bene, cosa invece possibile con gli IR.
Il processo prevede l’invio di un impulso al cono, ma poiché in natura il perfetto impulso matematico non esiste, viene utilizzato un artifizio matematico: invece di mandare un singolo impulso, una botta secca, che rischierebbe anche di danneggiare il cono, si manda uno sweep, un segnale sinusoidale di test, un fischio crescente.
Dalla misurazione microfonica della risposta riusciamo a calcolare l’IR del cono.
Così sono realizzati i vari IR contenuti nelle macchine sul mercato.
Ora però questa tecnologia si sta applicando anche agli strumenti…
Sugli strumenti sino ad oggi si è applicato il Tone Matching (vincolandosi, come detto, alla macchina che lo realizza), partendo da una semplice esecuzione sullo strumento, che copra però tutta la gamma di frequenze, come ad esempio una scala cromatica piuttosto che una sequenza di barré su tutto il manico.
La novità che con DRAPsound abbiamo introdotto sul mercato è l’aver trovato degli algoritmi che ci permettono, partendo dallo stesso tipo di esecuzione, di generare veri IR anche per gli strumenti acustici, così come per quelli elettrici e per gli amplificatori valvolari.
Questo dà la comodità di svincolarsi dal rapporto obbligato con una determinata macchina, un determinato marchio. Il nostro IR si può caricare su qualsiasi macchina, fra quelle sempre più numerose che offrono la possibilità di farlo, o può essere gestito da un plugin per il pc.
Inoltre, noi lavoriamo su servizio custom, cioè non su chitarre generiche ma sullo strumento specifico del cliente. Quindi, andiamo a realizzare degli IR su misura.
Alla fine, l’IR è un semplice file audio .wav che, non essendo “proprietario”, è leggibile da chiunque.
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