Succosi estratti dalla lunga intervista in cui Jerry Douglas, il caposcuola contemporaneo del dobro in tour con Tommy Emmanuel, si racconta a Daniele Bazzani.
Definire un musicista come Jerry Douglas è impresa ardua, forse perigliosa. Si dovrebbe solo ascoltare, lasciando che il nostro cuore, più che la nostra testa, faccia il resto. Lo definisco da anni «L’uomo che ha suonato solo note giuste, tutte bellissime», ma autocitarmi qui serve a poco.
Si dovrebbe andare a cercare registrazioni del suo dobro dagli anni ’70 ad oggi, confrontare la moltitudine di contesti nei quali si è calato, e poi apprezzare l’incredibile capacità di relazionarsi a ognuno di essi, sembrando sempre perfettamente a proprio agio in ogni singola occasione. Chi ha avuto modo di suonare stili diversi con musicisti di differenti estrazioni può avere una vaga idea di quale sia la difficoltà.
Ma se sei stato membro di gruppi rivoluzionari come J.D.Crowe & the New South, Alison Krauss & Union Station e gli Earls of Leicester, se le tue collaborazioni vanno da Paul Simon a James Taylor, da Elvis Costello e Garth Brooks a Ray Charles, passando per tutto ciò che ci si può trovare in mezzo, allora la cosa si fa davvero interessante.
Eri in una famiglia di musicisti, ascoltavi la radio, i vinili, le band del posto?
Mio padre era chitarrista e voce principale di una band di bluegrass. Erano davvero fantastici, quindi potevo ascoltarli provare le nuove canzoni per i loro spettacoli, ascoltavamo dischi insieme ogni giorno. E intorno ai tredici anni iniziai a suonare con il gruppo di mio padre nei bar della città in cui si esibivano: è stata una grande fortuna.
Mio padre, come tutti quelli della band, lavorava nelle acciaierie. Io suonavo con loro il sabato sera quando si esibivano. Divenni un professionista intorno ai sedici anni: fui ingaggiato dai Country Gentlemen, una band di bluegrass molto famosa di Washington D.C., e la mia carriera vide il suo vero inizio. C’erano banjo, mandolino, chitarra, Ricky Skaggs suonava il violino, c’era il basso; erano molto famosi negli anni ’70 e ’80.
Suonai con loro un’estate, tornai a casa per finire la scuola, avevo sedici anni, e ritornai a suonare con loro per un altro anno.
A che età hai avuto il tuo primo dobro?
Intorno ai tredici anni, quando la Dobro ha rimesso in produzione i vecchi modelli. E dopo qualche tempo sono riuscito a comprarne uno veramente vecchio, un modello pre-war. Era un ottimo strumento, mi ha aiutato tanto.
Ascoltando ciò che suoni si ha una strana impressione, che ricevo solo da pochi e grandissimi musicisti al mondo: ti si sente completamente immerso in una tradizione, in un linguaggio musicale, ma sei al tempo stesso innovativo senza scalfire quel blocco da cui attingi; che poi non è solo uno, come spiegavi…
Da una parte credo sia a causa dello strumento che suono, che mi permette di muovermi moltissimo fra i diversi generi. Posso suonare così bene il bluegrass perché ci sono cresciuto dentro. Ma è anche perché ho suonato con così tanti musicisti, che oggi la mia musica è più influenzata dal rock’n’roll e dal jazz che dal bluegrass. E non va dimenticato che suono uno strumento slide, quindi profondamente influenzato dal blues.
Ho avuto la fortuna di suonare con tanti musicisti incredibili, come Tommy Emmanuel. E lui è come me, è influenzato da una moltitudine di cose diverse che escono dal suo strumento quando meno te lo aspetti. Viene tutto fuori dai nostri strumenti, è come quando parliamo.
È incredibile, perché ascoltandoti suonare si ha sempre l’impressione chiara di trovarsi di fronte a te, non importa quale sia il contesto; ciò che suoni risulta sempre perfetto…
La musica è come un linguaggio: se impari a parlare con le persone, puoi imparare a suonarci. Non importa quanto tu sia famoso, quanto tu sia tecnico. Ognuno di noi ha le mani per suonare milioni di note, bisogna solo trovare il modo giusto per farlo.
C’è qualche artista con cui hai suonato che ricordi con particolare piacere?
Ho suonato con talmente tanti musicisti che è difficile. Ricordo però che suonare con James Taylor è stato un momento molto particolare. Andare in tour con lui e la sua band per un’intera estate è stato molto bello e divertente, sono davvero grato per aver avuto questa opportunità. Come lo è stato registrare con Ray Charles, e con John Fogerty, con cui sono stato in studio alcune volte.
È strano, perché prima di incontrarli alcuni erano delle leggende nella mia immaginazione, ma poi in studio o sul palco sono solo delle persone con cui stai avendo una conversazione. Siamo tutti sullo stesso piano, davvero, siamo tutti uguali. Solo che alcuni hanno fatto una vita diversa dalla tua. Quando si suona, ci si confronta: tu invii delle idee verso l’altro, e le ricevi indietro; e così si va, avanti e indietro.
Ho suonato anche con Eric Clapton: quasi tutti erano dei miti per me, e oggi alcuni sono miei amici. Sono musicisti di straordinario talento e molto famosi, ma in fondo sono solo persone.
Credo che musicisti come te non si fermino mai. Immagino che ancora oggi studi, oltre a suonare così tanto. Chi ti ispira oggi? Dicci qualche nome che non ci aspetteremmo di sentire da te.
Fra pochi giorni avrò la possibilità di rivedere e dividere il palco con un mio grande amico, Derek Trucks, un musicista straordinario. E poi Tommy Emmanuel è un musicista fantastico: questi due sono al top delle loro categorie. L’anno scorso ho fatto un workshop con David Lindley; un altro è Sonny Landreth, musicisti slide di livello assoluto. E che dire di Bill Frisell?
Il resto dell’intervista di Daniele Bazzani è pubblicato su Chitarra Acustica n.10/2018.
Jerry Douglas e Tommy Emmanuel saranno in Italia nelle seguenti date:
- 1 novembre – Torino, Teatro Colosseo
- 4 novembre – Genova, Politeama Genovese
- 5 novembre – Firenze, Teatro Saschall
- 6 novembre – Roma, Auditorium Parco della Musica
- 7 novembre – Milano, Teatro Dal Verme
- 8 novembre – Bologna, Teatro Duse
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