John Knowles, Certified Guitar Player accanto ad artisti come Atkins, Jerry Reed, Lenny Breau, Richard Smith, fino al recente album e tour con Emmanuel.
Chi frequenta a Nashville l’annuale convention in onore di Chet Atkins, organizzata dalla CAAS, la Chet Atkins Appreciation Society, non può fare a meno della presenza e simpatia di John, vero veterano del mondo della chitarra americana.
Alberto Lombardi l’ha intervistato a casa sua, sempre nella capitale del Tennessee.
John, la tua storia è davvero lunga e intensa!
Oggi capisco che buona parte della mia storia si basa sul fatto che mi sono interessato alla chitarra prima che la chitarra fosse particolarmente considerata.
All’epoca non era ancora diventata uno strumento ‘popolare’. Nel contempo io avevo scoperto i dischi di Les Paul e Chet Atkins.
Hai cominciato anche molto presto a suonare professionalmente.
Sì, avevo allora quindici anni e già suonavo da due anni, quando aprì un ristorante hawaiano in città. C’era un ragazzo, che aveva una steel guitar e conosceva tutte le canzoni hawaiane. Voleva mettere insieme una band per suonare nel ristorante e io ero l’unico chitarrista che conoscesse.
Quando i Beatles comparvero era la metà degli anni ’60 e io già suonavo più o meno da tredici anni. Quello è stato il momento in cui la chitarra è veramente esplosa. Tutti avevano una chitarra, ma fino a quel momento negli Stati Uniti la musica che andava di moda era il folk, quindi si trattava soprattutto di acustiche. Quando arrivarono i Beatles, invece, tutti volevano suonare la chitarra elettrica e formare una band.
Per un po’ di tempo l’Atkins style era sparito: negli anni ’80-’90 non ricordo molte persone che lo suonassero. Ora è davvero esploso!
Per un bel po’ di tempo è stato un fenomeno molto importante. Poi è arrivato il rock’n’roll e successivamente l’elettronica, quindi i ragazzi che suonavano la chitarra hanno cominciato a suonare cose diverse, non avevano più accesso a quella musica un po’ più datata. Infine è arrivato YouTube, che dava accesso a molte più informazioni della sola televisione…
E con YouTube è arrivato anche Tommy Emmanuel…
Esatto, con la sua grande presenza online ha riportato in vita questo stile nell’immaginario dei ragazzi.
Tu hai conosciuto quasi tutti i grandi chitarristi che amiamo. Mi piacerebbe che ci raccontassi qualcosa, magari cominciando proprio da Chet.
Suonava con l’orchestra sinfonica di Dallas e un paio di amici mi dissero: “Ci devi presentare Atkins!” Pensavano che lo conoscessi, visto che suonavo i suoi brani.
Io risposi che non lo conoscevo, ma loro insistettero: “Allora presentati tu e poi presenti anche noi.” Ed è quello che ho fatto, scoprendo che – siccome trascrivevo alcune delle sue cose e le facevo circolare – Chet sapeva già della mia esistenza. Ci siamo trovati bene da subito e, nello spazio di venti minuti, lui è passato dall’essere il mio eroe all’essere il mio partner di lavoro.
Era così umile e accogliente, mi chiedeva come suonassi alcune sue cose, come le scrivessi e così via. Addirittura mi chiese di terminare un arrangiamento su cui stava lavorando, “The Entertainer” di Scott Joplin.
Io lo feci, glielo spedii, lui lo incise e nel 1976 ci vinse il Grammy come “migliore performance strumentale country” dell’anno.
Ed è stato grazie a lui che hai conosciuto gli altri?
Sì, Chet era un punto d’incrocio di moltissimi musicisti. Tutti volevano venire a conoscerlo e io ero fortunato perché vivevo qui a Nashville, dove mi ero trasferito. Magari mi telefonava e mi diceva: “Dai, vieni in ufficio, c’è Lenny Breau.” Io e Lenny abbiamo trascorso molto tempo insieme, lui non guidava, quindi lo accompagnavo in giro.
La prima volta che è venuto a Nashville non sapeva dove stare, così è rimasto qui a casa mia finché non ha trovato un appartamento. Oppure lo accompagnavo ai ristoranti dove suonava. Era molto generoso, se avevo una curiosità, gliela sottoponevo e lui semplicemente me la spiegava… Il problema è che molte delle cose che ti spiegava erano impossibili da fare!
Ho visto delle tue foto con Tommy, sembra che vi divertiate un sacco insieme, perfino alle stazioni di servizio…
Ci dicono spesso che sembriamo proprio buoni amici! Una volta una signora si è avvicinata e ha detto: “Siete talmente in sintonia tra voi e con il pubblico, che dovrebbero darvi il Nobel per la pace.” Tommy ed io ci siamo guardati e abbiamo esclamato: “Wow!”
Penso che per Tommy questa caratteristica derivi dal suo forte desiderio di connettersi con l’audience; e per me dal fatto che sono cresciuto musicalmente in chiesa, dove essere tutti connessi è la cosa più importante.
Tutti e due abbiamo un grande amore per le persone per cui suoniamo, anche se lo viviamo in modi diversi. E abbiamo modi diversi di raggiungere il pubblico. Ma è quell’amore che ci spinge.
È bellissimo sentire che il pubblico è in completa sintonia con quello che stiamo facendo e Tommy è forse il più bravo che io abbia mai visto a far sì che questo accada. Questa è una delle ragioni principali per cui il pubblico lo ama, perché sentono che lui sta suonando per loro!
Il resto dell’intervista di Alberto Lombardi su Chitarra Acustica n.12/19.
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