HomeMusica e CulturaIntervisteMike Landau, la chitarra e il rispetto per la canzone

Mike Landau, la chitarra e il rispetto per la canzone

Al momento della chiacchierata telefonica Michael Landau è in tour in USA con James Taylor, solo uno dei grandi artisti che cercano di accaparrarsi la sua presenza. Un motivo ci sarà pure… e forse viene fuori anche nell'intervista, preparata con il contributo delle domande proposte dagli utenti di Musicoff. 

Al momento della chiacchierata telefonica Michael Landau è in tour in USA con James Taylor, solo uno dei grandi artisti che cercano di accaparrarsi la sua presenza. Un motivo ci sarà pure… e forse viene fuori anche nell’intervista, preparata con il contributo delle domande proposte dagli utenti di Musicoff. 

Quando parlano professionisti di questo livello c’è sempre qualcosa da imparare, magari anche analizzando la strumentazione che ci spiega nel dettaglio.

Mike Landau è reduce dal tour con la Steve Gadd band e da una serie di date in cui ha promosso il suo nuovo album solista, Rock Bottom in cui,con la complicità del fratello Teddy e di un paio di amici fedeli, si è lasciato andare finalmente a una serie di scorribande in territori che ondeggiano fra vintage rock e prelibate squisitezze degne di un raffinato musicista dalla lunga esperienza.

Parlando di strumentazione viene fuori l’entusiasmo di chi per la chitarra ha una passione vera ed è lui stesso a proporre di inviare una lista completa degli strumenti, ampli ed effetti usati per registrare, pubblicata in fondo a questo articolo.
Ma quel che colpisce di più è lo spirito autentico di chi lavora sempre per offrire il meglio a chi lo chiama per aggiungere il suo magico tocco a una canzone. Di qualsiasi genere.

Sembra che vi siate divertiti un bel po’ nel registrare questo album…

Oh sì, perché erano diversi anni che non suonavo questo tipo di cose e c’era anche la voglia di rifare qualcosa con vecchi amici come David Frazee, che era il cantante all’epoca della band Burning Water, negli anni novanta. C’è voluto molto tempo per fare il disco come volevamo, ma ci siamo divertiti…

Ho ancora un mio studio di registrazione in casa e uno Studer a nastro da due pollici che era appena stato sistemato a dovere, perché volevo tornare a lavorare su nastro. Avevo diverse cose e varie canzoni che volevo registrare, così ho chiamato mio fratello Teddy al basso e il batterista Alan Hertz per due-tre giorni di lavoro.

Abbiamo registrato diverse tracce e la maggior parte è finita su Rock Bottom. David è stato l’ultimo ad arrivare e ha completato o scritto da zero testi e melodie del canto.

Mike Landau

Nell’album hai usato anche la Stratocaster Olympic White con tastiera in acero e i pickup Lollar che avevi a Milano al Blue Note a marzo?

Sì, sto usando parecchio quella chitarra ed è molto presente anche sul disco. È una Custom Shop strat del 2010 su cui ho montato gli humbucker Lollar Imperial con potenziometri da 500k. Suona molto vicina a una Les Paul…

E quando hai invece una chitarra con dei semplici single-coil in che modo ottieni quel suono più grosso, pieno?

Beh, io non uso molti pedali ma in genere ne ho sempre uno attivo quando suono una strat con i single coil, un pedale distorsore Maxon SD9. È economico e lo puoi trovare dappertutto, ma lo uso da… decenni! Tenendo il volume della chitarra più basso, fra 6 e 8 circa, si riducono le frequenze acute e si guadagna un po’ di corpo.

Aggiungendo l’SD9, con l’ampli che di solito è regolato su un suono un po’ crunchy, a metà fra clean e distorto, si ottiene un bel suono “fat”. E uso molto le dita della destra sulle corde, così ottengo un timbro grosso e rotondo.

Mike Landau

© Photo by Austin Hargrave su gentile concessione di Mascot-Provogue

Nell’album passi da cose più sofisticate a momenti di rock senza mezze misure…

Beh, sai, io sono un grosso fan di tanti diversi generi musicali. Mi piacciono il rock, il jazz, la classica. In questo disco tutto è legato assieme dalla chitarra e dalla voce e… sì, certo, abbiamo fatto cose più jazzate come “Freedom” ma nell’album vengono fuori un po’ tutte

Ci sono questi suoni quasi eterei in “Speak Now, Make Your Peace” con un affetto flanging o altri piuttosto acidi come in “Bad Friend”…

(ridacchia)… sai, io sono cresciuto negli anni sessanta e la musica dell’epoca a volte torna a galla…

E pare che anche tuo fratello si sia lasciato andare in un paio di momenti, come quando usa un effetto fuzz sul basso nell’intro di “One Tear Away”…

Sì, usa il suo basso Harmony vintage con corde flat-wound, ma aveva anche qualche tipo di preamp per ottenere quel suono fuzzy suonando in diretta.

Mike Landau

Parlando del mestiere di session-man, che tipo di cambiamenti hai visto negli ultimi anni soprattutto nella tua zona che è quella di Los Angeles?

Beh, come si sa, il cambiamento è stato drastico. Il music business è totalmente diverso ora. La maggior parte degli album si fa in casa su computer e laptop. Molti dei produttori più giovani lavorano direttamente a casa.
Anche per quanto riguarda me, ora il 90 % per cento circa delle session per cui mi chiamano le realizzo da casa: mi mandano le tracce e registro da solo la mia chitarra.

Questo è il cambiamento principale, non trovi quasi più situazioni di live recording come ai vecchi tempi… ma a me piace comunque lavorare a casa, perché ho tutta la mia strumentazione preferita a portata di mano, chitarre, cabinet… e a casa è facile suonare, c’è anche meno pressione. Ma mi manca un po’ il contatto fisico con gli altri musicisti, tutti in una stanza.

Ho appena fatto un lavoro per un artista country, Tim McGraw, a Nashville e lì ancora fanno molte live recording session… tre chitarristi, un tastierista… yeah!
È stato divertente. Abbiamo registrato per tre giorni di fila.

Tempo fa qualche tuo collega commentava che a Los Angeles ti chiedono di presentarti con diversi tipi di strumento per poi scegliere in studio, mentre a New York la richiesta è più netta. È proprio così?

È che a New York è più difficile muoversi, sei sempre in taxi, e di base devi avere un setup molto compatto. La maggior parte dei session-man usano gli ampli che trovano nello studio. A Los Angeles ci possiamo permettere di portare più cose.

Da quello che dici, comunque, sei rimasto molto “analogico”…

Beh, possiedo un recorder e un mixer analogici, ma in realtà uso quasi sempre Pro Tools. Ho molto outboard a casa, compressori, riverberi, delay… per me lo studio è un misto di tecnologie. Non uso alcun modeler, so che sono arrivati a un’ottima qualità oggi, ma per me rimane molto più divertente microfonare un ampli.

Mike Landau

E hai sempre una spiccata preferenza per il suono Fender…

Di base, sì… anche se ho molte chitarre per registrare, delle Gibson e persino una Gretsch quando capita l’occasione.

Usi ancora un setup separato – dry e wet – sul palco?

Certo! Un ampli principale per il suono dry e un altro con una seconda pedaliera che invia riverbero e delay.

Una domanda “indiscreta”, se me la concedi: che succede quando ti chiamano per una session con della musica che proprio non ti piace? (Landau ride) Senza fare nomi, ti deve pure essere successo in tanti anni di attività… come te la cavi? Qual’è la tua strategia?

Ovviamente mi è capitato più volte di dover suonare su musica che non è esattamente di mio gusto, sia pop che heavy metal scadente… a me piace il vero heavy metal, ma a volte la gente si avventura in cose imbarazzanti…
Cerco semplicemente di ottenere il suono migliore possibile e di rispettare la canzone, suonando qualcosa che la arricchisce anche quando non vado matto per quel tipo di musica.

E, invece, fra i tanti artisti italiani per cui hai suonato, c’è qualche lavoro del quale sei particolarmente orgoglioso?

Sì, certo. Celso Valli è un produttore geniale e anche Michele Canova. Celso è un grande arrangiatore e il suo lavoro mi colpisce sempre molto. Tutto il lavoro che ho fatto con Eros, Vasco… sono grandi dischi e mi è piaciuto lavorarci. In genere sono belle canzoni, pop music di qualità…

Il tuo nuovo album è molto rock, ma tu hai questa abilità nell’adattarti anche ad artisti molto raffinati come Joni Mitchell o James Taylor. Qual è la chiave per entrare in mondi così diversi con la stessa efficacia?

Quando ho iniziato a suonare, da ragazzo, mi sono fissato molto presto sul jazz e sono diventato quasi uno snob per questa musica. Dai diciassette ai diciannove anni circa non vedevo altro e non mi piaceva il rock, ero molto dentro a cose come Weather Report, Jaco Pastorius, Pat Metheny… quelli sono stati tempi per imparare e di sicuro ero un fan di Joni, specialmente dell’album con Jaco, Mingus.

Dopo i vent’anni sono tornato indietro a Hendrix e ai grandi artisti blues degli anni ’50 e ’60. Quindi, capisci, cerco solo di raccogliere quel che posso e prima o poi le cose vengono fuori comunque in quello che faccio.

Ed è evidente che sei capace di armonizzarti anche con l’approccio… gentile, direi, che caratterizza James Taylor, che è un vero gentleman della musica…

Sì, sono d’accordo! In realtà è difficile suonare con lui, perché la musica è molto semplice ma devi rispettare quei semplici cambi di accordo, i voicing essenziali che usa ed è una lezione nell’uso della misura, della moderazione… nello stare al proprio posto e non suonare troppo. Questo può essere difficile a volte…

Quasi più attento a cosa “non suonare”…

Yeah! Esattamente. E a mantenere una certa finezza, usare il gusto in quello che suoni…

Dopo tutti questi anni e dopo aver maturato un tuo stile, c’è ancora un grande chitarrista che funziona per te come figura di riferimento? Un’influenza importante?

Beh, ce ne sono tanti, ovviamente… vorrei saper suonare come, non so… Paco De Lucia! Di base io sono un grande fan della chitarra e ci sono così tanti grandi musicisti… come il chitarrista jazz Peter Bernstein o, ovviamente, Robben Ford che per me è una grande influenza e ritengo sia uno dei più grandi in circolazione.

E quando vedremo un tuo nuovo live album?

Penso di farne prima un altro in studio e poi probabilmente un live con questa formazione con David Frazee. Il nome della band è Liquid Quartet ed è quella con cui siamo venuti in tour in Europa.

Rock Bottom Recording Gear

CHITARRE:

  • ’63 Fiesta Red Fender Stratocaster
  • Fender Custom Shop 2010 Stratocaster con 2 Lollar F-Spaced Imperial Humbucker
  • ’75 Fender Jazzmaster
  • Fender Custom Shop Telecaster con stock Tele pickup
  • ’68 Gibson 335 (con switch out-of-phase, “Squirrels” guitar solo)
  • ’56 GIbson Les Paul Special (rhythm guitar su “Poor Dear”)

AMPLIFICATORE:

  • Suhr Badger 35 Head
  • Suhr Bella Head
  • ’64 Princeton Reverb (con 2 vintage Marshall cabinet = 8 ohm load)
  • Pathfinder 18 watt P.A. head (by Newcomb, trasformata in guitar amp.
  • È questo l’ampli dell’assolo su “Poor Dear”).
  • Dumble Slide Winder (4 input, 50 watt Bassman-style head)

CABINET:

  • Vintage Marshall Straight 4×12″ con speaker Greenback vintage
  • Kerry Wright Closed-Back Straight 4×12″ con G12-65 vintage

EFFETTI:

  • Vintage Fuzz Face
  • Vintage TS-808
  • Vemuram Jan Ray
  • Vemuram Shanks Fuzz (solo on “Bad Friend”)
  • Strymon Timeline (post amp, da un send della console API)
  • Dunlop Echoplex  (post amp, da un send della console API)
  • Deluxe Memory Man 550-TT  (post amp, da un send della console API)
  • Lexicon PCM60 Reverb

MICROFONI:

  • Shure SM57
  • Royer R-122V
  • Neumann U87 (assolo di chitarra su ‘We All Feel The Same”)
  • Api Mic Pre

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