Il cuore sfrenato di un rocker e una testa razionale dal notevole senso pratico, un maniaco dello studio di registrazione che non può fare a meno del sudore di palco, nel 1999 Steve Vai ci racconta del suo approccio all’improvvisazione, di Hendrix, Stevie Ray, Zappa, della sua nuova etichetta e dell’Ultra Zone, mitico luogo in cui tutto può succedere.
A fine 1999 per lui sono cambiate molte cose. Dalle copertine dei maggiori magazine internazionali è passato alle pagine interne, ma alla soglia dei 40 anni l’approccio alla maturità è – come sempre per lui – tranquillo e lucido.
Lo incontriamo per la cover story di Chitarre n.165 negli uffici della Sony a Milano.
L’album The Ultra Zone è il manifesto di un musicista completo e multiforme, uno dei massimi virtuosi della chitarra moderna, compositore raffinato e dalla larga cultura, una vera e propria macchina da rock’n’roll capace di animare il palco con performance entusiasmanti.
Nel nuovo lavoro Vai si permette di passare dalle citazioni Zappiane al rock-blues di Hendrix o SRV, da composizioni complesse e sofisticate a canzoni essenziali e dirette.
Il titolo si riferisce a quello stato mentale di totale concentrazione sull’oggetto della propria attività, uno stato di meditazione attiva, quasi, in cui si perde la separazione per diventare un tutt’uno con il pubblico, con la musica stessa.
È questa l’utopia personale di Steve vai, trasposta in un album composto quasi per intero elaborando alcune delle migliaia di idee archiviate nel corso degli, anni sotto forma di appunti sonori o cartacei, e completato da alcuni pezzi concepiti esplicitamente per il live
All’epoca della nostra chiacchierata era appena nata la sua etichetta Favored Nations ed erano già in previsione produzioni di vari artisti, da Gambale al live di Lukather e Carlton a Bissonette.
Usciva anche Elusive Light & Sound, cofanetto di 10 cd che raccoglieva il Vai degli esordi con gli Alcatrazz, collaborazioni di ogni genere, musica registrata per il cinema, inediti vari, le migliori cose fatte con Zappa, un Cd interamente dedicato ai propri appunti musicali.
Un mondo intero…
Steve, qual’è dunque la tua formula personale per entrare in quella che chiami ‘Ultra Zone’, quando la mente si svuota ed è possibile finalmente arrivare alla musica, ad essere ‘musicali’? Serve continuare ad improvvisare ore e ore sullo stesso pezzo per dimenticare tutta la tecnica e le strutture imparate?
È tutto nella tua mente. Per me è importante conoscere la tecnica. Alcuni sono ispirati… sempre: io non sono così spesso in quello stato mentale. Per quanto mi riguarda, ritengo preziosi quei momenti in cui l’ispirazione arriva spontaneamente. Ma ho scoperto che, mantenendo la concentrazione su qualcosa per un tempo sufficientemente lungo, puoi entrare In quello stato.
È proprio come dicevi tu… a volte bisogna spogliare la tecnica della sua importanza per arrivare ad avere un contatto emozionale. La tecnica è come un linguaggio e se vuoi imparare un linguaggio devi concentrarti veramente su di esso. Devi lavorare molto duramente per un certo periodo di tempo e poi diventa più facile, sempre più facile, finché, alla fine, non devi neanche più pensare alla lingua che devi parlare, la sai e basta.
D’altronde se continui a lavorare solamente sulla tecnica, finirai per suonare così, ma per evitare questo bisogna trovare una propria disciplina … per arrivare a rompere con un certo abito mentale.
E poi diventa sempre più facile. lo non ho più bisogno di star lì due ore seduto a suonare qualcosa per arrivare a farla giusta.
E per quanto riguarda il tuo approccio generale alla produzione di un pezzo musicale, dall’inizio alla fine, quanto c’è degli anni passati accanto a un musicista come Zappa, in particolare?
Sono sempre stato intrigato dalla composizione, fin da molto prima di conoscere Frank o la sua musica. Quando ero ragazzo ho avuto un insegnante che mi stimolava a portare ogni giorno qualcosa di mio, anche poco, una composizione originale che lui potesse suonare nota per nota sul piano. Capisci che, dunque, non potevo limitarmi a portare degli accordi e una melodia, ma doveva essere un pezzo completo per pianoforte! È stata una grande formazione musicale e mi sono divertito molto.
Con Frank c’è una cosa che posso dire sicuramente di condividere, quando diceva che: “Una partitura musicale è come un’opera d’arte”. E io ho sempre pensato la stessa cosa: ho sempre amato l’immagine visiva di uno spartito.
Quando lavoravo alle trascrizioni, che erano la mia attività preferita all’epoca, erano così belle da guardare … Se fosse per me passerei tutto il mio tempo a leggere delle partiture! Mi basta stare lì seduto con della musica davanti per apprezzarla.
Già, ho sempre amato la musica rock, le band, i Led Zeppelin … ma allo stesso modo anche le composizioni teatrali, Bernstein … Ho sempre desiderato conoscere la musica e imparare tutto il possibile sulla scrittura musicale.
Quando ho imparato come si fa a comporre, a scrivere per un’orchestra, è stata una cosa fantastica … uno strumento espressivo insostituibile.
Nell’album c’è una tua sorprendente escursione in un territorio esplicitamente rock-blues, “Jibboom”, dove paghi un tributo inatteso a Stevie Ray Vaughan, con una citazione abbastanza chiara della sua “Scuttle Buttin”…
“Jibboom” è veloce, aggressivo, su un groove di tipo ‘jungle-blues’. Per quel pezzo ho immaginato di avere dei rasoi al posto delle dita! È tutto un altro tipo di sentimento.
È tutto nella mente … bisogna piantare nella mente il seme di ciò che vuoi ottenere, del sentimento che vuoi trasmettere, e alla fine tutto questo viene fuori.
Troppe volte finiamo per suonare delle scale solo perché conosciamo le scale, accordi perché conosciamo gli accordi… Stevie Ray è stato un grande chitarrista blues: mi è sempre piaciuto molto. Questo è il mio tributo personale alla sua musica, al suo modo appassionato di viverla …
C’è anche parecchio Hendrix in questo disco … in particolare “Here I Am”.
Beh, è ciò su cui sono cresciuto! Calcola che a diciassette anni mi sono fatto tatuare sul braccio “Axis: Bold As Love”, uno dei miei preferiti in assoluto tra i pezzi di Hendrix.
Sì, “Here I Am” è molto hendrixiana. ]imi aveva un modo molto personale, assolutamente tipico di lavorare sulla struttura degli accordi e di usarli per gli assolo.
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