Robben Ford sta terminando il suo soundcheck nella splendida cornice di una chiesa settecentesca, suggestiva location della sua master class torinese, ed io sono li, al fondo della navata ad ascoltare il suono proveniente da quel Twin Reverb, estasiato, quasi rapito dalle note che risuonano tra i banchi. Un breve cenno di compiacimento mentre posa la sua Telecaster; si rivolge al suo accompagnatore e inizia a guardare nella mia direzione. È in quel momento che prendo coscienza di quello che sto per fare e l’adrenalina sale. Chiedo all’assistente se mi affiancherà come traduttore al momento dell’intervista e in modo molto semplice quanto diretto mi risponde: “No, ci sarai solo tu con lui”. Un pugno in pieno viso forse sarebbe stato meno diretto, ma non c’è più tempo per tentennare, bisogna agire; seguo Robben nella sacrestia, luogo prescelto per l’intervista.Lo osservo per alcuni istanti. E’ un uomo alto, molto magro, dai capelli lunghi, stretto nel suo cappotto ha le spalle rivolte al sottoscritto. Si gira, mi sorride e con voce calma esclama… ”What’s your name?”. In un attimo svanisce la paura, basta uno sguardo per capire che di fronte ho davvero un pezzo di storia della musica, ma è lui ad accompagnarmi, è lui che prepara le due panchette per la nostra chiacchierata: Robben Ford è a mia disposizione, sembra un sogno, invece è lì, davanti ai miei occhi. Mi scuso con lui per la povertà del mio inglese, mi dice di non preoccuparmi, gli chiedo se posso registrare e mi fa cenno di si. Ci sediamo, uno di fronte all’altro e per un attimo lo guardo dritto negli occhi. Il tempo ha segnato il suo viso, contribuendo a rendere il suo aspetto affascinante, e i suoi occhi chiari catturano completamente il mio sguardo, donandomi una sensazione di calma e tranquillità. Hai suonato con musicisti dagli stili molto diversi come Miles Davis e George Harrison. Come è possibile suonare con successo stili musicali così differenti? Ero giovane quando ho cominciato a suonare, ad amare e ascoltare musica. La prima cosa che ho imparato è stato cantare le canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones e in seguito ho imparato in fretta a trasporre sulla chitarra questi pezzi, suonando blues e r’n’b, gettando le basi per il futuro. In seguito ho benedetto questo periodo quando ho avuto la possibilità di suonare con Miles. Ho suonato con George Harrison il giorno del mio 23° compleanno, cominciavo il tour americano con lui. La musica di George era fatta di accordi semplici, stessi accordi e stesse scale sul manico. Invece, suonare con con Miles Davis fu molto più complesso, ma erano passati dodici anni e avevo avuto il tempo di crescere come musicista. Per Robben Ford qual è l’aspetto più importante nell’improvvisazione? Devi conoscere gli strumenti base, devi conoscere gli accordi, l’armonia o la melodia. Sono parti della stessa cosa, accordi e armonia sono la stessa cosa, melodia e scale sono altrettanto la stessa cosa. Se hai un accordo e conosci le scale puoi fare davvero qualsiasi cosa in quella situazione. Queste sono davvero le basi, le fondamenta, e per questo è molto formativo sperimentare e copiare gli altri allo stesso tempo. Per un momento cerchi di copiare e subito dopo devi costringere te stesso a suonare le tue cose. Molti chitarristi, soprattutto i più giovani, sono sempre alla ricerca del “suono perfetto”. Cosa pensi di questa interminabile ed estenuante ricerca? È sorprendente quanto può essere difficile. Penso però che alcuni giovani, anche quelli che in qualche modo sono destinati ad avere una carriera come musicisti, si fermino di fronte a questi problemi e perdano tempo prezioso per suonare. Il primo amplificatore che ho avuto funzionava molto bene per me e quello successivo, un Fender, era ancora meglio. Eric Clapton aveva un suono incredibile appena ventenne e poi penso che da li in avanti abbia letteralmente litigato con il suo suono. Quando ero convinto di essere a posto, e non stavo cercando il giusto amplificatore per me, Larry Carlton mi fece conoscere i Boogie.
La mia ricerca è finita quando ho provato i Dumble, una folgorazione, ed ora uso solo quelli, nello specifico un Dumble Overdrive Special, più qualche Fender Twin, che utilizzo soprattutto quando sono lontano da casa. La mia chitarra principale al momento è una Fender Telecaster degli anni ‘60, ma ho utilizzato anche Gibson Les Paul e Fender Stratocaster. Ci sono molte cose che caratterizzano il suono: l’ampli, gli speaker, io ad esempio utilizzo i Celestion 65s. Uso ovviamente sempre un set di valvole matched per i miei ampli. L’aspetto fondamentale è capire che musica si vuole fare: se fai del rock ti servono determinate cose, se suoni blues ti dovrai orientare su altro. La cosa importante è avere le idee chiare. Parlaci del gear che utilizzi nei live. Come ti dicevo utilizzo il Dumble Overdrive Special e la mia Tele, che da quando la uso mi ha costretto un po’ a modificare il mio playing. Amo il suono clean, semplice e diretto. Negli ultimi tempi sto utilizzando una pedalboard con pochi pedali, quelli che ritengo possano affinare e completare il mio suono. Utilizzo un delay Line 6 DL-4, opportunamente modificato secondo le mie esigenze, il riverbero DR3 della G-Lab, lo Zen Drive, con gain molto basso, e un pedale volume Ernie Ball. A volte utilizzo dei wah, tra cui di solito amo i prodotti vintage degli anni 60-70 tipo qualche Vox o qualche Dunlop, rigorosamente alimentati a batteria! Ogni chitarrista ha il suo idolo. Hai visto suonare dal vivo Jimi Hendrix, Eric Clapton, BB King, Jimmy Page. Qual era il tuo idolo quando hai iniziato a suonare e qual è il chitarrista di oggi che apprezzi di più? Agli inizi Jimi Hendrix ha influenzato molto il mio modo di suonare ed anche se non avevo le capacità per suonare come lui, provavo a ricreare il suo sound. In seguito ci sono stati molti altri chitarristi che hanno segnato la mia carriera, BB King e Albert Collins sono solo alcuni di quelli che in qualche modo hanno lasciato un segno sul mio stile. Degli artisti attuali mi piace molto come suona Jeff Beck, ha un modo davvero grande di far suonare la sua chitarra. Thank you Mr.Ford!L’intervista è finita, mi sciolgo finalmente in un sorriso e rilasso i miei muscoli. Robben Ford mi offre dell’acqua, ringrazio e dico di no, a quel punto mi offre della cioccolata… ringrazio e dico di si! Ci alziamo dalle panche, lui si prepara mentre ritiro il registratore e la cartellina con le domande. Addento il pezzo di cioccolato, gli stringo la mano e lo ringrazio. Con un ultimo gesto estremamente gentile, che caratterizza tutto il suo modo di essere, mi dice che non ho avuto problemi con l’inglese. Sono felice, prendo posto tra i banchi della chiesa, ormai gremita, e aspetto che Robben cominci la sua clinic, due ore che scorrono tra racconti della sua vita, risposte sempre molto precise ed approfondite e soprattutto la sua grande musica, che è riuscita ad emozionare anche me, rockettaro incallito, con la sua dolcezza e il suo “cantare le note” come ama dire lui.
Sono le dieci, la master class è finita, Robben firma autografi, lo saluto stringendogli nuovamente la mano, prendo la mia chitarra ed esco dalla chiesa. Fa freddo, il cielo è limpido e l’aria mi sferza il viso, Torino è fantastica nei suoi colori in bianco e nero della notte. Metto le cuffie, accendo l’iPod e senti cosa arriva agli auricolari… Mr.Blackmore con “Kill the king”. E’ proprio vero, non guarirò mai… Andrea “andreaweb73” Corrado (si ringrazia per la collaborazione Antonello Ledda del Lapsus Torino)
Thank you Mr. Ford!
Robben Ford sta terminando il suo soundcheck nella splendida cornice di una chiesa settecentesca, suggestiva location della sua master class torinese, ed io sono li, al fondo della navata ad ascoltare il suono proveniente da quel Twin Reverb, estasiato, quasi rapito dalle note che risuonano tra i banchi. Un breve
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