Ancora sul rutilante palco di David Lee Roth, prima del carismatico Passion & Warfare, Steve Vai parlava già di una filosofia della chitarra diversa dal solito.
Usciva nel febbraio del 1989 su Chitarre n.35 l’intervista realizzata dallo scomparso Mauro Salvatori, appassionato cultore della chitarra moderna e attento frequentatore del movimento di virtuosi che in quel periodo spingeva sull’acceleratore per spostare sempre più in alto l’asticella del livello tecnico.
All’epoca di questa chiacchierata Vai era in tour con la band di David Lee Roth. Aveva già attirato intorno a sé i riflettori di tutta la stampa specializzata nelle esperienze con Frank Zappa, Alcatraz, P.I.L. e nel film Crossroads, ma con le sue funamboliche esibizioni accanto all’ex-cantante dei Van Halen si era trasformato in vero e proprio divo della chitarra elettrica, convincendo anche una grande azienda come Ibanez che era l’uomo giusto per cambiare immagine.
Considerato al top della tecnica, dotato di un controllo quasi inverosimile dello strumento, Steve era un rocker molto più preparato della media dei suoi colleghi. Aveva iniziato da ragazzo studiando al Berkley College of Music a Boston per poi completare la sua preparazione nelle lezioni private con Joe Satriani e nell’approfondimento di selezionate filosofie orientali.
Il suo primo album, autoprodotto, lo stupefacente Flex-Able, era uscito nel 1984…
Se non erro lo hai registrato nel tuo studio casalingo a otto piste…
Esattamente, ho curato ogni singolo dettaglio, ho personalmente fatto il tecnico e l’ingegnere del suono, ed è stato un bene perché ancora non avevo molta esperienza in fatto di registrazioni, ma questo mi ha permesso di imparare moltissimo a proposito delle tecniche di incisione.
Comunque ne ho approfittato per fare le cose con molta calma, concedendomi tutto il tempo di cui avevo bisogno per poter poi ottenere quel certo tipo di sound… È stato un buon periodo per me, perché non mi sono preoccupato di nulla eccetto che della musica e del risultato finale. E poi molto è anche dipeso dal tipo di genere musicale in cui ero coinvolto allora, principalmente Frank Zappa…
Tu sei considerato da molti come uno dei migliori trascrittori di assolo di chitarra. Questo ti ha aiutato nella formazione del tuo stile chitarristico?
Certamente, nel modo più assoluto, perché trascrivendo un assolo si allargano i tuoi orizzonti musicali e tutto ciò è un grosso aiuto… posso lavorare su un qualsiasi spartito e soltanto a guardarlo già posso sapere come suonerà. E quando sei capace di buttar giù la musica – intendo scriverla realmente – ti ritrovi nella libertà espressiva più assoluta ed è così che compongono tutti i più grandi compositori nel mondo.
Non devi stare per forza lì con lo strumento, in quel momento tu ‘vedi’ le note nella tua testa… sai, io posso scrivere una canzone mentre me ne sto in aeroplano. Gran parte del materiale di Flex-Able è nato davvero in aereo, senza chitarra, e questo è certamente un grande dono, e al tempo stesso è un grande onore essere in grado di farlo… e non è poi neanche tanto lontano da raggiungere: si tratta solo di lavorarci un po’ su!
Leggevo recentemente che ti hanno rubato diverse chitarre a cui eri particolarmente affezionato… cosa ha significato per te?
Non significa nulla, cioè voglio dire che significa e non significa: ovviamente le chitarre erano qualcosa di molto speciale per me, ma non puoi farti coinvolgere più di tanto. In casi come questi, io la vedo così: al di là di qualsiasi amore, la chitarra in realtà è solo uno strumento, ma è invece ben più importante quello che ti viene da ogni strumento in generale, e con questo non vorrei sembrare troppo freddo o critico…
E così ti sei ritrovato a lavorare a questo famoso modello lbanez JEM…
Esattamente, ecco perché ti dicevo prima che il furto di quegli strumenti da un certo punto di vista può essere stato anche una buona cosa.
Parliamo un po’ di questa chitarra, che adesso sembra essere la tua favorita…
È successo che avevo appunto bisogno di una nuova chitarra e intendo una buona chitarra, specie per lo stile che recentemente avevo sviluppato suonando con le altre e così ho disegnato un modello molto particolare, 24 tasti, scala tipo Strat, con una distanza ben precisa tra tasto e tasto per via della larghezza della mia mano sinistra, con un preciso tipo di leva-vibrato e configurazione dei pickup.
Mi piaceva l’idea di poter trasportare la chitarra potendola afferrare all’interno della cassa e così ho contattato diverse aziende, ma nessuna era in grado di costruire esattamente il modello che avevo disegnato. Ci sono voluti mesi e mesi per ognuna e ogni modello che mi proponevano era un disastro, così non mi fidavo più di nessun marchio che mi volesse proporre un endorsement, perché in quel tipo di contratto tu firmi lo strumento con il tuo nome e io volevo che usassero il mio nome solo per uno strumento davvero buono.
Poi lbanez ha chiamato, dicendo che volevano provare a costruire questa chitarra per me, e ho risposto: Bene, questo è ciò che voglio, lo strumento deve essere perfetto e ogni singola chitarra che voi fate uscire sul mercato deve essere perfettamente identica alle altre! Loro in solo due settimane mi hanno fatto una chitarra che era veramente ok, bastavano solo un paio di piccole modifiche.
E siccome allo stesso tempo volevano cambiare l’immagine dell’azienda perché per troppo tempo erano stati associati a chitarre economiche e io non volevo essere coinvolto in strumenti a basso costo, abbiamo optato anche per questo tipo di pickup – ecco il perché del costo della chitarra – nonché per i disegni a fiori della cassa, che tra l’altro vengono dal tappeto di casa mia…
Cosa pensi del metodo d’insegnamento tramite video, oggi sempre più diffuso?
Beh, sono sicuro che può essere d’aiuto per molta gente, ma solo a patto che non si diventi troppo coinvolti in ciò che si sta vedendo e si corra poi il rischio di perdere la propria identità… l’importante è avere il giusto approccio a come guardare e cosa ricavarne poi in termini di studio, senza influenzare troppo la propria personalità.
Vedi, io penso che il tuo modo di suonare sia esattamente il riflesso di ciò che sei, come persona, attraverso lo strumento. Se tu suoni come qualcun altro, in quel momento stai dicendo qualcosa, e cioè che non conosci esattamente te stesso e ciò che sei, e così sprechi energie senza raggiungere realmente nessun tipo di espressione attraverso il tuo strumento.
Prossimamente dovrebbe uscire su Guitar Player una serie di articoli che sto scrivendo proprio a proposito di questo, cioè l’approccio alla chitarra attraverso una precisa individualità. Non avrà nulla a che vedere con le solite cose tipo hammering, etc ma sarà più rivolto all’identità, alla personalità! (Gli articoli sono poi usciti su Guitar Player a partire dal Febbraio 1989 con il titolo Martian Love Secrets e si possono leggere sul sito web di Steve Vai).
So che studi Zen. Qesto tipo di disciplina influenza in qualche modo la tua musica, ti permette un certo tipo di ispirazione?
Certamente, nel modo più assoluto, perché mi dà il coraggio di superare, di trovare nuove energie. C’è stato un periodo della mia vita molto strano, molto confuso, in cui io non riuscivo a capire cosa stava succedendo intorno a me, a comprendere gli avvenimenti. Però questo non significa che mi consideri speciale, anzi, succede a tutti: a volte ci vuole una tragedia, a volte una serie di piccolissime cose, ma poi così impari ad accettare le cose così come sono naturali, così come vengono…
Io oggi sono un chitarrista famoso, ma non l’ho mai realmente desiderato o perlomeno non mi sono mai detto: Adesso voglio essere famoso, devo essere famoso. Semplicemente, se una cosa succede, vuol dire che doveva succedere, e io ho accettato tutto questo… se si è capaci di accettare le cose in questo modo, anche un dispiacere può essere positivo.
Certo, sono felice di aver avuto successo, è un grande onore che la gente sia interessata e ascolti ciò che sto facendo e non sarò mai abbastanza grato di ciò.
Quindi, ritornando allo Zen, è stato importantissimo per me, è un tipo di meditazione e disciplina che mi ha aiutato a vedere chiaro. Ancora oggi frequento un monastero Zen, in California, e quindi questo tipo di studio è stata la migliore cosa che io potessi fare per la musica perché, come ti dicevo prima, ciò che suoni è ciò che sei, esattamente l’espressione di ciò che sei!
Per leggere l’intervista originale, acquista Chitarre n.35/1989 in versione digitale scrivendo a [email protected].
Aggiungi Commento