“In radio una canzona italiana su tre“: un’idea che sta facendo discutere da diversi giorni lungo tutto lo Stivale tanto la politica quanto l’opinione pubblica.
La proposta di legge arriva dall’On. Alessandro Morelli, presidente della Commissione Trasporti della Camera. Si tratta di un provvedimento che punterebbe a fissare un vincolo alla programmazione radiofonica per tutte le emittenti: il 33% delle canzoni trasmesse dovrà essere italiana e di questo 33%, precisa il parlamentare, il 10% dovrà essere dedicato ai giovani autori e alle piccole case discografiche.
Come si poteva immaginare, tale proposta ha spaccato in due il paese. Da una parte c’è chi sostiene che tale proposta sia doverosa e che sia necessario dare più spazio alla musica italiana (c’è persino chi afferma che sia troppo poco e che ben sette canzoni su dieci trasmesse in radio debbano essere italiane).
Dall’altro lato c’è chi pensa che tale provvedimento possa costituire un limite alla libera scelta degli editori radiofonici o chi addirittura definisce senza mezzi termini la proposta come “roba da ventennio”.
Ad ogni modo, il nostro scopo non è quello di prendere una posizione politica sull’argomento ma di cercare di fare chiarezza sul tema stimolando spunti di riflessione.
Iniziamo col dire che la proposta non può definirsi del tutto nuova: già nel 2013 Giordano Sangiorgi, presidente del MEI (Meeting delle Etichette Indipendenti), aveva proposto una legge simile a quella disegnata da Morelli, raccogliendo l’adesione di circa mille artisti italiani e del Coordinamento Amici della Musica.
Questi ultimi lanciarono una petizione chiedendo l’introduzione di un vincolo, nei grandi network delle emittenti televisive e radiofoniche, di una quota del 40% (con una ulteriore quota destinata alla promozione dei giovani talenti pari al 20%) che fosse interamente dedicata alla musica italiana.
Successivamente, in occasione della prima edizione della Milano Music Week, l’allora Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini riprese il tema affermando (in modo profetico) che “c’è una cosa che la nuova legge consente, una delle norme più nascoste, è immaginare come possiamo prevedere quote di obbligatorietà di trasmissione della musica italiana”.
Ritornando all’attuale proposta di legge, il punto centrale è: cosa si intende per “musica italiana”?
Con questa affermazione può intendersi un brano musicale avente un testo scritto in lingua italiana (che quindi può essere interpretato anche da un artista straniero), oppure può significare un brano scritto da autori italiani (e in questo caso diventa necessario calcolare la quota degli autori italiani sul totale).
Ci si può anche riferire alla musica interpretata da artisti italiani (e bisognerebbe capire se il concetto si riferisce ai soli artisti primari o anche ai secondari), così come può riguardare la musica di produzione italiana (e in questo senso anche società discografica con sede in Italia, figlia di una major americana, potrà essere identificata come una società discografica italiana).
Tutti concetti assai diversi tra loro che possono portare a conseguenze disparate. A ben vedere, l’art. 2 della proposta di legge vuole riservare espressamente almeno un terzo della programmazione radiofonica giornaliera “alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia“.
Se così fosse, quindi, questo 33% sarà appannaggio esclusivo di quelle opere musicali scritte, composte e interpretate da autori e artisti italiani nonché prodotte in Italia, cosa che implicherebbe non pochi problemi in fase di attuazione. Basti pensare, ad esempio, a tutta la musica che viene trasmessa in background durante un programma radiofonico: bisogna tenere in considerazione anche questa o tale provvedimento si riferisce soltanto alle canzoni o musiche che vengono “lanciate” direttamente per l’ascolto?
Tuttavia, solitamente, un progetto legge viene diverse volte emendato e corretto in fase di esame e approvazione, pertanto è troppo presto trarre oggi delle conclusioni definitive.
In Francia, come già è stato scritto, esiste dal 1994 una normativa (Legge Toubon) che impone alle emittenti radiofoniche di trasmettere musica francofona in una percentuale non inferiore al 40%. In questo caso la legge parla chiaro facendo riferimento, appunto, alla musica scritta in lingua francese.
Altro concetto è la promozione della musica emergente. Che ci sia bisogno di dare spazio ai giovani artisti è opinione largamente condivisa. Dal 2015 All Music Italia porta avanti una lodevole petizione atta a prevedere una quota minima nella programmazione radiofonica interamente destinata alla promozione della musica emergente italiana.
Gli stessi, a distanza di qualche anno, affermano tuttavia che tale provvedimento, oggi, potrebbe risultare anacronistico considerando che “nella Top 100 dei brani più trasmessi in radio nel 2018 la musica italiana perde soltanto 49 a 51 sulla musica internazionale” e che, anche se questo dato può essere fortemente influenzato da quelle emittenti che trasmettono prevalentemente musica italiana, oggi la fruizione di contenuti audio avviene per la maggior parte attraverso le piattaforme streaming: pertanto, sarebbe più opportuno valorizzare gli artisti emergenti, oltre che in radio, “anche nei locali di musica dal vivo (sempre meno e raramente disposti a pagare i musicisti, cover band a parte) e in televisione”.
Che sia giusto o sbagliato fissare un vincolo alla programmazione musicale delle emittenti radiofoniche per favorire la musica italiana (concetto da definirsi, vedi sopra) è cosa difficile da stabilire. Probabilmente, soluzioni meno rigide ma ugualmente efficaci potrebbero essere quelle di favorire la promozione della musica italiana stabilendo ad esempio delle agevolazioni che incentivino (e non obblighino) le emittenti radiofoniche a diffondere “musica italiana”.
E voi, cosa ne pensate?
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