Tutti ne parlano da decenni e decenni, per un motivo o per un altro.
Ci riferiamo al Piper Club: un “locale” che è sulla bocca di tutti fin dal lontano (e splendido) 1965. L’ultima novità in ordine di tempo è che il locale storico di Roma a quanto sembra viene messo all’asta, per un milione e settecentomila cucuzze, anche se, ci assicurano, non chiuderà immediatamente: esiste comunque (e verrà rispettato) un programma intenso per tutto l’anno.
Chi scrive ricorda bene quello che succedeva dentro quel posto (e anche fuori): là sotto circolava gente mai vista, che si vestiva in modi assolutamente improbabili ma certo estremamente colorati, e che suonava cose mai sentite prima, qui in Italia. E soprattutto, era un posto pieno zeppo di ragazzi, di “giovani”, come si diceva allora; ecco perché c’ero anch’io (portato di straforo da mio fratello più grande).
Bisogna tenere presente che fino alla metà dei favolosi anni ’60 la musica di regime era ancora di proprietà soprattutto delle persone ‘grandi’, vale a dire sopra i trent’anni; ma da un po’ di tempo le cose stavano cambiando (“…the times they are a-changin'”, diceva qualcuno), anche e soprattutto nella musica. In quel locale si suonava a volumi indiavolati, innanzitutto, roba da doversi tappare le orecchie. Musiche strane, suoni diversi.
E i musicisti che si muovevano sul palco, elettrici come le chitarre che avevano a tracolla, avevano nomi strani, differenti dai soliti, come Mike Liddell e gli Atomi.
I più gettonati erano sicuramente i Rokes, inglesissimi (e quindi per noi fichissimi), con un leader alto alto con i capelli lunghi come quelli di una ragazza: Shel Shapiro. Anzi, “Shapiro-i”, per dirla come lui, che allungava con una “i” tutte le finali di parola italiane (e credo che lo faccia ancora, per fare scena). Era l’epoca della british invasion, e tutto quello che era mod ci piaceva da impazzire, come i Primitives, grandiosi, portati al Piper da Gianni Boncompagni e Alberigo Crocetta (fondatore del Piper insieme a Giancarlo Bornigia e Alessandro Diotallevi) dopo che lo videro suonare a Londra.
I Primitives, ahinoi, facevano impazzire le fidanzate perché il cantante, Mal, con la sua mascellona quadrata piaceva da morire a tutte le ragazze. A proposito: non tutti sanno che il batterista dei Primitives, Pick Withers, poi suonerà nientemeno che con i Dire Straits.
Dentro il Piper anche le ragazze del pubblico erano bellissime, roba tipo Nicoletta Strambelli (Patty Pravo), Mita Medici, Valeria Ciangottini, Sandy Shaw, Romina Power, Loredana Bertè, Anita Pallemberg e mille altre, tutte con le minigonne fino all’inguine; cose che noi ragazzini pieni di brufoli non avevamo mai visto prima di allora.
E fra i ragazzi che ballavano lo shake c’erano anche personaggi come Renato Zero o Giancarlo Magalli… insomma, non ci facevamo mancare niente, nemmeno Ricky Shayne (che nessuno ormai ricorda più, ma che all’epoca era veramente un personaggio).
A proposito di ‘personaggi’: tanto per la cronaca, dobbiamo ricordare che là dentro era facilissimo incontrare anche tipetti come Massimo Carminati… se capite quello che voglio dire…
Erano i tempi del Cantagiro, un’invenzione straordinaria per l’epoca, e anche di Bandiera Gialla, un programma chiaramente ispirato proprio al Piper Club e alla sua gente. Oltre ai Rokes, scendendo le scale del Piper era discretamente probabile che si sentisse in lontananza suonare un gruppo italiano fondamentale per quegli anni: l’Equipe 84 di Maurizio Vandelli, legata a doppia mandata a una collaborazione intensa con Lucio Battisti, come d’altra parte i Dik-Dik. E poi i Giganti, i New Dada, i Ribelli (con Demetrio Stratos alla voce).
E, attenzione: il Piper era a due passi dallo splendido quartiere Coppedè, e quindi molto frequentato anche dalla ‘Roma bene’: il che portava ovviamente dei vantaggi notevoli in termini di passaparola e quindi di pubblico, ma favoriva anche grandi aperture culturali, di ‘intellighenzia’, eccetera eccetera: fra i giovani frequentatori era infatti possibile inciampare in Albertazzi, Sciascia, Bevilacqua, Gassman, Zeffirelli, Nureyev.
La scenografia del Piper si pregiava di pezzi d’avanguardia artistica, cose di Andy Warhol o Mario Schifano, tanto per fare un paio d’esempi. Insomma un mix affascinante, a tratti psichedelico, che ha poi accolto e intrigato musicisti di respiro internazionale, come i Genesis, i Sopwith Camel, Lionel Hampton, Duke Ellington…
Insomma. Che dire. Ci mancherà, il Piper.
Abbiamo sentito addirittura che c’è qualcuno in giro (Er Piotta?) che sta spingendo per mettere in piedi una sorta di crowdfunding per salvare la memoria storica di via Tagliamento 9.
Per una volta, dovremmo davvero essere d’accordo con lui.
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