Capitolo 11, no non è un libro e nemmeno un film, ma a quanto pare è sulla bocca di tutti per via delle faccende che riguardano Gibson in merito al suo stato finanziario in non buona salute già da qualche anno.
Si sta urlando al fallimento e al “fuori tutto”, tra chi crede che domani non ci saranno più Gibson esposte e chi invece che le proprie Custom Shop (o anche una semplice Standard) varranno come dei Picasso…
Asciughiamoci le lacrime, prendiamo un bel respiro, apriamo la mente e capiamo cosa sta succedendo in realtà.
A fronte dei debiti che si sono accumulati in Gibson, cifre che si aggirano dai 150 a una previsione di 500 milioni di dollari da parte degli esperti del settore, l’azienda ha dovuto per forza di cose fare domanda alla corte fallimentare degli Stati Uniti, attivando così quello che viene chiamato “Chapter 11”.
Che non è il fallimento inteso come liquidazione e chiusura, ma proprio il tentativo in direzione opposta!
Cito da fonte enciclopedica, evidenziando le parole su cui dovete concentrarvi:
“Il Chapter 11 è una norma della legge fallimentare statunitense. Consente alle imprese che lo utilizzano una ristrutturazione a seguito di un grave dissesto finanziario. […] È grossomodo equivalente all’amministrazione controllata un tempo prevista nella legislazione italiana e reintrodotta dal Decreto Sviluppo (Decreto Legge 22.06.2012 n° 83).
Il Chapter 7, per contrasto, riguarda il fallimento vero e proprio che sfocia nella liquidazione totale dei beni dell’impresa.”
Il Capitolo 7 non è stato attivato per quanto riguarda Gibson.
Quindi, a differenza del fallimento effettivo che ha colpito nell’anno corrente, ad esempio, Carvin Audio, non si sta parlando di una liquidazione totale, bensì di un riassestamento della struttura aziendale di Gibson per permettere all’azienda di ristrutturarsi, risanarsi e ripartire dopo questo tracollo. Durante il Chapter 11 il debitore mantiene il possesso dei propri beni, verso i quali i creditori non possono muovere pretese materiali. Il fine è accontentare i creditori ma mantenere viva l’impresa attualmente in crisi. Per questo, il piano di risanamento deve essere approvato dai creditori stessi e approvato da un tribunale che ne accerta la fattibilità in modo che i creditori ricevano più che in caso di fallimento definitivo.
Attualmente si stanno varando una serie di opzioni, da un cambio di rotta dell’amministrazione (tra le quote rilevate ci saranno probabilmente anche quelle del CEO Henry Juszkiewicz, la cui rimozione dall’incarico pare sia stata chiesta dagli stessi creditori) fino allo scorporamento delle varie aziende sotto il marchio Gibson.
Sono in arrivo 135 milioni per permettere all’azienda di risanare una maggior parte dei debiti (circa il 69%) e di concentrarsi sul core principale, il settore strumenti, e probabilmente verranno prese misure più drastiche per tutta una serie di divisioni incorporate da Gibson negli anni e mai sfruttate in positivo, ben presto quindi diventate un peso, pensiamo soprattutto ai vari marchi di audio/elettronica (prima di tutto Philips Audio, ma Gibson ha sotto di sé anche Teac, Pioneer e Onkyo).
Cari musicisti, evitiamo quindi di promuovere post fuorvianti come “Gibson chiude i battenti” o “Gibson è fallita definitivamente“, non dobbiamo fasciarci la testa prima di essercela rotta, c’è ancora speranza e sarà comunque difficile il crollo totale di un marchio così importante nella storia USA e di tutti i musicisti sul pianeta da più di un secolo.
Soprattutto, cerchiamo di non pensare sempre e solo al marchio o a questioni di giudizio personale con annesse frasi orribili e senza senso come “se lo merita“, perché in gioco non c’è il nostro egocentrico amore/odio verso un nome, ma migliaia di posti di lavoro e di relative famiglie.
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