Dichiarazione forte quella di Enrico Mazza, CEO di FIMI, rilasciata a TorrentFreak: “il problema principale non è la pirateria […] L’Italia è un Paese dove la ‘cultura del libero’ è radicata“.
Il tema? Ancora una volta è quello degli abbonamenti a pagamento alle piattaforme musicali, in particolare si parla di Spotify, che peraltro pur essendo ancora un leader sta assistendo al recupero di un agguerrito concorrente.
Ora, parliamoci chiaro, non che a noi freghi niente se possedete un account gratis o premium (o se avete qualcosa a che fare con account illegali), perché ognuno combatte con le sue tasche e con la sua morale.
Il punto interessante della questione è la definizione data al nostro Paese da quella che è una delle massime autorità in questo campo, a capo della Federazione Industria Musicale Italiana. In parole povere il sunto è che noi italiani, se una cosa ce la possiamo prendere gratis, di sicuro siamo i meno portati a pagare per gli extra.
Per tale motivo, gli abbonamenti non farebbero scintille come da altre parti.
In effetti, se Spotify ha dato accesso a qualche vantaggio di non poco conto con i suoi profili a pagamento, quanti di voi hanno risposto affermativamente al messaggio che già da un bel po’ YouTube vi propone con ciclici pop-up per passare ai suoi servizi di più alta fascia? Diciamolo, YouTube è da anni percepito come gratuito, “fa strano” averne ora versioni a pagamento.
Comunque, la FIMI è così che la pensa e per questo ha esortato Spotify a fare passi ulteriori, soprattutto in termini di campagne promozionali.
Poi, c’è da chiedersi se tutta questa “tragedia greca” ci sia davvero, visto che il tasso di conversione degli account è comunque alta, siamo intorno al 50%, se non di più. In un mercato globale che cresce del 9% circa (in Italia comunque restiamo negli ultimi anni su cifre simili, intorno ai 228 milioni di fatturato). Con un mercato digitale che traina tutto, nel nostro Paese si parla di più del 40% (se siete interessati ai comunicati e cifre più precise leggete i report sul sito FIMI).
Ma, ecco, la domanda interessante esula dalle percentuali, secondo voi c’è qualcosa di endemico nella cultura del nostro Paese? Siamo effettivamente quelli del canone non pagato?
Se le versioni base di certe piattaforme non fossero gratis, ma a pagamento anche quasi simbolico, saremmo stati portati di più – non essendoci più la parola “gratis” nel calcolo – a spendere per un servizio migliore?
A voi la parola.
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