Due bacchette per il successo di Diego Stacchiotti, Revolutions in Modern Drumming di John B. Arnold, La pelle che vibra di Giorgio Borghini e Il libro del Tabla di Riccardo Gerbino.
Internet e i social media hanno decretato la fine del mercato degli audiovisivi, soprattutto DVD e CD, mentre per i cari, vecchi libri di musica – che siano manuali, metodi, biografie o raccolte di consigli sulla professione – non sembra esistere la crisi. In particolare, continua a mostrare segni di vitalità il settore legato alla batteria e alle percussioni, cui si riferiscono i titoli che vi presentiamo in questo articolo.
A metà strada tra il testo motivazionale e il manuale didattico, Due bacchette per il successo è un libro dai contenuti decisamente insoliti per il panorama editoriale musicale italiano. Ne è autore il batterista e didatta veneto Diego Stacchiotti, che ha da poco raccolto in un libro, pubblicato per i tipi di Arcana, Tutto quello che serve per raggiungere felicità, successo e gratificazione personale. Stacchiotti non è un imbonitore, è una persona serena e matura che si è fatta da sé, legittimamente soddisfatta dei risultati ottenuti nel suo ambito professionale.
Alla luce di una brillante carriera ultra trentennale, l’autore rende pubbliche le domande che lui stesso si è fatto e continua a porsi quotidianamente, domande come “Qual è il segreto del successo?”, “Come posso migliorare la mia situazione artistica ed economica”?
E per rispondere fa ricorso a consigli, avvertenze, racconto di esperienze vissute in prima persona, il tutto messo a disposizione di qualsiasi musicista abbia intenzione di imprimere una decisa svolta alla propria carriera.
Certo, bisogna intendersi su cosa significhi avere successo. Per Stacchiotti vuol dire, tra l’altro, “essere appagati dalle scelte di vita, sentirsi realizzati, essere felicemente stanchi dopo un’intensa giornata di lavoro, cercare di dare il massimo in ogni situazione, far uscire il meglio da colleghi e allievi… In un’unica parola: felicità“.
A questa ricerca della felicità possono frapporsi alcuni ostacoli che vanno riconosciuti ed eliminati.
Come? La ricetta dell’autore è semplice: bisogna lavorare su quattro aree: Formazione, Pratica, Atteggiamento, Strategia, ponendosi in ciascuna di essi degli obiettivi da raggiungere.
L’area della formazione è il settore in cui si acquisiscono e si trasferiscono nozioni; quella della pratica riguarda ciò che può succedere quando si sta sul palco o si sta studiando o insegnando; l’atteggiamento “esprime ciò che sei disposto a fare sia in termini verbali che comportamentali, mentre la strategia deve rivelarsi la più adatta in base al momento, alle necessità e ovviamente agli scopi che ci si è prefissi.
I consigli e i suggerimenti dati al lettore da Diego Stacchiotti vengono da esperienze dirette, anni e anni di gavetta, tanta fatica, ma anche tanta soddisfazione per essere riuscito a fare della propria passione una professione.
E vengono trasmessi con il tono più colloquiale possibile, usando il linguaggio semplice e diretto, quello che userebbe un amico mentre sorseggia con voi una bevanda al bar.
Tanta esperienza e tante domande, quelle fatte ai grandi musicisti con i quali ha avuto modo di confrontarsi in quasi 40 anni di carriera, anche nel libro dell’americano John B. Arnold, musicista dalla curiosità tuttora insaziabile, che ha sempre privilegiato nel suo rapporto con lo strumento e con l’arte dei suoni la ricerca di una propria cifra stilistica.
In Revolutions in Modern Drumming, edito dalla sua Cosmopolitan Publishing, l’autore propone una serie di esercizi e studi basati sui concetti di Layering e di Turbines.
Con il primo termine Arnold indica una tessitura di suoni creata dalla sovrapposizione di più voci sullo strumento, sovrapposizione che può esssere doppia, tripla o quadrupla, a seconda di quali elementi tra cassa, rullante, piatto e hi hat si ‘incontrano’ e suonano insieme.
Quanto alle Turbines, si tratta invece delle cellule ritmiche che compongono le figure di due, tre e quattro note sovrapposte.
La gran messe di esercizi viene di quando in quando interrotta, oltre che da alcune belle foto in bianco e nero, da consigli e considerazioni dell’autore su aspetti specifici o tecnici, quali l’importanza di suonare piano la cassa (Feathering), il valore del Balance, il legame che unisce tra loro i beat e le cadenze di New Orleans e quelli della cultura Hip Hop, le suddivisioni…
Un lavoro tanto interessante quanto impegnativo, che sarà di sicuro giovamento per quanti – interessati al jazz soprattutto, ma non solo – aspirano a migliorare il loro modo di suonare in termini di coordinazione, suono, indipendenza e creatività.
Pubblicato qualche mese or sono dalla Voglino Editrice di Torino (collana Musica Pratica, edizione Didattica Attiva), La pelle che vibra di Giorgio Borghini raccoglie l’enorme esperienza acquisita sul campo dall’autore, percussionista, facilitatore di drum circles e musicoterapeuta, che da più di 15 anni promuove seminari e incontri che hanno dato il titolo e il materiale di cui è formato il libro in questione.
Il sottotitolo, Il laboratorio di perussioni in Musicoterapia, Animazione e Didattica, aiuta a capire meglio quale sia il contenuto di un testo rivolto soprattutto ai musicoterapeuti in via di formazione, partendo dall’assunto che “il ritmo rappresenta uno dei codici fondamentali, prioritario nel linguaggio non verbale“.
Dopo aver presentato e analizzato a fondo questo elemento nel primo capitolo del libro, l’autore si sofferma su diverse tipologie di laboratori: quello di Djembé (Capitolo II; per la cronaca, Borghini è un ottimo conoscitore della storia e delle tecniche sia delle percussioni africane sia di quelle afrocubane), quello di percussioni ‘non convenzionali’ (Cap. III), il ‘Laboratorio di Improvvisazione (Cap. IV), per finire con un capitolo dedicato al Drum Circle, ricco di spunti interessanti e di sicuro aiuto per chi fosse interessato ad avvicinarsi o ad approfondire l’argomento.
Come sottolinea l’autore nella sua Conclusione, esiste “un filo che unisce i quattro laboratori. La natura e il senso delle attività di gruppo qui presentate rappresentano simbolicamente lo sforzo di trasformare il ‘caos’ in ‘ordine’. (…). Siamo partiti dal considerare l’utilizzo di percussioni ad altezza indeterminata – oggetti ‘rumorosi’ – per organizzare i suoni e i silenzi, fino a ottenere una produzione d’insieme comprensibile, riconoscibile nella forma musicale e, possibilmente, anche gradevole“.
Una tensione verso ‘il bello’ che non è solo culturale, ma che è radicata nella natura stessa dell’essere umano.
Il percussionista catanese Riccardo Gerbino, classe 1965, diplomato al conservatorio di Vicenza in Tradizioni Musicali Extraeuropee, indirizzo Indologico, è uno specialista del tablā indiano, il cui studio ha approfondito sotto la guida del maestro Pandit Sankha Chatterjee.
Proprio al più popolare strumento a percussione della tradizione indiana Gerbino ha dedicato Il libro del Tablā, pubblicato dalla Quarantanove Edizioni, in cui si prendono in esame, come specificato dal sottotitolo, storia, materiali, linguaggio, composizioni e tecnica di questo straordinario strumento.
Preceduto dalla bellissima e introduzione di Roberto Perinu, professore di Teoria della Musica Indiana e di Sanscrito al conservatorio di Vicenza, l’agile libro di Gerbino prende le mosse dal racconto del rocambolesco incontro dell’autore con lo strumento, avvenuto peraltro in età in età decisamente matura.
Un incontro destinato a cambiare il corso della carriera dell’autore e a fargli intraprendere, come spiega nelle sue Riflessioni finali, “un percorso di vita fatto di disciplina e di infinite occasioni per accrescere conoscenza e capacità”. Il ‘racconto’ dell’autore prende le mosse dalla presentazione e dalla spiegazione di alcuni aspetti della musica classica dell’India del Nord, la cui conoscenza è ineludibile per poter contestualizzare al meglio lo studio dello strumento, le cui origini storiche – tra miti e leggende – formano oggetto del capitolo successivo.
Dopo l’interessante rassegna dei numerosi gharānā di Tablā, ossia dei luoghi deputati al mantenimento delle regole stilistiche esecutive di ciascuna ‘scuola’, nel capitolo successivo si affronta il rapporto tra lo strumento e la musica occidentale.
Per un’esaustiva rappresentazione organologica dello strumento Gerbino si affida alla indiscussa competenza del M° Guido Facchin (autore del monumentale Le percussioni, Zecchini 2014), per poi passare in rassegna, nei due successivi capitoli, il complesso sistema ritmico dell’India del Nord (tāla) e il linguaggio dei bol, le sillabe mnemotecniche con cui si recita il contenuto delle composizioni per lo strumento.
Chiudono l’opera tre interviste dell’autore ad altrettanti protagonisti della scena ‘tablistica’ internazionale, Amit Chatterjee, Subhajyoti Guha e il nostro Federico Sanesi.
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