Da anni si sente parlare della cosiddetta “loudness war” (traducibile in italiano come guerra del volume) che vede i gli operatori del settore (musicisti, produttori e fonici) dividersi in due agguerrite fazioni, pro e contro questo tipo di intervento sul master; l’origine di tanto combattuto “conflitto” si fa risalire ai dischi in vinile e a quando nei jukebox si cominciarono ad usare i singoli da 7″.
Il juke-box è divenuto popolare negli USA dagli anni ’40 ed era spesso impostato su un livello sonoro stabilito dal proprietario, quindi nessun disco masterizzato più forte degli altri avrebbe spiccato, ma a partire dal 1950, i produttori, in particolare quelli della Motown, iniziarono a chiedere che i loro singoli suonassero più forte in modo tale che quei brani spiccassero con un volume maggiore rispetto a quelli della concorrenza.
Un altro elemento determinante è stato l’ascolto in esterni, principalmente in automobile, dove le radio, per avere maggiori ascolti (quindi maggiori gettiti pubblicitari), cominciarono ad usare compressori multibanda che schiacciavano in alto il segnale medio; alle radio si sono affiancati negli ultimi anni altri sistemi critici di ascolto personale ed in esterni di bassa qualità con i formati audio compressi, seppur considerati lossless.
Questa compressione risponde a due esigenze diverse e concomitanti: la prima è di coprire il rumore di fondo ambientale (in un’auto: motore, attrito delle gomme sull’asfalto, penetrazione nell’aria, ecc) la seconda deriva dalla caratteristica dell’orecchio umano di ascoltare meglio le frequenze basse ed alte quando la pressione sonora è maggiore.
Da ciò deriva l’assunto che missando un brano con due volumi diversi il missaggio con il volume più alto sia considerato quello che suona meglio. Quindi negli anni successivi diversi artisti e produttori sentendo che il loro brano aveva meno volume di altri, iniziarono a chiederne la rimasterizzazione per colpire di più l’ascoltatore ed essere maggiormente apprezzato perché ha maggior volume.
La faccenda si è ulteriormente complicata con l’avvento del digitale che ha reso possibili semplici operazioni di maggiore compressione, ma dato che l’ampiezza massima del livello sonoro di un CD non può superare lo “0 dBFS”, il volume complessivo può essere aumentato solamente riducendo la gamma dinamica, ossia alzando il volume dei passaggi più deboli (ppp) con la conseguenza che i picchi di volume più alti sono compromessi se non distrutti!
Quindi assistiamo ad una levata di scudi contro la Loudness War che è considerata interamente basata su una leggenda metropolitana, una favola piena di sciocchezze che in qualche modo ha incantato tutta l’industria musicale in particolare negli ultimi dieci anni e, come risultato, ha danneggiato in modo permanente la musica che ascoltiamo perché l’uso estremo di questa compressione può introdurre saturazioni e distorsioni nella forma d’onda dell’audio da riprodurre.
Inoltre gli oppositori dicono che l’idea che “più forte è meglio” sia un concetto fatalmente imperfetto perché il suono così schiacciato a tutti gli effetti “non suona bene”, e che la musica con gamma dinamica ridotta risulta spesso affaticante e insoddisfacente da ascoltare.Infine diverse ricerche di mercato dimostrano come non ci sia alcuna connessione tra la “loudness” del brano e le vendite, la musica dinamica suona (addirittura!) meglio in radio, i moderni lettori musicali annullano il loudness utilizzando ReplayGain, mentre l’ascoltatore medio non si accorge della diversità di volume confrontando i diversi mix infine la maggior parte degli ascoltatori sentendo ad un volume troppo alto, al limite abbassa il volume di ascolto!
Il 27 marzo è stato scelto dagli oppositori britannici della Loudness War come giorno della gamma dinamica (dynamic range day), con la realizzazione di un sito web che ospita un accattivante concorso.
Ne sentiremo delle belle!
Anche Andrea Pellegrini e Eugenio Vatta parlano di Loudness War nell’ultimo episodio di “Fonici a confronto”:
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