Nell’articolo di oggi, che segue ai due precedenti a proposito del grande progettista John Storyk, facciamo qualche passo all’interno di uno studio che sta a cavallo tra storia e mito, cioé gli Electric Lady Studios fondati dall’icona chitarristica Jimi Hendrix.
Questi studios portano il nome del suo terzo album (nonostante questo non sia stato registrato in questi studi ma a metà tra i Record Plant Studios di New York e gli Olympic Studios di Londra.
In un’intervista John Storyk ha affermato: “…but Electric Lady was built to last, and I don’t think it was built to last because everybody thought it would be here in 45 years. I think it was built to last because it was just the only way we knew how to build things.“
Quanta storia della musica c’è in uno studio che ha ben 45 anni? Quante note sono state suonate lì? Quanti musicisti si sono espressi al massimo e… quante tracce magari sono state vergognosamente cancellate…
La realizzazione di questo studio, oltre il lavoro di Storyk per ambienti che fossero ideali per l’acustica ma senza tralasciare il giusto relax, ebbe un grande contributo grazie all’apporto del leggendario fonico Eddie Kramer. In realtà, ancor prima dell’inaugurazione, Jimi Hendrix utilizzò lo studio per la prima volta il 15 giugno 1970 improvvisando con Steve Winwood e Chris Wood dei Traffic, ed il 16 incise il suo primo brano Night Bird Flying.
Nei mesi successivi Hendrix annunciò la realizzazione del suo nuovo lavoro in studio, Cry of Love per il quale il 22 agosto incise Belly Button Window, la sua ultima registrazione ufficiale in studio.
Quindi la palla passò all’esperto fonico Eddie Kramer che nella sua lunghissima carriera ha collaborato con molti altri artisti attualmente nella Rock and Roll Hall of Fame, quali Beatles, David Bowie, Eric Clapton, i Kinks, Kiss, Led Zeppelin, Rolling Stones e Carlos Santana. Interessante (ed educativo) che Kramer impose l’astinenza da qualsiasi tipo di droga durante qualsiasi sessione di lavoro!
Le spese finali di quello che fu il primo studio personale di un artista, ammontarono ad 1.000.000 di US$ per locali ed apparecchiature, una cifra ritenuta esorbitante all’epoca, di gran lunga superiore ai budget di quel periodo per gli studi di registrazione. In realtà l’investimento fu giustissimo perché l’industria discografica era decisamente in espansione ed un fonico residente prestigioso quale Eddie Kramer ebbe modo, insieme ai fonici che lo seguirono, di realizzare nelle sale degli Electric Lady Studios diverse pietre miliari della musica statunitense, come potete leggere brevemente a questo link.
Perseguendo la filosofia della massima qualità, nel 1988 lo studio fu dotato di uno dei due esemplari del mixer Focurite Forte, creato da Rupert Neve per ottenere la migliore qualità in assoluto a prescindere dal costo; l’altro fu consegnato al Master Studios rock di Londra. Nota di colore: il logo della Focusrite deriva proprio dall’incisione ff fatta su questo mixer!
Un investimento economicamente importante, spesso non preso nella giusta considerazione dai non addetti ai lavori, per studi di questo livello è la manutenzione. Vero che con l’avvento della registrazione su HD e a breve SSD sono scomparse tutte le costose manutenzioni delle meccaniche dei registratori a nastro che negli studi statunitensi prevedevano un professionista dedito solo alle tarature prima di ogni sessione di registrazione ed i risultati si sentivano benissimo.
Per i microfoni ed i supporti (che siano nastri o altro) basta avere dei locali lontani da forti campi magnetici, con temperatura ed umidità controllate con assenza di polvere, in modo tale da garantirne la migliore conservazione possibile, ma anche le elettroniche hanno una loro durata ed hanno bisogno della giusta manutenzione.
In questo periodo la maggior parte degli studi sono orientati verso il mix in the box fatto con i computer, ma cinque anni fa lo studio manager Lee Foster decise di sostituire l’SSL J9000 (per chi ci volesse lavorare ce ne sono ancora due operanti nelle regie ELS) della regia A con un mixer Neve 8078 ed acquistò quello appartenuto al Clinton Recording Studios; decise, prima di metterlo in funzione, di affidarne le operazioni di manutenzione a professionisti seri ed affidabili quali i tecnici di Vintage Audio King.
Il lavoro è stato radicale con il totale smontaggio e revisione di ogni più piccola parte per riportare questo gioiello degli anni ’70 ad esprimere tutto il suo carattere sonico classico e dare ai suoi circuiti il respiro vitale che contraddistingue la produzione di qualità da quella piatta di molte produzioni attuali; non è casuale che le recenti realizzazioni di ELS comprendono Lana Del Rey, Arcade Fire, U2, Daft Punk e Beck.
Nei momenti di grande confusione sopravvivono solamente i visionari veri, con questa filosofia nel 2012 è stata fondata Electric Lady Artist Management con un unico obiettivo: raccogliere e far crescere musicisti autentici di tutti i generi musicali che utilizzano le infrastrutture dello studio ed una vasta rete dell’industria audio per supportarli. Il 26 agosto 2015, in occasione del suo 45° anniversario, Electric Lady ha annunciato la sua nuova sfida, Electric Lady Records. Il marchio, nato per produrre e distribuire qualità, tramite edizione limitata in vinile di ogni release, sarà caratterizzato da due serie: “Live at Electric Lady” e “The Generation Club”.
Patti Smith nel suo pluripremiato libro di memorie Just Kids ricorda di aver messo il suo cappello di paglia e raggiunto il centro città, ma arrivata agli studios non riusciva ad entrare. Per fortuna Jimi Hendrix saliva le scale e la trovò seduta come una provinciale e le sorrise (ascolto consigliato).
Trascorse un po’ di tempo sulle scale raccontandole la sua visione di ciò che voleva fare con lo studio: sognava di riunire musicisti provenienti da tutto il mondo a Woodstock ed avrebbero dovuto sedersi in un campo in un cerchio e suonare, suonare, suonare…
Senza importanza per la tonalità, il tempo o la melodia… avrebbero continuato a suonare le loro discordanze fino a raggiungere un linguaggio comune.
Alla fine avrebbero registrato questo linguaggio universale astratto della musica nel suo nuovo studio, e terminò dicendo: “The language of peace. You dig? I did.“Francesco Passarelli
Aggiungi Commento