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I registratori analogici a bobina Pt.1

Il mondo dell'analogico e tutta la sua mitologia annessa. Ma di cosa parliamo davvero? Vediamo...

Nei Forum leggo spesso di giovani apprendisti stregoni di buona volontà alla ricerca di registratori a nastro a bobina o persino a cassetta per ri-ottenere il mitico suono dell’analogico, con tutto il suo “calore”, “colore”… magari anche quel po’ di “saturazione” e “distorsione” che caratterizza/caratterizzava le incisioni… beh, non è poi così semplice né tutto rose e fiori!

I registratori analogici a bobina Pt.1

Studer J-37, usato ad esempio negli Abbey Road Studios dalla metà degli anni ’60

Partiamo dalla descrizione di questi gioielli meccanici che sono stata l’evoluzione dei primi registratori a filo, meccanicamente poco affidabili, adottando negli anni ’30 il nastro magnetico derivato dall’invenzione del 1928 di Fritz Pfleumer che applicò ossido ferrico verniciato a polvere su una striscia di carta, poi sostituita dall’acetato di cellulosa.

Questa tecnologia fu portata avanti dalla BASF, che produceva il nastro, in collaborazione con la AEG, che costruiva i registratori, con un ulteriore sviluppo importante nel 1933 quando Eduard Schuller realizzò le testine a forma di anello che, a differenza di quelle ad ago, stressavano meno il nastro.

Altra invenzione significativa fatta in questo periodo fu la polarizzazione in corrente alternata (BIAS) che migliorava la fedeltà del segnale audio. Da allora fino ad oggi i registratori analogici a bobina (open reel per chi adora sentirsi un americano a Roma) non hanno avuto ulteriori innovazioni sostanziali ma solo delle migliorie operative e qualitative come l’adozione di tre testine (una per cancellazione, una per registrazione e una per riproduzione) che consente una costruzione ottimale dei traferri delle testine, con quello di registrazione più piccolo di quello di riproduzione, ottimizzando così la risposta in frequenza.

I registratori analogici a bobina Pt.1

Nell’immediato dopoguerra la tecnologia si spostò dalla Germania agli Stati Uniti dove l’Ampex stabilì gli standard professionali, ad iniziare dalla velocità di 38cm/sec. – 15ips, diametro delle bobine di 27cm – 10,1/2″, spessore del nastro da 50 micron con conseguente lunghezza del nastro di 730m – 2400 ft, per registrazioni di circa 33′, larghezza del nastro di 6,35mm – 1/4″ e della traccia stereo (in sistemi a 2 piste) intorno a 2,0mm – 0,077″, secondo la forma della testina.
In questo caso la dizione “2 piste” o “4 piste” fa riferimento alla divisione del nastro per registrare il segnale stereo in una sola direzione, detto “2 piste” (2 track) per la divisione del supporto in sole due piste, o poter registrare 2 piste in una direzione, poi girare la bobina e registrare nell’altra direzione; ovviamente per la natura Gaussiana del rumore di fondo del nastro, dimezzando la larghezza della traccia (nel caso del 4 piste) il rapporto S/R si riduce di 3dB.

Nel tempo furono realizzati anche nastri da 35µm (long play) che riducevano solo lo spessore del supporto garantendo lo stesso spessore della parte magnetica, con un’estensione del 50% del tempo di registrazione, che diventava ovviamente il doppio con nastri da 25µm (double play) ed il triplo con nastri da 18µm (triple play). Ovviamente quest’ultimo formato era molto delicato perché soggetto alle forti tensioni necessarie per la trazione del nastro stesso.

I registratori analogici a bobina Pt.1

Torniamo al BIAS che è una corrente di polarizzazione ad alta frequenza (100KHz e oltre) ed è sovrapposta al segnale audio inviato alla testina di registrazione; questa corrente è necessaria perché la funzione di trasferimento del materiale ferromagnetico (ossia la parte sensibile del nastro) non è lineare, ovvero a pari incrementi del campo magnetico fornito dalla testina di registrazione non reagisce con pari incrementi della magnetizzazione residua.

Pertanto applicando questa corrente si ottiene il miglior risultato possibile in termini di distorsione, risposta in frequenza e rapporto segnale/rumore, ma a condizione che l’intensità del segnale di bias sia quella ottimale per il tipo di nastro usato e la sua curva di magnetizzazione, altrimenti tutti i parametri peggiorano in modo drastico.

Una corrente troppo alta o troppo bassa porterà il segnale a cadere entro una delle zone non lineari, provocando un forte aumento della distorsione. Inoltre dal valore della corrente di bias dipende direttamente la curva di risposta in frequenza complessiva: un bias elevato comporta un effetto di cancellazione delle frequenze superiori durante la stessa registrazione, mentre un bias basso inizialmente provoca un’esaltazione della gamma alta ed a seguire un drastico crollo del livello di uscita associato ad una riduzione della massima frequenza del segnale registrabile.

Nella prossima puntata inizieremo a parlare di curva di equalizzazione, altro parametro a dir poco vitale!

I registratori analogici a bobina Pt.1

Tascam ATR-80 2″

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