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Il suono non si racconta… ma quale suono?

In questi ultimi anni ho avuto il piacere di parlare e sperimentare il suono in tante situazioni diverse, dalla didattica in studio ai concerti in cui ho lavorato o semplicemente ascoltato, ai test che faccio con pre e microfoni, anche se più spesso si tratta di ore di ascolto passate davanti al PC per la scrittura de

In questi ultimi anni ho avuto il piacere di parlare e sperimentare il suono in tante situazioni diverse, dalla didattica in studio ai concerti in cui ho lavorato o semplicemente ascoltato, ai test che faccio con pre e microfoni, anche se più spesso si tratta di ore di ascolto passate davanti al PC per la scrittura degli articoli per MusicOff, o di testi tecnici scritti e/o tradotti per dispositivi/software audio e musicale di qualsiasi livello… per finire col necessario “conforto musicale” quando trascorro ore alla guida sul terrificante GRA romano!

Premetto che ascolto di tutto e di più, anche se la mitica Orietta Berti non è fra le mie scelte preferite e mi sono stancato di ascoltare Whole lotta love (dopo aver comprato due copie del vinile perché la prima era consunta!) o Radioactivity (…anche se il 25/7 sarò all’Arena di Verona); privilegio la produzione degli ultimi 6 mesi, magari jazz o classica quando mi devo concentrare ed evitando di ascoltare questi generi musicali quando sono alla guida e scelgo Radio Rock o Radio 3, ma anche H2O et similia… insomma sono un vero onnivoro, orfano di WinAmp!

Il suono non si racconta... ma quale suono?

3 teste… io – testa Neumann KU100 – Pierpaolo Caputo

Tornando alle chiacchierate sul suono e sul “senso del suono” (quello che riconosco ai grandi fonici con i quali ho avuto il piacere di confrontarmi e che sanno di non avere la verità in tasca, ma che parlano delle proprie esperienze in modo costruttivo e poco tifoso) che faccio sia nel reale che nel virtuale, mi trovo spesso stupito dalla risposta alla mia domanda fondamentale su quanti strumenti/concerti acustici sono stati ascoltati questa settimana o mese (…anno?) e la risposta è sempre un numero basso, incredibilmente basso!
Come affermo all’inizio delle mie lezioni, il primo punto critico è l’estetica della ripresa: noi posizioniamo i microfoni in posti dove difficilmente ci sarà l’orecchio del musicista, pensate alla ripresa della chitarra fatta anteriormente mentre il chitarrista acustico suona dietro lo strumento (salvo acrobati poco significativi musicalmente!) e quello elettrico è spesso distante, angolato ed alzato rispetto al cabinet. Gli unici esentati sono violinisti e violisti ed anche i flautisti stanno abbastanza vicini alla sorgente dell’energia sonora.
Il problema mi si era evidenziato ancor di più una ventina di anni fa, quando facendo prove accurate con una pianista professionista posizionammo molti microfoni (tutte coppie selezionate di qualità veramente alta) compresa una coppia vicino la sua testa, il più possibile vicina alle sue orecchie. Bene l’attento ascolto immediatamente successivo ci stupì tutti quanti: il suono che più ci “convinceva” non era quello all’altezza delle sue orecchie ma quello della coppia di microfoni poco distanti dal piano, insomma quello classico da decenni di registrazioni… ed era quello che convinceva di più anche lei!

Il suono non si racconta... ma quale suono?

Tolti questi punti piuttosto tecnici, la conseguenza di questa scarsa frequentazione di locali per concerti acustici è l’attuale omologazione nella percezione del suono: il pianoforte (tanto per restare in tema) della musica classica è sempre arricchito da diversi secondi di riverbero, che era tipico delle sale da concerti del’700/’800, ma ora gestito in modo artificioso sia con un gran dispendio di microfoni d’ambiente che con l’uso smodato di riverberazione digitale di qualità elevatissima, magari convoluzione di ambienti eccellenti.
Tipico esempio recente un concerto di Lang Lang ripreso dalla RAI e trasmesso diverse settimane fa da Radio 5, nel quale si sente un pianoforte imbarazzantemente poco presente, addirittura distante… insomma fuori fuoco anche rispetto a chi ascoltava in piccionaia… o registrazioni nelle quali un colpo di tosse è ben udibile per molti secondi. Vero è che contro questa mania dilagante (non parlo più neanche di estetica del suono, ma di ossessione patologica) ci sono diverse soluzioni; il de-riverbero è stato argomento della 60a conferenza tenutasi dal 3 al 5 Febbraio a Leuven in Belgio e mi auspico che da questa conferenza scaturisca l’interesse delle aziende di software per fornirci altre soluzioni dai risultati efficienti.

Questo suono standard (ma anche quelli della prestigiosa etichetta Edition of Contemporary Music fondata nel 1969 a Monaco di Baviera da Manfred Eicher, Manfred Scheffner e Karl Egger, approdata alla fama imperitura con il Koln Concert di Keith Jarret con il mitico Bösendorfer 290 Imperial) così come i suoni dei campionamenti di innumerevoli pianoforti digitali (partiti dai mono-campioni a 12bit degli anni ’80!) ormai stabiliscono la nostra percezione del suono del pianoforte, molto diversa da quella reale!

Esortazione: è vero che viviamo nell’era della riproduzione e spesso prendiamo per buono qualcosa veramente poco naturale, ma cerchiamo di riprenderci la qualità per i nostri sensi… ascoltare musica dal vivo o coltivarci le fragoline sul balcone, ha un grande senso e non solo per noi ma come patrimonio esperienziale per le prossime generazioni, che altrimenti penseranno (test svolto anni fa in Francia) che il sapore delle fragole sia quello della gomma da masticare e non del frutto appena colto!

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