Quando si parla di mastering ci si riferisce all’ultima fase di lavoro riguardante la creazione di una realizzazione musicale (o di altra destinazione audio) prima della stampa reale o digitale. Là dove interviene un personale qualificato con appositi macchinari, solitamente un apposito studio al fine di dare all’album uno shaping sonoro finale: il giusto volume, un amalgama timbrico e dinamica tra i vari brani, un’immagine stereofonica corretta, e via dicendo.
Una sorta di catalizzatore dopo un buon mix per far letteralmente “sbocciare” l’anima del materiale sonoro in modo che suoni ampio, robusto, dinamico (si spera!).
Va da sé che si parli di un’operazione estremamente delicata.
Purtroppo proprio in questa fase, negli ultimi anni, si sono avute le maggiori controversie: i tristi anni della loudness war, oppure i “maneggiamenti” a dir poco improvvisati o fatti da personale non specificamente preparato ed equipaggiato.
Ovviamente e per fortuna esistono anche oggi delle eccellenze all’estero come nel nostro paese. Questi professionisti del mestiere si avvalgono solitamente dei migliori mezzi a loro disposizione, e seguono da un lato le richieste del committente mantenendo fede alla propria visione del suono ed al loro gusto personale.
Infatti, come tutti i processi della realizzazione audio, il mastering è dipendente tanto dalle macchine quanto (soprattutto?) dalla componente umana che vi opera.
Uno di questi è Tommy Bianchi, che vanta oramai un’ottima carriera (citiamo tra i recenti il lavoro effettuato sull’ultimo album di Elio e Le Storie Tese, Figatta de Blanc) e che per quanto ci riguarda è uno dei simboli della suddetta filosofia di lavoro.
Lo incontriamo oggi nel suo studio, il White Sound Mastering di Firenze, insieme al suo collega e socio nonché vecchia conoscenza di MusicOff Andrea Pellegrini ed al progettista Niccolò Caldini di Mad Rooster Lab.
Il motivo che ci fa incontrare si chiama White 2 Mastering Equalizer, plugin progettato e realizzato in collaborazione con Acustica Audio e derivante dall’hardware di equalizzazione WSM PEQ 2.0, sempre frutto delle esigenze di Tommy e delle ottime mani di Caldini che insieme hanno fondato la piccola azienda WSM Labs.
Ciao Tommy e grazie per averci accolto in questo bellissimo studio immerso nel verde delle campagne fiorentine. La prima domanda è semplice e diretta: “Perché” il White, da dove nasce l’esigenza prima della macchina e poi del plugin sviluppato con Acustica Audio?
Tommy Bianchi – Inizio proprio da quest’ultimo, il cui progetto nasce in seguito ad una richiesta di noleggio studio che Acustica Audio, software house italiana di Lodi, mi ha fatto per campionare alcuni dei macchinari di cui sono in possesso e con i quali lavoro abitualmente.
Questo brand italiano ha bene in mente cosa significa lavorare con qualità senza compromessi: già si era distinto per la creazione del ben noto Nebula, plugin che in termini informatici aveva inizialmente bisogno di grandi risorse, ma dall’ indiscutibile resa audio e fortemente innovativo. A tal punto di farsi conoscere pure oltreoceano.
“
Da qui è nata una collaborazione spontanea ed un nuovo progetto basato su una macchina che avevo in studio e che utilizzavo prepotentemente nei miei lavori di mastering, nata dalle mani di Niccolò Caldini di Mad Rooster Lab, al cui sviluppo avevo partecipato personalmente. A mio parere rappresentava un’ottima opportunità per la creazione di un software con i metodi, non comuni, che Acustica Audio mette solitamente in gioco per la creazione dei suoi prodotti.
Abbiamo quindi inviato loro il WSM PEQ 2.0: un equalizzatore da mastering a stato solido ispirato, come tipo di intervento, allo storico Pultec EQP-1A.
La tecnologia con cui Acustica Audio crea i suoi plugin non prevede il diffuso circuit modeling, per certi versi più semplice, bensì richiede un vero e proprio lavoro certosino sulla macchina che deve essere fisicamente nelle loro mani, applicando un processo di campionamento che può durare anche moltissime ore..
In più c’è ovviamente tutta la progettazione software e grafica successiva passando attraverso la delicata fase che concerne l’eliminazione di possibili bugs informatici (debbugging che in altri casi, anche famosi, non sempre viene completato prima della commercializzazione…).
Stiamo quindi parlando di un approccio non usuale al concetto di plugin, anche per un utilizzatore.
Tommy Bianchi – Prima di tutto l’approccio non è sicuramente da “smanettone” ma deve avvalersi di un know how professionale, non solo tecnico, soprattutto di “orecchio”, di esperienza nel settore. Il White 2 PEQ 2.0 Mastering Equalizer non è il classico plugin da tenere in mezzo ad altre decine di software da cui pescare piuttosto “casualmente” nelle produzioni casalinghe.
Derivando dal campione di una macchina figlia di un progetto personale e non così diffuso (per quanto affondi le radici nella storia Pultec) e rispecchiandone fedelmente il comportamento, deve essere chiaro il concetto che non si sta parlando di un “tuttofare” con mille opzioni basate su calcoli matematici ma di un plugin che va scelto innanzitutto per il suo comportamento sonoro e le sue potenzialità timbriche.
Perché, proprio come una buona macchina, “fa una certa cosa” e magari in certi contesti “la fa meglio di altri” (dove, come e quando è una scelta/giudizio personale).
In effetti, essendo il progetto hardware molto specifico e non noto a tutti, ci si approccia al plugin abbastanza al “buio” come se, appunto, si accendesse il vero WSM PEQ 2.0 per la prima volta.
Tommy Bianchi – Vero, anche se detta così può sembrare un plugin di difficilissimo utilizzo: in realtà essendo ispirato al Pultec, l’approccio risulta assolutamente chiaro e semplice. Alla fine è una macchina che enfatizza o diminuisce le estreme frequenze dello spettro sonoro.
Ad ogni modo, è la “sensazione sonora” ad essere stata ricreata prima di tutto: come avviene per molti strumenti hardware già quando il segnale entra, anche con la macchina che non lavora, quindi in flat, succede qualcosa e sta in questo che la nostra sensibilità al suono entra in gioco. In campo hardware, come per i preamplificatori, i microfoni, etc… non tutte le macchine possono andar bene per una specifica situazione.
Quali sono i punti di forza di questo White, dove succede a tuo parere la “magia”?
Tommy Bianchi – Mi viene in mente prima di tutto una parola: estreme. Come la macchina interviene sulla gestione delle frequenze estreme del materiale sonoro su cui stiamo lavorando. La correlazione di fase che c’è quando si interviene è un altro grandissimo punto di forza di questa macchina, così come la pochissima distorsione armonica che si ha su interventi massicci.
Mentre i controlli sono di derivazione Pultec, la parte di preamplificazione è completamente diversa (a stato solido, appunto) e il tutto rende il trattamento dei transienti davvero agile e senza alterazioni sonore indesiderate. Personalmente lo uso in tutti i generi: la sua efficacia si sente moltissimo sull’elettronica, dove c’è un uso massiccio di transienti piuttosto “sparati”, frequenze prepotenti, e si sente bene che il WSM/White tocca il suono senza andare a snaturarne l’anima, cosa che su talune macchine, soprattutto valvolari, richiede molta attenzione. Stesso discorso per la musica rock, laggiù dove si necessita di preservare i transienti.
Sia sulla macchina che sul plugin lo shaping sonoro, grazie anche a controlli di boost e cut da poter usare in contemporanea, avviene nella maniera più corretta.
Andrea Pellegrini – La preamplificazione ha un suo suono ed una headroom davvero impressionante il che permette non solo di avere in ingresso segnali particolarmente “loud”, ma anche di guadagnare qualcosa, se necessario, senza avere problemi problemi di sfasamenti o distorsione sulla risposta in frequenza. I controlli in stile Pultec rendono il controllo del tono efficace e preciso.
Il segnale del prodotto finito non soffrirà mai di un effetto “collo di bottiglia”, proprio grazie alla suddetta headroom. Bisogna sempre considerare che i dischi classici avevano livelli di prodotto finito pari a -13db di RMS, ad oggi a quel livello ci arrivano i mix, che magari vanno portati a soglie come -5dB!
Macchine di qualche anno fa o addirittura vintage possono trovare qualche difficoltà a digerire segnali di questo tipo, mentre in questo caso troviamo un terreno di lavoro decisamente ampio. Parlando del plugin, il vero miracolo sta proprio nel campionamento dello stadio preamplificatore: pazzesco!
Oltretutto, per mantenere un ottimo bilanciamento, sono presenti controlli a step (scatti) così da mantenere una correlazione precisa tra i due canali ed il tutto è anche facilmente richiamabile nel caso della riapertura di un progetto, cosa che accade non così raramente.
Abbiamo l’occasione di avere qui con noi anche il progettista, colui che ha messo le mani nei circuiti della macchina “madre”: Niccolò Caldini di Mad Rooster Lab. Da dove è iniziato il tuo lavoro su questo equalizzatore?
Niccolò Caldini – Devo ammettere che a partire dalla mia passione personale nell’elettronica in vari campi audio e musicali, ho realizzato molte macchine (tra cui proprio il Pultec) in special modo valvolari, ambito per cui ero un po’ “fissato” tempo fa.
Prima di realizzare un’altra macchina valvolare però, ho voluto provare ad unire un paio di concetti che avevo in mente e di avvalermi del grande orecchio di Tommy. Così ho portato a lui la realizzazione della parte passiva dei filtri del Pultec che, adattando l’impedenza, mi permetteva di utilizzare i miei preamp microfonici come amplificazione. Da questi esperimenti e da numerosi ascolti in compagnia di Tommy, è nato quindi pian piano, in circa un anno di progettazione, il prototipo di questo equalizzatore.
Sul lato tecnico ho cercato di semplificare il più possibile il circuito, come accade spesso in quelle che secondo me sono le migliori macchine, ed in particolare ho voluto tenere la fase sempre correlata, limitando l’uso di condensatori sul segnale audio. Le successive misure fatte da Acustica Audio mi hanno confermato che è stata una chiave di volta importante nella resa sonora del plugin e della macchina stessa.
Rispetto al Pultec originale, nel WSM, macchina e plugin, c’è una divisione dei controlli delle frequenze basse. In questo modo è possibile dare boost o tagliare in punti diversi, altro punto di forza a mio parere, che restituisce una grande versatilità.
Vorrei sottolineare il fatto come spesso per macchina “da mastering” si pensi ad un certo tipo di attrezzatura dove sia possibile fare dei piccoli ritocchi mirati; in realtà il WSM è una macchina estremamente creativa che permette interventi di una certa entità che non tradiscono mai all’orecchio la musicalità e la natura del materiale musicale su cui si lavorando.
La domanda vien da sé: quando hai sentito il plugin, che sensazione hai avuto?
Niccolò Caldini – Ammetto che la prima volta che l’ho sentito ho riconosciuto subito, soprattutto in gamma bassa ma anche nel semplice suono in flat, lo stesso carattere della macchina, in particolare nel trattamento della fase di cui parlavo prima. Hanno fatto davvero un ottimo lavoro.
Andrea Pellegrini – L’unica differenza sostanziale, per motivi strettamente fisici, è che il plugin permette di lavorare in due modalità: L-R, sia linkate che non (quindi la modalità per lavorare indipendentemente sui due canali o in maniera parallela), oppure MS, “mid-side”, quindi lavorando sulla parte centrale del segnale e su quella “laterale”.
La macchina hardware invece è dual-mono.
Andrea, la tua esperienza in studio sicuramente ti avrà portato a farti un’idea di questo White, ma so che la tua vena sperimentatrice ti ha portato anche oltre.
Andrea Pellegrini – Non sbagli! In studio confermo quanto detto finora. Ma come premettevi ho fatto un esperimento particolare, portare il plugin nell’utilizzo dal vivo! In questo ambito io amo moltissimo la filosofia delle “estreme”, cioé equalizzare il meno possibile lavorando sulla microfonazione e puntare ad enfatizzare o ridurre le frequenze più estreme.
Invece di farlo con il processore digitale dell’impianto, Galileo o Lake che fosse, mi sono ritrovato a farlo direttamente dal mixer digitale su cui avevo come insert sul master il White. Ho così goduto di benefici notevoli dalla parte molto bassa (da 60 kHz in giù) a quella molto alta (da 14/16.000 kHz in su).
Il primo impianto sul quale ebbi modo di sperimentare fu l’MLA di Martin Audio: mi sono stupito su quanta rotondità potessi guadagnare senza sforzare l’impianto stesso, così come un riguadagno estremamente naturale (musicale) sulla parte altissima. Il tutto senza problemi di fase data l’interazione su tutto l’L/R.
È stato un test molto empirico, che ha dato i suoi frutti. Mi consente di intervenire sui due frangenti più critici di uno spettacolo dal vivo: le estreme. Il plugin oltretutto mi permette di correggere o intervenire anche sul fattore M/S, cosa sulla quale consiglio massima cautela ma che può servire se l’ambiente dà modo di poter lavorare bene.
Ringraziamo Tommy, Andrea e Niccolò e facciamo ritorno verso la nostra sede ripromettendoci di tornare al più presto per uno speciale approfondito sullo studio di mastering. Vi consigliamo ovviamente di dare uno sguardo a questo potente plugin e di non perdervi il manuale di istruzioni, nel quale potrete trovare una divertente storia intitolata “A Mixing Carol” (non vi diciamo altro, scopritelo da soli!).
Non ce ne andiamo, però, prima di aver ascoltato una delle ultime produzioni del White Sound Mastering studio, diffusa dalle splendide casse Rosso Fiorentino, altra eccellenza italiana.
Ma questo, proprio non possiamo raccontarvelo a parole…
Aggiungi Commento