Lo staff di Are You Experienced – la rubrica dedicata ai test/recensioni audio dei miei collaboratori/allievi in studio – fa una svolta epocale: la collaborazione diventa autonomia sotto la mia supervisione… chi mi conosce sa quanto io adori dire l’ultima parola!
Iniziamo con una serie di recensioni di plug-in (da buon nostalgico dell’analogico mi procurano un po’ di orticaria) scritte da Valerio Atturo e Gianni Ferretti per le loro rispettive specializzazioni (chitarrista/fonico e tastierista).
Il buon Valerio inizia con un’introduzione enciclopedica da conservare nel tempo e un test approfondito arricchito di esempi, foto e… a lui la parola!
Cosa si intende per “Instrument Input”
È ormai pratica comune per ogni musicista essere munito di un piccolo setup per Home Recording a disposizione per poter incidere qualsiasi idea estemporanea in casa ed in qualsiasi orario.
Il mercato delle interfacce audio di livello consumer ha ricevuto un vigoroso impulso dovuto anche alla pandemia, che ha fatto sì che una fascia ancor più larga di musicisti disponesse di una configurazione per live stream e/o la condivisione di tracce.
Molte di queste interfacce sono munite di un ingresso jack da 6,35mm con dicitura “Instrument input” o “Hi-Z input”, ma cosa vogliono dire?
Per coglierne il significato occorre introdurre il concetto di impedenza, spesso indicata con “Z” e misurata in Ohm (Ω), che possiamo definire come la “grandezza che esprime la maggiore o minore opposizione che una struttura elettrica presenta allo scorrere di una corrente al suo interno”.
Per far lavorare adeguatamente i pickup di una chitarra, ad esempio, è necessario che essa sia collegata ad un dispositivo (sia esso un amplificatore o un’interfaccia con ingresso Hi-Z) che abbia impedenza d’ingresso di circa 1MΩ (1.000.000 di Ω).
Ciò è pratica comune quando si tratta di amplificatori per chitarra o di preamplificatori virtuosi con ingressi Hi-Z (come l’Audient ASP880 per nominarne uno), ma è quando entriamo nell’ambito di interfacce audio di fascia consumer che nascono i “problemi”.
Sono rari, infatti, i casi di interfacce audio di fascia di prezzo contenuta che riescano a disporre di ingressi ad alta impedenza, spesso infatti sono munite dei più comuni ingressi di linea (Line Inputs), i quali sono però solitamente provvisti di impedenza di ingresso che varia tra i 10kΩ e i 50kΩ.
Sono questi i valori di impedenza con cui spesso il pickup del chitarrista/bassista, con la sua scheda audio, si trova a lavorare (entrando direttamente con un jack mono da 6,35mm quando non si ha la possibilità di microfonare o per incidere rapidamente), restituendo infine un suono “spento”, che ha perso qualcosa per strada, un suono che “non torna” se comparato al suono della stessa chitarra o basso collegato a un amplificatore.
È proprio a tentar di risolvere questo inconveniente che nasce il software che abbiamo avuto modo di testare, il DIFIX di UnitedPlugins.
DIFIX di UnitedPlugins, alternativa alla DI Box?
Il plug-in, disponibile in VST, VST3, AU e AAX, si presenta con una interfaccia semplicissima e intuitiva; i creatori suggeriscono di attivarlo per primo nella catena di effetti in insert nella nostra traccia di chitarra o basso (registrata con una scheda audio economica tramite un collegamento sbilanciato, come descritto in precedenza) e selezionare uno dei due preset (“Bass DI” o “Guitar DI”) che attiveranno due differenti algoritmi di trattamento del nostro segnale.
Il plug-in inoltre presenta tre potenziometri: IN, OUT e INTENSITY che corrispondono al livello di ingresso, al livello di uscita e alla quantità di segnale trattato dal DIFIX rispetto al segnale non trattato, del tutto corrispondente ad un potenziometro dry/wet.
Prima di avventurarci nei nostri test leggiamo la descrizione degli sviluppatori. Il plug-in è stato realizzato con lo scopo di risolvere il problema di registrazioni in caso di impedenza d’ingresso non sufficientemente alta tramite “sofisticati processi indipendenti per livellare il suono aggiungendo contemporaneamente un po’ di saturazione analogica, come se si usasse una vera DI box”.
Iniziamo i test e mettiamolo alla prova
Abbiamo prodotto del materiale da testare registrando alcune tracce con una Fender Telecaster ed il suo pickup single coil al ponte.
La registrazione è avvenuta usando una DI stereo passiva “Radial PRO D2”, la chitarra è entrata sbilanciata nella DI (che ha un’impedenza di ingresso di circa 140kΩ) e abbiamo catturato contemporaneamente l’uscita sbilanciata “Link Out” e l’uscita bilanciata per poter paragonare al nostro DIFIX anche un segnale trattato con una reale DI passiva.
Entrambi i segnali sono stati registrati tramite due ingressi Mic/Line di un Midas MR18 a 48kHz 24bit, la cui impedenza in ingresso per i canali 1-16 è di 10kΩ.
La traccia di chitarra sbilanciata è stata duplicata e una delle due è stata “corretta” tramite il DIFIX con intensity 100% e preset da chitarra. La prima impressione è che il plug-in alzi notevolmente il volume, per fare un primo confronto abbiamo dovuto infatti abbassare l’output fino a poco oltre una “linea” in meno sul potenziometro di output che corrisponde circa ad un -4dB.
Ecco il primo paragone:
Lasceremo a voi i giudizi sulle differenze e le eventuali preferenze, anche se crediamo sia chiaro il comportamento del plug-in. Per toglierci ogni dubbio riguardo al suo funzionamento, ci siamo permessi di fare qualche test in controfase per capire a fondo cosa questo algoritmo e questa saturazione analogica promessa faccia realmente alle nostre tracce.
Seguono degli export realizzati sommando a pari volume una traccia trattata con il DIFIX e la traccia originale non trattata, prima entrambe in fase e poi con una delle due invertita di fase, ascoltiamo.
Proviamo anche a fare uno switch da preset GUITAR DI a BASS DI (nel file audio sentirete un click che indica il cambio preset a circa 11 secondi) e a sommare in controfase la stessa traccia duplicata e trattata in entrambe le copie con gli stessi settaggi del DIFIX.
Per finire ci siamo permessi di fare un test facendone un uso più creativo: abbiamo provato a trattare sia un rullante (registrato con un Lewitt MTP940 CM in polarità Super-Cardioide) sia una traccia “stem” di cori (registrati con un Aston Spirit in polarità Cardioide) con il DIFIX (preset GUITAR DI), in modo da sfruttare sia la sua capacità di restituire “chiarezza”, sia l’introduzione di un po’ di quella “saturazione analogica” che il plug-in prometteva e che con i test in controfase hanno rivelato essere reale.
Ecco a voi i risultati.
Conclusioni dei test
L’idea si fondava sul tentare di capire se un tool così intuitivo per la correzione di un problema molto preciso e ben delineato, in base alle indicazioni della stessa United Plugins, potesse essere utile anche a velocizzare un primo trattamento delle nostre tracce a cui vogliamo donare un po’ di carattere e chiarezza prima ancora di gettarci a capofitto nella fase di mixing.
Farne anche uso più creativo è incoraggiato anche dal basso impatto sulle prestazioni del processore. Ad esempio sul setup dove sono stati condotti i test, che monta un AMD Ryzen 7 2700x (3,7GHz/4,3GHz, 8 Cores 16 Threads) del 2018, lavorare e cambiare i valori dei potenziometri e i preset “online” cioè mentre la traccia era in riproduzione ha utilizzato di picco lo 0,07% della capacità prestazionale della CPU.
I risultati dei test sono stati chiari: il DIFIX è un plugin di utilizzo immediato, leggero e fa quello che promette; è utile qualora si intenda “ridare vita” a registrazioni di chitarra o basso di qualità non soddisfacente con una sola aggiunta in insert.
I test in controfase hanno infatti rivelato che non si tratta di un semplice booster di segnale. Di certo utilizzare questo plugin non è l’unico modo per ottenere il risultato promesso (che comunque richiederebbe un numero maggiore di plugin), ma ci troviamo di fronte ad una rapida, leggera ed efficace scorciatoia per il recupero audio, oltre ad essere un utilissimo plugin per sperimentare e ridare vita e presenza a tracce di natura diversa.
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