Per la serie di articoli “Italians do it better” stavolta affrontiamo un argomento molto importante per chi fa musica: la generazione sonora tramite modelli fisici che dagli anni ‘90 (coi limiti tecnologici di allora) ha iniziato ad affiancarsi ai classici campioni.
I protagonisti dietro SWAM
Quindi approdiamo (virtualmente, visti i tempi!) a Suich per vedere la storia di Stefano Lucato ed Emanuele Parravicini, con un inizio originale… anche se simile ad altre aziende della new economy. Emanuele racconta: “Era Settembre 2009, negli anni precedenti Stefano Lucato aveva lavorato con Samplemodeling alla realizzazione di alcune librerie espressive per Kontakt. Purtroppo Kontakt era troppo limitante per poter realizzare quello che poi sarebbe diventato l’engine ‘SWAM’, quindi aveva bisogno di un ingegnere programmatore che si dedicasse ad un engine dedicato.
Voleva qualcuno che parlasse in italiano, per essere sicuro di che tutti i complessi dettagli della tecnologia venissero recepiti correttamente. Su Google ha cercato ‘Sviluppatore VST’ e come primo risultato è apparso il mio nome e il mio sito di allora: avevo infatti un sito, l’unico in italiano che spiegasse i rudimenti di programmazione dei plugin VST.
Stefano ha subito pensato ‘chissà dove abita, magari a centinaia di chilometri di distanza’, appena ha visto l’indirizzo, ha scoperto che stavo a 45 minuti di automobile da lui.
Stefano mi scrisse un’email e da lì iniziammo a lavorare su SWAM”.
Nel 2010 i nostri eroi hanno iniziato a studiare e sperimentare l’emulazione di strumenti acustici espressivi multi-vettoriali, in particolare per legni, ottoni e archi, ossia quelli che offrono al musicista input e controllo continui contemporaneamente su più dimensioni.
La forza di un’azienda è data dal team che riesce a creare e motivare… poco dopo è arrivato il buon Simone Capitani, che narra così la sua entrata nel team di Audio Modeling: “Da anni avevo la voglia di realizzare un’applicazione software che potesse sopperire alle mancanze di comunicazione tra strumenti digitali. L’idea di avere un’unica interfaccia per controllare strumenti Roland, Yamaha, Clavia o plugin software, ma senza costringere l’utente a re-imparare l’utilizzo su ogni macchina sfocia in Camelot: l’ambiente ideale, il reame in cui tutti i produttori siedono a una tavola rotonda virtuale e parlando la stessa lingua il MIDI, ma con un’esperienza utente UX unificata.
Nel 2016 ad una fiera, credo Francoforte, incontro Lele e Stefano Lucato che partecipavano allo stesso evento ROLI. Io nel ruolo di dipendente, perché avevo fatto il design del software Equator, loro come partner. Sentendo parlare italiano, ci presentiamo e facciamo due chiacchere. Poi ci scambiammo i numeri. Qualche mese dopo lascio ROLI ed intraprendo l’attività freelance.
Tra un progetto e l’altro lavoro al concept di Camelot cominciando il design. Con il design in mano comincio a contattare gli sviluppatori che conosco o gli amici di amici. Poi un giorno ritrovo il numero di Stefano e lo chiamo. Lui mi dice subito che per questa cosa ci vuole Lele e me lo consiglia. Quindi sento Lele che in 2 settimane realizza un prototipo per iPad che ci saremmo poi portati al NAMM 2017 per proporlo alle aziende MI”.
Lo staff si è ampliato con le necessarie figure professionali specializzate nel proprio settore per risultare vincenti in un mercato internazionale sempre più competitivo…
Data l’enorme potenzialità di questa tecnologia abbiamo deciso di parlarne da due punti di vista diversi, pertanto oltre la recensione di Gianni Ferretti (che ha già recensito diverse librerie) ci sarà quella di Silvio Fantozzi (arrangiatore e direttore d’orchestra, storico assistente alla direzione musicale di Radio Italia Live – Il Concerto).
Iniziamo con la parte di Gianni che ha effettuato il test mettendo in comunicazione Camelot con una vecchia master Oberheim MC-3000 tramite la M-Audio MIDISPORT 2×2 (midibox che ha sofferto per qualche incomprensione iniziale da imputare, probabilmente, a driver obsoleti) e con la master Infinite Response VAX-77 collegata via USB.
Il tutto gestito dal MacBook Pro con un processore i7 dual-core e 16 giga di Ram (secondo Gianni la configurazione minima per lavorare con tranquillità).
Il nostro test di SWAM
SWAM sta per Sinchronous Waves Acoustic Modeling, una tecnologia che non si limita a imitare la timbrica dello strumento ma permette all’esecutore di modificare l’articolazione e l’espressione della nota in tempo reale.
Per esempio: suonando posso cambiare la velocità del mio vibrato o suonare prima una nota legata e poi una staccata e/o pizzicata degli archi o, nel caso dei fiati, cambiare il tipo di attacco, soffiato o meno. Sicuramente una situazione in cui il performer si può divertire in modo creativo.
Questa forse è la migliore arma rispetto alle Sample Libraries che invece costringono a caricare un set-up per ogni articolazione.
La serie SWAM è costituita da strumenti solisti iniziando dai quattro archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso).
Molto amplia la scelta degli ottoni che oltre tromba (in Sib, in Do e Piccola), trombone (contrabbasso, basso, tenor-basso, tenore e contralto), tuba (bassa e in Mib) e corno francese (in Fa e in Sib) offre alcuni strumenti molto interessanti quali il flicorno (in Sib e in Mib) e soprattutto l’euphonium, che troviamo raramente anche in librerie molto ampie.
Per i legni abbiamo 4 flauti traversi (basso, contralto, da concerto e piccolo), 2 clarinetti (basso e in Sib), oboe, corno inglese, fagotto e controfagotto.
Infine c’è un’ampia squadra di sassofoni, dal baritono al soprano passando per tenore e contralto.
Alla prova “su strada” gli SWAM non deludono: sembra di avere sotto le dita lo strumento vero. Oltretutto la possibilità di modificare l’espressività mentre si sta suonando rende tutto veramente credibile!
Grazie al fatto che tutti i parametri sono associabili a un controllo MIDI, lavorando con una DAW possiamo curare ogni elemento nel minimo dettaglio. Ho apprezzato in particolare il realismo del glissando di archi e ottoni che, come nella realtà, è continuo.
Ovviamente mantiene il massimo realismo anche per i sax, con passaggio nota per nota.
La versatilità è ulteriormente ampliata dal fatto che sono presenti varianti per ogni strumento, quindi avremo un violino del ‘700, uno moderno, uno elettrico, e così via. Ovviamente sono disponibili anche diversi preset con equalizzazioni e ambiente diversi per ogni applicazione.
Camelot invece è stato realizzato da Audio Modeling per rispondere alle esigenze dei musicisti che per i concerti hanno bisogno di un supporto digitale per gestire suoni, preset, settaggi ed eventuale supporto audio… e non solo.
A dispetto di una grafica inizialmente non molto intuitiva Camelot promette (e mantiene!) di semplificare il compito del performer con utility e soluzioni molto interessanti e di richiamo istantaneo!
La struttura di ogni setup prevede le Songs, che possono avere al loro interno una o più Scenes, formate da Layers, cioè i VST (o AU) disposti sulle tastiere che si usano; è qui che decidiamo quale synth deve suonare, con quale suono e con quale estensione.
Anche se può sembrare una cosa complicata dopo cinque minuti di smanettamento si è subito padroni della situazione.
Per l’esperienza di Gianni il vero asso nella manica di Camelot è la Timeline, una pagina unica nel suo genere: posso caricarle qui le basi sulle quali suonare e inserire tutte le informazioni che mi servono nella performance, compreso un cambio completo ed immediato di Scenes mentre sto suonando…
È impressionante avere, per esempio, un pianoforte e subito dopo un organo senza aver alzato le mani dalla tastiera!
Tramite i Markers si può assegnare l’operazione voluta a un determinato momento, ad esempio si può fermare la Timeline alla fine di una base (chiamata BackingTrack) senza doversi affannare per stoppare prima del brano successivo.
La pagina Attachment permette di avere sullo schermo un qualsiasi pdf o foto, utilissima per avere sullo schermo lo spartito di ciò che sto suonando.
Il tutto passa poi per un mixer interno con diversi effetti a disposizione.. se proprio volessimo trovare una pecca riguarda l’impossibilità di usare gli effetti in insert sul master, ma tramite il Setlist Rack nella pagina Layers si può ottenere un risultato simile.
Disponibile per tutte le piattaforme, Camelot si inserisce in un contesto in cui ci sono pochi concorrenti e ha tutte le carte in regola per primeggiare: veloce e leggero, il tastierista (e non solo lui) del 21° secolo svolgerà un lavoro gratificante in modo più semplice e rilassante… ergo avrà più tempo e concentrazione per l’esecuzione creativa!
Aggiungi Commento