Se ci sembra logico associare le prime esperienze musicali umane – a parte il canto – a un qualche tipo di percussione, anche solo per la casualità di aver percosso una superficie o l’altra creando differenti suoni, non dobbiamo mai sottovalutare anche ciò che può essere stato prodotto attraverso il respiro, il fiato, all’interno di un oggetto, anche in epoche antichissime, preistoriche.
Lo ha dimostrato uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances che ha preso in esame una conchiglia le cui origini risalgono a ben 17mila anni fa, a un certo punto raccolta dall’essere umano del Paleolitico e lavorata in modo simile a ciò che oggi conosciamo osservando strumenti come corni, flauti o simili.
D’altronde, come afferma lo stesso articolo, tutti gli studiosi hanno oramai stabilito da tempo che la stessa società, intesa nel suo senso profondo di aggregazione umana sotto regole, usi e costumi condivisi, non potrebbe esistere senza la componente musicale.
La voce umana stessa ha sempre intonato melodie in qualsiasi cultura e tempo, spesso per usanze e cerimonie molto importanti, politiche o religiose (o spesso entrambe le cose insieme), e quindi per consolidare i fenomeni di aggregazione sociale.
Fa bene anche ricordarlo oggi del resto, visto il periodo che stiamo vivendo e le difficoltà delle situazioni musicali dal vivo…
Torniamo però allo strumento, questa favolosa conchiglia ritrovata in una grotta decorata a Marsoulas, nel sud-ovest della Francia (vicino ai Pirenei), zona del resto ricca – come tutta la Francia – di resti preistorici con spesso tracce di una già matura coscienza su capacità artistiche e creative.
Se già eravamo a conoscenza della lavorazione e trasformazione di questo tipo di corpi naturali in ornamenti per la persona, si è potuto dimostrare in questo caso che l’oggetto fosse un vero e proprio strumento atto a produrre suoni di diversa intensità e intonazione, per cui un vero e proprio strumento musicale.
Si tratta di una conchiglia di strombo che per conformazione potremmo avvicinare a un corno, che produce sonorità particolarmente profonde e dal forte riverbero.
Trattandosi di Paleolitico Superiore, tutto ciò è comunque in linea con altre scoperte di veri e propri flauti, più o meno rudimentali, in particolare per quanto riguarda il periodo tra i 47mila e i 20mila anni fa (Aurignaziano e Gravettiano).
Lo strumento era stato finora conservato all’interno del Museo di Tolosa, ma come spesso accade nei magazzini dei musei era stato dimenticato per più di 80 anni, anche perché all’inizio interpretato come semplice coppa.
Per fortuna le ricerche si sono riaperte in anni recenti, prima di tutto perché l’artefatto si dimostrava utile a studiare i contatti tra i popoli occupanti le grotte e quelli delle coste affacciate sull’oceano atlantico, zona di probabile provenienza della conchiglia.
Quest’ultima, nome scientifico “Charonia” (C. lampas), ha rivelato numerosi indizi di intervento umano. La conchiglia è stata digitalizzata tramite fotogrammetria e tomografia computerizzata (CT), analisi che hanno fornito una visualizzazione molto dettagliata delle sue porzioni interne. Tutte queste osservazioni hanno infine suggerito che alcune trasformazioni furono effettuate per permettere alla conchiglia di essere soffiata.
Non sarebbe del resto la prima volta di un uso di questo tipo di una conchiglia, addirittura uno degli esemplari più antichi arriva dalla Siria, purtroppo non datato.
Non mancano poi tradizioni ben più recenti in alcune regioni italiane, come la Brogna (o Trumma) in Sicilia o la Tofa sempre nel meridione.
I metodi di funzionamento ipotizzati sono stati molti e diverse da un esemplare a un altro, Per la conchiglia di Marsoulas si è immaginato l’uso di un tubicino vuoto ricavato da un osso di uccello forse per fissare un bocchino.
Alcune modifiche esterne, necessarie per permettere il soffio con un buon appoggio delle labbra sul bocchino, non avrebbero alterato il flusso d’aria e le vibrazioni all’interno della conchiglia e quindi l’emissione sonora.
Ma veniamo a quello che tutti probabilmente state aspettando, cioé il suono di questo strumento!
Ebbene, l’archeologo e musicista (complimenti alla fusione delle due passioni, NdR) Jean-Michel Court ha provato a suonare la conchiglia e pur con un notevole sforzo di fiato è riuscito a riprodurre ben tre note.
Vi lasciamo al suono, decisamente affascinante nella sua timbrica profonda e riverberata, un eco che si perde nei tempi più antichi della storia dell’uomo.
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