Non è sempre rose e fiori, il mondo delle corde grosse. Se hai deciso di suonare il basso elettrico, anzitutto ti ringrazio per esserti unito/a al lato oscuro: dopodiché ti faccio il mio personale “in bocca al lupo”, perché hai scelto uno strumento che spesso viene travisato e che altrettanto frequentemente si ritrova involontario protagonista di dispute che potremmo definire futili, per usare un eufemismo.
Suoni il basso, ma “perché la tua chitarra ha solo quattro corde?”
Per tante persone che hanno scelto di suonare il basso, questa è la domanda che ci si sente rivolgere spesso da chi è ignaro di quale sia il ruolo del basso elettrico in una band. Né possiamo in effetti farne una colpa a chi non mastica di musica: a un occhio inesperto la chitarra elettrica è tremendamente somigliante, diciamo una versione in scala ridotta del basso. D’altro canto, io stesso per anni sono stato quello che suonava ‘a chitara…
Non è soltanto una questione di somiglianza fisica, ma anche di suono. I più illuminati tra chi non ha familiarità col mondo del musicista sono quelli che sciorinano l’altrettanto letale “è quello strumento che fa bom-bom-bom“. Neanche l’orecchio, insomma, aiuta a portare coscienza su cosa faccia esattamente il basso in un contesto di musica di insieme.
Perché è complicato far capire a così tante persone cosa comporta suonare il basso, mentre praticamente chiunque prenda in mano una chitarra per la prima volta fa istintivamente il gesto dello strumming?
Senza dubbio la chitarra come strumento ha una tradizione più longeva, mentre il basso di fatto è nato da una costola del contrabbasso ma per venire incontro alle necessità delle più rumorose orchestre più moderne.
Ma sono convinto che il basso elettrico sia uno strumento poco notato soprattutto per via del diverso impatto che la chitarra ha avuto sull’immaginario collettivo, in particolare grazie ai suoi celeberrimi interpreti.
Non è un caso se si sente affermare che Jaco Pastorius è “il Jimi Hendrix del basso elettrico“…
Basso a 6 corde vs “a Jaco Pastorius ne bastavano 4”
Proprio Jaco è involontario protagonista di una diatriba che invece è tutta interna al mondo dei bassisti: quella sul numero di corde del basso elettrico. Dando per buono il ruolo di capostipite il leggendario Precision dell’accoppiata Leo Fender e George Fullerton, si può affermare che il basso nasca come strumento a 4 corde; le evoluzioni a 5, 6 e più corde sono arrivate in seguito, a turbare i sonni e le discussioni dei bassisti di tutto il mondo.
Già, perché da un lato c’è chi grida per l’appunto che “a Jaco ne sono bastate 4” per diventare una leggenda, e che quindi il vero basso elettrico è quello a 4 corde. Dal lato opposto c’è chi sostiene l’importanza di un range di note incrementato verso il grave e persino verso l’acuto, portando a esempio artisti come John Patitucci o Alain Caron, seicordisti incalliti che di certo non si possono definire di scarso rilievo nella storia del basso elettrico.
La discussione sfugge di mano nel momento in cui si perde di vista l’elemento fondamentale, vale a dire il bisogno. Se Jaco ha scritto la storia dello strumento su un basso a 4 corde, non significa automaticamente che non avrebbe potuto essere altrettanto rivoluzionario con un Si grave o con un Do acuto (ho le palpitazioni solo all’idea di cosa avrebbe significato in termini di lead bass); allo stesso modo, non si può dire che i suddetti Patitucci o Caron siano dei grandi bassisti solo perché hanno scelto il range aumentato, né tantomeno che siano poco apprezzabili quando si cimentano col 4 corde (anzi…) o persino col tradizionale contrabbasso.
Va da sé che il bisogno si lega al buonsenso, e in questo tutti noi bassisti dovremmo essere onesti con noi stessi. Cosa farsene di un basso a 6 corde se non ci si schioda mai dai primi cinque tasti? O di contro, perché ostinarsi su un 4 corde se i nostri assoli (sì, a volte anche i bassisti suonano un solo) ci schiantano inevitabilmente al ventesimo tasto, con tutte le scomodità che ne conseguono? Oppure se desideriamo a tutti i costi suonare accordi con voicing svariati, con buona pace degli amici chitarristi?
Il ragionamento purista è molto romantico, a patto che rimanga sano nell’ottica delle necessità e soprattutto del desiderio che abbiamo di svilupparci come bassisti, il che può comprendere in maniera lecita anche la volontà di uscire dal range tradizionale dello strumento per esplorarne le possibilità sia verso il grave che verso l’acuto.
In fin dei conti, le rastrelliere spaziose non mancano in commercio…
Plettro o dita: come suonare il basso elettrico
Un’altra delle situazioni a rischio “è polemica!” nel mondo dei bassisti è quella che vuole contrapporre a tutti i costi plettro e dita. Ricordo nello storico forum di Musicoff un topic sull’argomento, qualcosa come quaranta o cinquanta pagine di batti e ribatti… e probabilmente in quella sede ne abbiamo parlato poco rispetto a quanto se ne è discusso sul web.
Anche in questo caso viene tirato in ballo il povero Jaco Pastorius, che con il suo pizzicato avrebbe decretato la presunta purezza dell’arte del basso suonato con le dita; a onor di cronaca, le discendenze contrabbassistiche rafforzano la posizione del fingering come tecnica di base dello strumento, ma anche qui occorre ragionare.
La tecnica dovrebbe essere uno strumento, e non un fine (così come dovrebbe esserlo la strumentazione stessa): perciò le ragioni del suonare in un modo o nell’altro dovrebbero essere strettamente pratiche piuttosto che di blasone.
Dunque la scelta tra plettro e dita dovrebbe essere indirizzata dalle differenze di timbro, di attacco, di sustain: insomma, dovrebbe essere solo e soltanto una questione di suono.
Si è invece investito troppo tempo nel discutere su quale sia la vera tecnica nobile del basso elettrico. Cosa dire allora di gente come Marcus Miller o Victor Wooten, che con i rispettivi approcci alla tecnica slap hanno scritto pagine indelebili della storia dello strumento, e non certo suonando nella propria stanzetta in totale solitudine?
Personalmente ho questa visione (sicuramente ambiziosa) del bassista capace di padroneggiare a un buon livello sia le varie tecniche dello strumento che le differenti incarnazioni dello stesso. Ovviamente è una visione che richiede un estremo e costante impegno, un approccio che ho coltivato finché ho potuto investire tempo e cura a sufficienza nell’approfondimento del basso elettrico; per questo motivo apprezzo e stimo tantissimo quei bassisti che hanno saputo farlo con maggiore efficacia del sottoscritto.
A ogni modo, la mia conclusione è che a prescindere dal numero di corde e da come le si mette in vibrazione, la costante di ogni discorso è che noi bassisti siamo al servizio del groove. Sì, persino quando ci cimentiamo in qualcosa di improbabile come un assolo di basso. E dunque, la cosa migliore che possiamo fare è lavorare su timing e dinamica, senza trascurare la conoscenza dell’armonia e l’opportuna, massiccia dose di ascolti: già così, davanti a noi si spalancherà un universo di situazioni da sviluppare che può tranquillamente tenerci impegnati per il resto dei nostri giorni.
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