Poco incline alle interviste, un riservato Charlie Watts risponde senza omissioni al suo ben più estroso collega nel suo spettacolo su DrumChannel.com.
Un dato di fatto che trova conferma ancora oggi: nessuno è più qualificato di un batterista per intervistare un altro batterista. Nel suo Chad Smith Show sul sito specializzato, il drummer dei Red Hot Chili Peppers ha di recente ospitato niente meno che mr. Watts, da sempre – e sono circa 60 anni – il motore ritmico dei Rolling Stones, semplicemente la più grande rock & roll band al mondo.
Ne sono venute fuori ben quattro puntate (di cui vi riproponiamo la prima), in cui Watts racconta in particolare di come si sia avvicinato a suo tempo allo strumento e di quali siano state le sue prime influenze musicali.
Notoriamente appassionato di jazz, un giovanissimo Charlie fu inizialmente colpito da un tipo di musica, il Jump Blues, di diretta derivazione jazzistica, di fatto progenitore di quello che di lì a poco sarebbe stato chiamato Rhythm & Blues (peraltro una brillante invenzione semantica di un disk jockey in cerca di una definizione “politicamente corretta” che sostituisse quella di race records, locuzione con cui si indicava negli USA la produzione discografica destinata alla popolazione afroamericana).
Insomma, il primo brano a colpire la fantasia dell’allora adolescente Charlie fu nel 1951 “Flamingo” del sassofonista Earl Bostic, a capo della propria orchestra (con James Cobb alla batteria): un tema strumentale godibile il cui beat è quello tipicamente jazzistico, con cassa in quattro, hi hat su 2 e 4, piatto ride che marca la classica figurazione swing, con la mano sinistra che però evita le sincopi, suonando a sua volta tutti i backbeat, prima del finale in cui il brano si trasforma in una sorta di habanera: musica tutta da ballare.
Stimolato dal suo ospite, Watts ricorda il clima di transizione e trasformazione degli anni Cinquanta e dei primi Sessanta dello scorso secolo, rammentando ancora l’influenza che su di lui ebbero altri artisti di jump blues come Louis Jordan, o come l’italoamericano Lou Prima (il cui batterista, Jimmy Vincent, al secolo James Faraco, fu uno straordinario specialista dello shuffle).
Ma soprattutto il batterista degli Stones ricorda il ruolo determinante avuto nella nascita del Rock & Roll di Elvis Presley e del suo fedelissimo drummer D.J. Fontana, recentemente scomparso. Erano tempi in cui il batterista di una band doveva essere in grado di suonare swing, jump blues, ma anche una rumba o un cha cha cha per far ballare.
A farlo decidere di voler suonare la batteria sarebbe stato l’anno nel 1952 “Walkin’ Shoes”, un album del sassofonista baritono Gerry Mulligan col grandissimo (e ancor oggi attivo, nonostante abbia superato i 90 anni di età) Chico Hamilton dietro piatti e tamburi, per lo più accarezzati magistralmente con le spazzole.
A 14 anni l’ascolto di Charlie Parker, principale responsabile nel jazz della rivoluzione bebop, ebbe lo stesso impatto su Watts che l’ascolto di Jimi Hendrix ha su migliaia di suoi coetanei: dopo un primo senso di “stranimento”, il desiderio fortissimo di voler fare proprio quella cosa lì, magari in un jazz club della Grande Mela…
Con suo grande rammarico, Watts ammette di non aver mai preso lezioni di batteria, ma di aver imparato guardando i suoi colleghi, e cita in particolare Joe Morello, uno dei pochissimi batteristi americani ad aver suonato illo tempore in Inghilterra.
Insomma, erano altri momenti storici, ricostruiti con dovizia di particolari da un sempre compassato Charlie Watts, la cui classe sembra essere riuscita a mettere un po’ in sordina la tradizionale esuberanza del suo intervistatore.
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