Tutti conosciamo e diamo per scontato l’importanza degli overhead, nella ripresa di un Drumset costituiscono l’ossatura d’insieme della ripresa microfonica; usualmente si usano microfoni di buona qualità, a condensatore, e perfino nei più piccoli home studio si dedica la coppia migliore agli overhead, relegando agli altri fusti microfoni di minor qualità.
Analizzando il setup microfonico usato da Emerick nelle sessioni del ’67 abbiamo voluto fare esattamente come 46 anni fa. Questo set prevedeva un solo overhead (mono!) con un microfono dinamico, e il solo microfono a condensatore per tutto il set della batteria era posto sotto il rullante. Lo spirito del nostro esperimento era proprio l’uso di materiale comune e nella scelta dei microfoni non siamo stati da meno. Se siete impazienti di ascoltare il risultato prima di continuare la lettura, scorrete al fondo di questo articolo per l’apposito player.
Nel ’67, il microfono più’ utilizzato sui pezzi della batteria era l’ AKG D19, un dinamico a diagramma cardioide molto in voga negli Abey Road Studios.
Microfono non facile da reperire oggi; lo abbiamo sostituito con i più comuni Shure 57 (utilizzati su hi hat e tom) e Sennheiser MD421, microfoni un po’ più’ vivaci sulle basse frequenze (utilizzati come overhead sul timpano).
Entrambi dinamici con diagramma polare cardioide.
Abbiamo sostituito l’AKG D20 con un D112 sulla cassa, e un Neumann KM184, condensatore a diaframma cardioide e diaframma piccolo, ha fatto le veci del KM56 sotto il rullante. Un altro condensatore è stato usato per la cassa, ed è un RODE MTK, a diaframma largo preamplificato a valvole.
La batteria era posta in una stanza non troppo grande per emulare l’ambiente piccolo creato dai Drumboot in cui veniva rinchiuso Ringo, ma abbiamo lasciato la porta aperta e microfonato anche il corridoio, per avere una pista di aria naturale regolabile a piacere nel mix. Non dimentichiamo che i box di Ringo non erano completamente chiusi, quindi un po’ di riflessioni dei grandi studi 1 e 2 di Abbey Road uscivano fuori, magari riprese dai microfoni degli altri strumenti, e sono finite in molte registrazioni. L’ idea era quella di poterne controllare la quantità, quindi all’ambiente è stata dedicata una pista e la registrazione è stata effettuata da un altro Neumann KM 184 (il gemello di quello sotto il rullante).
Overhead
Sennheiser MD42, posto abbastanza in alto. La regolazione dell’altezza richiede un po’ di attenzione, poiché è l’unico che, oltre alla panoramica, prende il rullante dall’alto. Il suono del rullante, che risulterà un mix dei due microfoni, overhead e snare down, sarà pertanto molto sensibile al posizionamento dell’over. Se troppo in alto, otterremo un rullante che suonerà soprattutto di corda e alzando in mix il fader dell’overhead alzeremo troppo anche i piatti e il resto della panoramica. Se, viceversa, è troppo basso avremo troppo rullante nel panoramico, che in più’ dovrà essere compensato con il microfono della cordiera, e la batteria suonerà in modo non equilibrato. Il compromesso migliore è quello con la capsula a circa 2,10 m da terra. Il posizionamento orizzontale è un po’ asimmetrico verso il rullante spostato verso destra (guardando la batteria dall’interno).
Rullante
Il piccolo condensatore Neumann sotto il rullante è stato posto a circa 15 cm di distanza dalla pelle, inclinato di 45° rispetto al pavimento e puntato verso il centro. Il suono di questa pista, mixata con il suono dell’ over, fornirà il risultato finale del rullante.
Cassa
Per la cassa abbiamo voluto provare con due microfoni, il dinamico ed il condensatore. Come dinamico abbiamo utilizzato il comunissimo D112 posizionato proprio come faceva Emerick in quegli anni: a pochi centimetri dalla pelle (da 3 a 5 cm circa) sulla parte alta della circonferenza, inclinato a circa 45° verso il basso.
Per il microfono a condensatore abbiamo utilizzato un RODE MTK, un po’ più lontano dalla pelle (dal lato opposto al foro) quasi come un panoramico frontale.
Trattandosi di due microfoni che riprendono la stessa sorgente e considerando la quantità di basse frequenze caratterizzanti la ripresa, è stato opportuno un accurato test delle fasi in modo che sommandosi i due segnali non presentassero cancellazioni in quelle zone dello spettro.
Naturalmente il dinamico vicino ha ripreso un suono più aspro e puntuto, il condensatore un suono più rotondo e morbido, oltre ad una maggiore quantità di rientri dalle altre fonti.
Tom
La microfonatura di Emerick prevedeva un D19 sotto il tamburo, anche qui da mixare con l’overhead per completarne il suono. Al posto del’ AKG abbiamo utilizzato un comunissimo Shure SM57 distante una quindicina di centimetri dalla pelle, inclinato in posizione diagonale e diretto verso il centro della circonferenza.
Timpano
Il timpano è l’unico fusto ripreso dall’alto. Abbiamo anche qui utilizzato il Sennheiser MD421 con la capsula sopra il cerchio superiore puntata verso il centro della pelle.
Hi hat
Scelta decisamente demodé uno Shure SM57 sul lato esterno del piatto, abbastanza inclinato e puntato sul bordo.
Corridoio
Il microfono di ambiente posto fuori dalla sala di ripresa come già detto è un Neumann KM184.
In sintesi
Che cosa abbiamo fatto: abbiamo sostituito i microfoni del ‘epoca con i microfoni a nostra disposizione, eseguendo alla lettera i dettami sulle posizioni di Geoff Emerick e prestato particolare attenzione al overhead.
Che cosa potete fare: microfoni usati da noi non sono gli unici utilizzabili. Per i fusti anche solo gli SM 57 andrebbero bene, così come gli SM 58 (avendo magari l’accortezza di rimuovere la capsula paravento), o gli AKG 3400 e 3600 o qualsiasi altro il vostro gusto o le vostre orecchie vi suggeriscano.
Se usate i microfoni della serie MD, accertavi che il selettore S/M (speech/music) sia ruotato verso M (entra altrimenti in funzione un filtro passa alte del tutto inadatto ai suoni di batteria).
Tecniche di registrazione
L’uscita degli otto microfoni è stata collegata all’ingresso di altrettanti pre amplificatori microfonici del nostro banco Codac e, tramite la patch bay, l’uscita dei preamp è finita dritta nei convertitori AD, senza subire alcun trattamento preventivo. Nelle sessioni dei Beatles e più in esteso in tutte le produzioni discografiche dell’epoca, era pratica comune il trattamento del segnale direttamente in registrazione.
Equalizzatori e compressori erano normalmente inseriti, vuoi per correggere lo spettro sonoro, vuoi per controllare meglio la dinamica del segnale e per ottimizzare il rapporto segnale rumore del nastro, vuoi per caratterizzare timbricamente il suono.
Soprattutto questa scelta era dettata dalla limitatezza degli equipment dell’epoca: lo standard erano quattro piste, dieci canali di mix era già un lusso, così l’uso di outboard doveva essere ripartito tra le fasi di ripresa e quelle di riversamento e missaggio.
Oggi, fortunatamente, sia nel dominio analogico che in quello digitale, quei limiti sono un romantico ricordo: un banco da studio ha molti più canali di una batteria multimicrofonata e le nostre DAW sono capaci di ben altro che le otto tracce che ci servono!
Abbiamo quindi pensato di registrare il suono pulito e non trattato dei microfoni, ritenendo questa soluzione più utile anche dal punto di vista “didattico”: un suono non trattato ci permetterà più possibilità di sperimentazione.
Il cablaggio diretto preamplificatore-registratore fa si che il livello di registrazione debba essere gestito direttamente dal gain del preamplificatore. Confesso che avremmo voluto spingere un po’ di più ma per ragioni didattiche siamo stati abbastanza tranquilli con i livelli, cercando un buon rapporto fra segnale/rumore, ma evitando sovraccarichi verso il rosso di pre e convertitori.
Nei solchi dei Beatles, invece, si è azzardato molto di più, talvolta per diletto, talvolta per errore, e molte piste di batteria risultano alquanto distorte, schiacciate dalla saturazione (che può essere un effetto molto affascinante). Questa era talvolta causata dell’overload del nastro: non dimentichiamo che i nastri dell’epoca avevano capacità di magnetizzazione sensibilmente inferiori rispetto ai supporti analogici standard di oggi, costringendo l’audio engineer a barcamenarsi in precario equilibrio tra rumore di fondo e distorsione.
Laddove si spingeva di più, il problema era rappresentato dalla saturazione, mentre dove si era più prudenti il rischio era il fastidioso hiss, il fruscio proveniente dal registratore: in molti brani, infatti, (Sun King dall’album Abbey road, per esempio) si è letteralmente travolti dal soffio dei nastri.
Non dimentichiamo inoltre, che le tecniche di ping pong e di bounce erano all’ordine del giorno e, riversando a più’ riprese nastri su altri nastri, il rischio di rumore e di distorsione si moltiplicava. Problema vintage anche qui: il convertitore AD di oggi offre una dinamica superiore, permettendo un ottimo compromesso tra segnale e rumore; poi, d’altra parte, in dominio analogico le tarature consentite dai supporti attuali permettono la registrazione di un segnale più alto, a tutto vantaggio del rapporto S/N. in conclusione la nostra decisione è stata quella di essere più neutri possibile in fase di ripresa.
Se servivano compressioni, equalizzazioni e saturazioni, saremmo stati sempre in tempo a divertirci in fase di mix.
Ultimo dubbio registrazione analogica o digitale? Benchè il nostro cuore battesse in un altra direzione, ci siamo arresi alla comodità digitale, mantenendo però una chicca del nastro analogico come ciliegia sulla torta del mix.: i missaggi dei groove e dei campioni sono passati tutti su un master stereo 1/2 pollice della MCI e con i VU Meter verso la zona calda .
La differenza c’è e si sente!!!
In sintesi
Che cosa abbiamo fatto:
- registrazione digitale di otto piste
- catena audio essenziale: microfono, Pre (banco Codec) AD convertitore
- livello gain e di registrazione abbastanza robusto ma mai troppo vicino al massimo
- Nessun trattamento in fase di registrazione
Che cosa potete fare: le piste più significative sono l’overhead, il sotto snare e la cassa. Se disponete di preamplificatori di diversa qualità e valore, utilizzate i migliori per queste sorgenti, che sono quelle che caratterizzano il sound. Lo stesso varrebbe anche per i convertitori AD, anche se non è come registrare più piste dello stesso strumento da convertitori diversi: le differenze dei tempi di azione che (anche con pochissimi campioni) possono creare gravi problemi di fase.
Cercate di evitare qualsiasi intervento in registrazione: è molto più istruttivo e versatile agire e sperimentare in fase di mix. Regolate i livelli di registrazione alti per ottimizzare il rapporto segnale/rumore. Se, infine, disponete di un bel analog taperecorder ben tarato…
Conclusioni
Non c’è che dire, l’esperimento ci ha entusiasmato e mi auguro che appassioni anche voi.
Naturalmente, non prendete alla lettera tutto quanto sopra esposto, le variabili sono davvero tante e ogni prova avrà necessariamente qualche particolare differenza.
Il bello del gioco in fondo è proprio questo: divertirsi sperimentando qualcosa nuovo. O di molto vecchio? Certamente originale.
Conclusione personale: devo dire che anche questa volta ho imparato qualcosa… come sempre accade in questo lavoro. Ho sempre ricercato un mio suono e non mi è mai capitato di dover ricreare il suono di un altro batterista, ma visto l’amore che ho per i Beatles e in questo caso per Ringo, mi sono buttato in questa avventura ed ho scoperto che affinando l’orecchio si scopre che ogni piccolo cambiamento, lì per lì irrilevante (piccole sordine, un leggero cambiamento all’accordatura o un piccolo cambiamento nella posizione di un microfono) produce enormi effetti in registrazione basta saper ascoltare…
Nel seguente set di samples audio potete ascoltare i suoni che sono stati ricavati dalle session di registrazione appena descritte. Troverete l’indicazione dei bpm di riferimento e in alcuni samples potrete sentire prima la ripresa attraverso la microfonazione della batteria, poi quella dell’ambiente e poi entrambe mixate insieme. Buon ascolto!
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