Due chitarristi acustici ben noti, Daniele Bazzani e Andrea Valeri, nelle vesti di arrangiatore e compositore sul palco con un’orchestra di taglio europeo.
Era un po’ di tempo che li vedevamo ‘armeggiare’ insieme con incontri, concerti condivisi, tournée. Ma non ci saremmo mai aspettati che alla fine tirassero fuori dal cilindro un progetto del genere: un programma di musiche composte da Andrea e arrangiate da Daniele con l’orchestra.
Quando poi i due ci hanno fatto ascoltare i primi risultati del loro lavoro realizzati al computer, sia io che Reno Brandoni e Mario Giovannini siamo rimasti sorpresi e affascinati dalla bellezza del materiale; un materiale destinato a essere suonato da un’orchestra di trenta elementi, con Andrea, Daniele, Michael Fix, Vincenzo Zitello e tanti altri giovani musicisti provenienti da tutta Europa.
La prima uscita pubblica della Andrea Valeri Eurorchestra è stata un vero successo il 29 settembre nel Teatro Verdi di Casciana Terme gremito di pubblico. Nell’intervista, che risale a qualche tempo prima, abbiamo approfittato di un incontro romano dei due per farci raccontare i dettagli di questa emozionante avventura.
Cominciamo con una confessione: personalmente non avrei mai immaginato di vedervi collaborare. Da un lato la base tecnica è sicuramente comune – da Chet Atkins a Tommy Emmanuel – ma vi ho sempre visto come musicisti e personalità diverse: Andrea più stravagante ed estroverso, Daniele più pacato e riflessivo… Come avete cominciato?
D.B. Be’, ci conosciamo da sempre. Lui era un ragazzino e io… potevo essere suo padre! Sono undici anni che ci conosciamo. Ci si vedeva inizialmente all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana, poi progressivamente abbiamo cominciato a condividere dei concerti, a fare qualche pezzo assieme in chiusura. Poi ci si vedeva a casa: Andrea passava da Roma e veniva a trovarmi, magari si fermava da me per la notte.
È stata una cosa molto naturale nel tempo. In effetti ci siamo sempre divertiti a suonare assieme, anche solo per il gusto di farlo. Amiamo la musica, siamo musicisti e ci piace suonare. Il punto di contatto è essenzialmente questo. Al di là di qualsiasi barriera culturale e geografica. Entrambi siamo compositori, e anche questa è una cosa che ci accomuna.
A.V. Posso aggiungere ben poco a quello che ha detto Daniele. Si sa che la musica parla, e parla senza bisogno di parole. Per cui, quando è capitata un’occasione di poter lavorare assieme, mi riferisco soprattutto al tour in Polonia, non ce la siamo fatta scappare.
Com’è nata questa opportunità del tour in Polonia?
A.V. Grazie a un amico comune che abbiamo laggiù, che organizza eventi.
D.B. Ci aveva già chiamato separatamente negli anni precedenti, e questa volta ci ha organizzato una serie di concerti assieme.
A.V. È stato un momento molto importante perché, anche se ogni tanto ci vedevamo, erano occasioni sporadiche. Invece passare un po’ di tempo assieme e riflettere sul percorso che stava nascendo per entrambi è stato fondamentale. Perché è vero, di base possiamo avere due approcci alla chitarra che possono anche sembrare diversi, ma solo esteriormente. Al punto che, suonando assieme, non c’è mai stato bisogno di dare ‘indicazioni’ su dove doveva andare un pezzo. Veniva da sé, in maniera naturale.
Come siete arrivati al progetto attuale con l’orchestra?
D.B. È stato Andrea, un paio di anni fa, a dirmi che si stava un po’ ‘stancando’ di suonare solo la chitarra e che avrebbe voluto trasformarla in qualcosa di diverso. Stancarsi di suonare ‘solo’ la chitarra ‘da solo’ non vuol dire necessariamente cercare di suonare con un gruppo. Ma comunque ti resta qualcosa dentro, un tarlo che ti rode e ti fa pensare. Siamo partiti da questo: lui me ne ha parlato e ce la siamo rimpallata per un po’…
A cosa ti riferisci?
D.B. Al voler ampliare un po’ gli orizzonti musicali oltre la chitarra, facendo musica anche attraverso altri canali. Sinceramente, all’inizio, non ci avevo dato tanto peso: un’dea stimolante, interessante, ma si limitava a dei discorsi abbastanza accademici. In parallelo, però, io avevo preso un synth, vincendo la mia assoluta resistenza ad avere in casa un computer per fare musica. Perché ero sicuro che mi avrebbe distratto dalla chitarra. E infatti alla fine è andata proprio così! [risate generali] Quello che ti ho fatto sentire è il frutto di sei mesi di lavoro.
Da parte tua, Andrea, come sei arrivato all’idea di questo lavoro?
A.V. La scommessa era già partita diversi anni fa con Mediterraneo [2016], ma anche con qualcosa dell’album precedente Race Around the World [2014]. Non so se ricordi, ma in quel periodo ci siamo incontrati a Tricesimo con il concerto di Andrea Valeri & Friends [v. “Il decennale di Madame Guitar”, in Chitarra Acustica, dicembre 2015 – ndr]: questa cosa io già ce l’avevo in incubazione…
Quello era un gruppo, una band…
A.V. Vero, perché ancora il mio livello era quello. Non avevo ancora la consapevolezza necessaria. Il punto di svolta è stato l’incontro con il compositore di colonne sonore Hans Zimmer, che dirigeva dal vivo le sue musiche in veste orchestrale. Trovarmi davanti a quelle musiche in quella dimensione, mi ha fatto rendere conto di quanto piccolo uno si possa sentire di fronte alla ‘vetta’. Inizialmente mi ha spaventato, al punto da arrivare a pensare di dedicarmi ad altro nella vita, perché fino ad allora mi sembrava di aver scherzato…
D.B. E invece ti sbagli, perché uno che scrive musica come la scrivi tu, dal mio punto di vista, non deve sentirsi limitato per il solo fatto di trovarsi di fronte a un’orchestra di venticinque musicisti, peraltro tutti molto bravi…
A.V. No, ma il mio cruccio è stato che quella cosa io ce l’avevo in testa già da tempo. Non è che volessi ripudiare il fatto di suonare la chitarra, però ne riconoscevo dei limiti. E soprattutto mi scocciavo di dover sempre parlare di chitarra in un certo modo, di sentir parlare di flatpicking, fingerpicking, fingerstyle, country, bluegrass…
Allora chiedevo: «Ma scusate, che differenza c’è tra fingerpicking e fingerstyle? Un chitarrista classico non suona anche lui con le dita? Con che suona, con il naso? Ma perché non parliamo di Musica, invece di incasellare tutto in maniera così schematica?» Insomma io avevo bisogno di essere più libero, per dire e raccontare tutto quello che sono. Che piacesse o meno.
A.V. Per quello che mi riguarda, il progetto è stato realizzato per valorizzare i musicisti con cui abbiamo lavorato, soprattutto i giovani. E per ringraziare tutti i musicisti che hanno rappresentato qualcosa di speciale per me. Ciascuno dei trenta membri dell’orchestra è una parte importante della mia vita.
In particolare Daniele, Michael Fix e Vincenzo Zitello sono una parte importante della mia crescita personale e musicale. In quest’ultimo anno di lavoro Daniele mi ha dato tanto musicalmente, ben oltre il discorso della chitarra. Ho imparato moltissimo. Lui ‘rubava’ dalle colonne sonore, ma io sto ‘rubando’ da lui. Anche per questo non mi pesa dover investire in prima persona nel progetto.
D.B. Non posso fare a meno di sorridere quando penso a tutta questa storia. Mi fa venire in mente la storia di Nick Drake con Robert Kirby. Robert era un compagno di scuola di Nick e ha realizzato gli arrangiamenti dei suoi primi dischi, del primo in particolare, che era bellissimo. La casa discografica inizialmente aveva scartato a priori il lavoro di Kirby, interpellando una serie di arrangiatori per i dischi. Per poi rendersi conto che il lavoro migliore era quello del suo amico di scuola.
Ecco, mi sento di essere arrivato a un punto simile. Ci abbiamo provato un po’ per scherzo, ma poi riascoltando le cose – e io sono estremamente critico con le mie cose (e anche con quelle degli altri) – abbiamo preso coraggio e le abbiamo fatte sentire in giro. E la risposta è stata di grande stupore e sorpresa. Persino io mi sorprendo ad ascoltare i brani solo per il piacere di farlo, anche se ci sto lavorando ininterrottamente da mesi.
L’intervista completa di Andrea Carpi è pubblicata su Chitarra Acustica n.09/2018.
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